L’accusa e la difesa del notaio sottoposto a procedimento disciplinare, in Vita Notarile, III, 2017

L’accusa e la difesa del notaio sottoposto a procedimento disciplinare[1]”.

Sommario: 1. Introduzione. – 2. La legge 4 agosto 2017, n. 124. – 3. (Segue): favor rei o tempus regit actum, cenni. – 4. (Segue): la sede e l’ufficio secondario, cenni. – 5. Tre recenti casi ritenuti disciplinarmente rilevanti. – 6. Un aspetto procedimentale di rilievo.

  1. Introduzione.

Tra le cinque grandi aree di rilievo, in tema deontologico e disciplinare, per il notariato contemporaneo[2], sono già stati dallo scrivente esaminati, in particolare[3], i problemi collegati alla personalità della prestazione (il cd. “attificio”), al (collegato) procacciamento d’affari (il cd. rastrellamento della clientela), alla lealtà fiscale del P.U. (distinguendo tra anomalia, irregolarità e infedeltà) ed è stato altresì ricordato il fondamentale principio di indipendenza connaturato alla professione autonoma (sempre più verso un inesorabile oblio, anche se reale spina dorsale e àncora di salvezza della libera professione intellettuale).

Hanno invece ricevuto solo un rapido cenno le ulteriori e pur rilevanti problematiche relative alla ‘gestione del denaro altrui’ oltre che quelle connesse alla ‘sede’ e allo ‘ufficio secondario’ del notaio (magari, risiedendovi il P.U., più organizzato di quello principale dove si dovrebbe registrare una prevalenza di lavoro[4] e conseguentemente di atti).

Ebbene tra le più recenti novità, oggi, si registra la legge “annuale per il mercato e la concorrenza” (ossia la n. 124 del 2017) in ordine alla quale è necessario in questa sede analizzare taluni aspetti di rilievo.

Esiste peraltro allo stato anche una innovativa “proposta” approvata in prima lettura il 22 giugno 2017 e confezionata per riorganizzare i “principi di deontologia professionale dei notai”, il cui testo si commenterà solo una volta che sarà entrato in vigore nella sua formulazione definitiva e finale.

  1. La legge 4 agosto 2017, n. 124.

L’atto normativo indicato in epigrafe, entrato in vigore dal 29 agosto scorso, si inserisce in un più ampio e progressivo programma di riforma delle professioni.

La citata norma ha introdotto nuovi obblighi per i professionisti (appartenenti alle cd. professioni protette ex art. 2229, c.c.), tra i quali, la copertura assicurativa (art. 1, co. 26), l’obbligo di preventivo in forma scritta (art. 1, co. 150) e la pubblicità informativa sui titoli posseduti (art. 1, co. 152).

In ordine alla copertura assicurativa professionale si è posta come obbligatoria, anche per i contratti già conclusi e pendenti alla data di entrata in vigore della legge (atti che perciò devono intendersi rinegoziabili), la previsione di un periodo decennale di ultrattività della polizza per l’indennizzo di fatti generatori di responsabilità occorsi durante la copertura.

La disposizione si collega al recentissimo orientamento adottato dai giudici di legittimità per le cd. clausole di “claim’s made” impure (giuridicamente irretroattive o limitatamente retroattive), giudicate vessatorie: “La clausola c.d. claim’s made, inserita in un contratto di assicurazione della responsabilità civile stipulato da un’azienda ospedaliera, per effetto della quale la copertura esclusiva è prestata solo se tanto il danno causato dall’assicurato, quanto la richiesta di risarcimento formulata dal terzo, avvengano nel periodo di durata dell’assicurazione, è un patto atipico immeritevole di tutela ai sensi dell’art. 1322, comma 2, c.c., in quanto realizza un ingiusto e sproporzionato vantaggio dell’assicuratore e pone l’assicurato in una condizione di indeterminata e non controllabile soggezione” (cfr. Cass. Sez. III civile, 28/04/2017, n. 10506).

Tale orientamento era già stato adottato da talune pronunce di merito: Trib. Roma Sez. XIII, 05/01/2007 (per cui tale clausola è “nulla” in quanto costituisce una assicurazione “di rischio putativo”) e Trib. Roma Sez. XIII, 20/05/2005 (che giudicava la clausola come “vessatoria” richiedendo una doppia approvazione per scritto a mente dell’art. 1341, co. 2, c.c.)[5].

L’assicurazione della responsabilità civile, pertanto, ritorna, in questo modo, nell’alveo tradizionale dell’art. 1917, c.c. (improntato allo schema indennitario del cd. loss occurence).

In tema di preventivo[6], da pattuire al momento del conferimento dell’incarico professionale, si segnala che si è in presenza di un incombente obbligatorio da comunicare al cliente, per i nuovi mandati, in forma scritta o digitale (per es.: via e-mail o e-pec, seguita da conforme riscontro del cliente), con indicazione (co. 150): a) della misura del compenso richiesto per lo svolgimento della prestazione (con indicazione delle varie fasi partitamente considerate); b) del grado di complessità dell’incarico; c) degli estremi della polizza assicurativa (e mi pare che l’incombente possa comunque ritenersi pacificamente soddisfatto se il professionista li ha pubblicati all’interno di un proprio sito professionale); d) gli oneri ipotizzabili, dal tempo del conferimento sino a quello dell’esaurimento del mandato, da indicarsi analiticamente (ivi comprese le trasferte del professionista, oggi per esempio possibili, in Piemonte, da Varzo a Bossea ovvero, in Lombardia, da Livigno a Salice Terme).

E il preventivo dev’essere partecipato dal P.U. anche quando non richiesto dal cliente, considerato che la correttezza della condotta potenzialmente concorrente e la trasparenza nell’esercizio del ministero sono attributi coessenziali della prestazione professionale e non mere conseguenze dell’atteggiamento del cliente.

Per l’inosservanza di tale incombente al notaio potrà essere contestato, a livello disciplinare, un contegno di illecita concorrenza per violazione dell’art. 14 del codice deontologico a fronte di una irregolare documentazione per una “mancata e documentata specificazione di anticipazioni, onorari, diritti e compensi” o comunque per un sistematico comportamento “frettoloso” per omessa trasparenza nella cura del rapporto con il cliente (che potrà quindi sollevare una contestazione sull’importo addebitatogli, con possibile presentazione di esposto ed eventuale coda giudiziaria della vicenda).

In tema di pubblicità informativa (co. 152), il professionista, tramite il proprio sito (ma anche con ogni ‘altro mezzo’ ritenuto idoneo, purché non equivoco né ingannevole e denigratorio)[7], può pubblicizzare, per es., oltre ai titoli posseduti (per es.: docenza universitaria), la struttura di studio e i compensi delle prestazioni (anche se, per quest’ultimo aspetto, non si ritiene che una informativa “standardizzata” sia opportuna perché potrebbe ingenerare fraintendimenti per e con il cliente).

Ma la nuova legge ha anche parzialmente modificato (al co. 142) la tenuta del “conto corrente dedicato”, cui il notaio è “tenuto” [ex art. 1, co. 63, lett. a), l. 27 dicembre 2013, n. 147][8], per farvi confluire i tributi dei clienti da versare all’Erario, per gli atti a repertorio (pubblici o in autentica) soggetti a pubblicità (immobiliare o commerciale).

Viene quindi resa effettiva l’operatività di un cd. ‘conto dedicato’ in aggiunta al consueto conto disponibile di studio (servendo, quest’ultimo, a far fronte ai costi di studio, agli stipendi del personale, ai contributi, alle altre spese in generale e all’iva).

Per espressa previsione normativa (co. 142) si sarebbe in presenza di un “patrimonio separato” (da quello personale del notaio), considerato che le somme ‘presenti sul conto dedicato’ sono escluse dalla successione ereditaria del notaio, come anche dal relativo “regime patrimoniale di famiglia” (e non cadono quindi, in caso, nella comunione legale dei beni), e sono impignorabili da parte di “chiunque”, come impignorabile è il credito al pagamento o alla restituzione delle stesse. Somme di cui il notaio “può disporre […] solo per gli specifici impegni per i quali gli sono state depositate” (si è dunque certamente al di fuori del deposito irregolare previsto dall’art. 1782, c.c.).

La norma risente, invero, di una formulazione non apprezzabile.

Innanzitutto non mi pare che l’istituzione di un conto corrente, dedicato o meno, possa creare una destinazione di somme che, in realtà, nascono già come tali: il conto corrente in realtà serve unicamente a facilitare le ispezioni dei Consigli notarili distrettuali, rendendole più agevoli[9].

In altri termini è la somma, in sé considerata, ad essere oggettivamente destinata al pagamento delle imposte verso l’Erario, ciò non potendo in alcun modo derivare dalla disciplina del ‘conto destinato’.

Il notaio, se distrae ad altro fine gli importi ricevuti dal cliente per il pagamento delle tasse di un proprio atto, certamente viola la destinazione impressa in origine a quella data somma, a prescindere dall’esistenza o meno di un ‘conto dedicato’.

Ma acclarata la destinazione, siamo proprio sicuri (senza operare per approssimazioni) che ricorra un ‘patrimonio separato’?

Tale somma non è assoggettata dalla legge ad alcuna forma di pubblicità[10] e rappresenta un bene fungibile[11] (che può entrare in contatto con altri fondi propri del notaio – per es.: l’onorario -, con questi confondendosi in un deposito alla rinfusa).

La destinazione, che riguarda una somma che nasce già intrinsecamente caratterizzata dalla vocazione al pagamento delle imposte, riceve una tutela, almeno in parte, obbligatoria (fiduciaria) in quanto, per es., al venditore d’auto d’epoca, una delle quali è stata acquistata dal notaio con i denari del cliente destinati all’Erario, non può essere efficacemente opposta la destinazione reale della somma ricevuta in pagamento[12] (art. 1153, c.c.)[13]. Non vi è dunque un rimedio che riesca a garantire fino in fondo la esatta destinazione da parte del notaio dell’importo ricevuto dal cliente per il versamento delle imposte.

Sembra invero che, più che di un vincolo reale di destinazione (o una separazione patrimoniale), ricorra un’ipotesi di indisponibilità ex lege della somma, a certi effetti (che potrebbero in astratto anche sfuggire al controllo del notaio): successori (non v’è trasmissione ereditaria), “familiari” (non opera l’eventuale regime della comunione legale dei beni ex art. 177, c.c.) ed esecutivi (la somma è impignorabile[14])[15].

In ogni caso, essendo innegabile il collegamento fra funzione pubblica e possesso del danaro[16], il notaio che distragga tali importi per finalità differenti sarà tenuto a rispondere del delitto di peculato (non rivestendo alcun possibile pregio quella tesi che, nel tentativo di evitare l’incolpazione penale al P.U. che abusi del proprio ministero, evidenzia, rispetto alla tassazione degli atti ricevuti dal notaio, come questi sia responsabile e non sostituto d’imposta)[17].

Può forse, in caso, immaginarsi un trust ex lege? Alcuni potranno pure sostenerlo, anche se si è in presenza di un modello difficilmente esportabile ed anche se la separazione appare, invero, più contabile che reale[18].

Sotto il profilo poi, per l’appunto, della concreta “gestione contabile dei conti correnti dedicati”, il notaio potrà indifferentemente chiedere pagamenti differenziati della parcella (uno per spese anticipate, tributi e imposte destinate al conto dedicato e un altro per gli onorari e l’iva incassabile sul conto disponibile di studio) oppure accettare un pagamento unitario della parcella (destinato al conto dedicato, salvo poi recuperare l’iva al netto delle ritenute redigendo il “prospetto contabile” previsto dal co. 66, bis e trasferendo la relativa provvista sul conto disponibile).

Sembra che, al di là dei maggiori o minori carichi burocratici (certamente maggiori per la seconda soluzione), la prima opzione si lasci preferire in quanto implica una più ordinata tenuta della contabilità (in linea con la ratio della normativa ad essa sottesa) e, soprattutto, in quanto presuppone che i clienti dovranno corrispondere più facilmente la parcella all’atto della prestazione notarile (offrendo una miglior leva alla richiesta del P.U. rispetto a quanto già precedentemente consentito dall’art. 78, co. 2, L. Prof.).

Infine in ordine al “deposito prezzo”, obbligatorio solo se richiesto da almeno una delle parti (co. 63) – e quindi, di regola, dall’acquirente -, il notaio è tenuto ad informare i comparenti dell’esistenza di tale opportunità, nei casi in cui ciò possa rivelarsi utile (pur senza essere tenuto a caldeggiarla)[19].

Non richiedono particolare commento le modifiche inerenti all’archivio notarile (co. 145, 146 e 147) e il programmato aumento delle sedi (un notaio ogni 5.000 abitanti anziché ogni 7.000)[20], essendo stato così sostituito il co. 1 dell’art. 4, L. Prof. (co. 144).

  1. (Segue): favor rei o tempus regit actum, cenni.

L’art. 147, co. 1, lett. c), l. not. è stato sostituito con il seguente testo (co. 144):

“c) si serve dell’opera di procacciatori di clienti o di pubblicità non conforme ai principi stabiliti dall’art. 4 del regolamento di cui al Presidente della Repubblica 7 agosto 2012, n. 137([21])”.

Ebbene la norma non prevede più la illecita concorrenza per “riduzione di onorari, diritti o compensi” né per il tramite di “qualunque altro mezzo non confacente al decoro ed al prestigio della classe notarile”.

Con la prima parte della disposizione viene allineato il testo di legge con l’avvenuta abolizione dei minimi di tariffa professionale (ex art. 2, d.l. n. 223/2006 conv. in l. n. 248/2006). E l’intervento non è superfluo in quanto, in precedenza, tale mancato adeguamento ha ‘autorizzato’ taluni Consigli (tra i quali quello di Roma) a non desistere dalla contestazione, pur se al di fuori dall’attuale contesto normativo, di avere il P.U. emesso “numerose fatture” da cui “risultano onorari molto bassi” (per il principio della libera determinazione del compenso notarile: Cass. civ. Sez. II, 17/04/2013, n. 9358 e Cass. civ. Sez. II, 14/02/2013, n. 3715)[22].

Si saluta invece con favore l’abrogazione della seconda parte della norma, contente una clausola generale (norma in bianco) che veniva spesso utilizzata ad arte dai Consigli notarili (e quindi dall’accusa) come strumento di pressione, nei confronti del P.U. incolpato, anche in sede di quantificazione della proposta di condanna.

L’abrogazione di parte di questa norma, ad opera di un legislatore che ha recepito formalmente la intervenuta modificazione nel comune sentire delle regole sociali di etica professionale, pone il problema della relativa applicabilità alle contestazioni pendenti alla data del 29 agosto scorso[23].

Il principio del favor rei, infatti, dovrebbe condurre ad affermare la sopravvenuta inapplicabilità della disposizione (abolitio criminis) alle accuse collegate a tale disposto in quanto “nessuno può essere punito per un fatto che, secondo una legge posteriore, non costituisce violazione punibile[24]”.

Gli orientamenti che si registrano sul punto sono favorevoli all’estensione dell’art. 2, c.p. per le Co.Re.Di. (Co.Re.Di. Toscana 28/02/2012, n. 1649; Co.Re.Di. Sicilia 06/10/2009, n. 821 nonché Co.Re.Di. Friuli Venezia Giulia, Veneto e Trentino Alto Adige 26/06/2009, n. 785) – e ciò avviene, nell’ottica di tali organismi, o per motivi di equità o per disincentivare i reclami (all’esito di un gioco nella quantificazione della pena che deve tener conto, in sede di impugnativa, della possibilità, per il Consiglio, di promuovere appello incidentale) -.

Mentre presso la magistratura ordinaria l’attuale orientamento è di segno opposto, ritenendosi non applicabile la lex mitior, sull’assunto per cui “alle sanzioni disciplinari a carico del notaio, in quanto di natura amministrativa, non è applicabile in via analogica il principio penalistico del favor rei”: Cass. civ. Sez. III, 15/04/2008, n. 9878 (in questa Rivista, p. 370 ss.).

Perciò, sul punto, il diverso principio ad oggi applicato dai giudici di legittimità e dalle Corti d’appello è quello del “tempus regit actum”.

Forti, in proposito, i dubbi di legittimità costituzionale del complessivo ordinamento deontologico-disciplinare del notariato nella parte in cui non è prevista l’applicazione del favor rei, quantomeno per le sanzioni sostanzialmente punitive – come, per es., quella della sospensione comminata dall’art. 147, co. 1, lett. c), L.N. -.

Sul punto pende, presso la Corte d’appello di Torino una apposita “q.l.c.” da me sollevata, che troverà presto una risposta giudiziale.

  1. (Segue): la sede e l’ufficio secondario, cenni.

La legge n. 124/2017 (co. 144) ha poi modificato l’art. 26, L. Not., sostituendo il co. 2 con una nuova disposizione che ha ampliato la competenza territoriale dei notai, estendendola a tutta la Regione in cui si trova la sede del P.U. (ovvero a tutto il distretto della Corte d’appello in cui si trova la sede se tale distretto comprende più regioni).

Ed ancora, il notaio può aprire un ufficio secondario in qualunque Comune della Regione: il numero massimo dei possibili uffici secondari, pertanto, è rimasto uno (anche in caso di associazione interprofessionale).

Il co. 2 dell’art. 27, L.N. è stato sostituito con la previsione per cui il notaio non può prestare il proprio ministero fuori del territorio della Regione in cui si trova la propria sede.

Mentre l’art. 82, L.N. sancisce che sono consentite associazioni di notai aventi sede in qualsiasi Comune della Regione, indi prevedendosi che ogni associato può usare lo studio e l’ufficio secondario di altro associato.

In questa sede si vuole solo segnalare un passaggio, non condividendosi affatto quanto affermato da Cass. civ. Sez. II, 19-06-2015, n. 12732.

La ratio racchiusa nel co. 1 dell’art. 26, L. Not. non è legittimamente estendibile (come invece ritenuto dalla giurisprudenza di legittimità da ultimo riportata) alla diversa disposizione contemplata dal co. 2 del medesimo articolo di legge.

Infatti il capoverso in esame dev’essere letto, nel sistema normativo speciale di riferimento, in combinato disposto, non con gli altri commi della medesima disposizione (unificati sotto lo stesso articolo solo in quanto dedicato agli uffici), ma con gli artt. 82 e 27, co. 2, L. Not.[25].

Ne discende, in pratica, che se l’art. 26, co. 2, L.N. trova la sua ragion d’essere nella tutela della concorrenza (e non dello studio, per il miglior soddisfacimento delle richieste di prestazione notarile)[26], non potrà essere il notaio punito, per il medesimo fatto, anche ex art. 147, lett. c), L.N., stante il divieto del bis in idem (Co.Re.Di. Toscana 11/11/2015, n. 123; Co.Re.Di. Puglia, n. 126/2014; Co.Re.Di. Lazio, n. 53/2014; Co.Re.Di. Piemonte e Valle d’Aosta 01/04/2014, n. 1; Co.Re.Di. Piemonte e Valle d’Aosta 01/04/2014, n. 2): esiste infatti tra le due disposizioni un concorso formale per cui la sanzione comminata dalla norma speciale (art. 26, cpv.) esaurisce i profili di punibilità assorbendo quelli prescritti dalla norma generale (cit. art. 147).

  1. Tre recenti casi ritenuti disciplinarmente rilevanti.

Si richiama ora l’attenzione su taluni casi recentemente occorsi ad alcuni P.U. che sono entrati nel mirino delle ‘Disciplinari’.

Si è contestato al notaio una fatturazione “irregolare” in quanto recante un valore a titolo di onorario preceduto da un segno negativo. Ciò ha determinato la mancata corresponsione dell’iva, nei limiti del valore differenziale, su alcune voci normalmente sottoposte a tale imposta (per es.: contributo cassa nazionale notariato, contributo archivio notarile, ecc.). Ne è discesa una accusa per illecita concorrenza: viene contestata al P.U. la violazione dell’art. 147, lett. c) o lett. b), L.N. con riferimento all’art. 14, lett. a), cod. deont., oltre all’art. 147, lett. a), L.N.

I casi in esame, rispetto ai quali l’errore del professionista (nella preventivazione e nella successiva fatturazione) è innegabile, sono stati tuttavia del tutto sporadici (essendosi registrati solo nell’àmbito di un trimestre secco) e hanno interessato valori assolutamente irrisori (l’iva non corrisposta è stata pari solo all’1,91% di quanto dovuto all’AdE, ossia 1.800,00 euro su un totale di 94.000,00 dovuti).

Si vorrebbe quindi affermare che il notaio si è surrettiziamente accaparrato la clientela sollevando ciascun cliente dal corrispondere, a titolo di iva, un importo medio pari ad euro 30,00 (trenta) per fattura.

Nel caso in esame pare non ricorra l’eventus damni né l’animus nocendi e pare, ai fini disciplinari, si sia piuttosto in presenza di semplici anomalie contabili, certo evidenti, ma dipese unicamente da un transeunte disordine amministrativo del P.U.

Del resto non è dato alcun automatismo tra la supposta fattura irregolare e la illecita concorrenza in quanto, in ispecie, la fattura del P.U. non ha posto alcun problema, con il cliente, di trasparenza sul valore degli onorari richiesti (si veda, nella parte motiva, Cass. civ. Sez. II, 30/12/2015, n. 26146).

In ogni caso, il ravvedimento operoso (quale circostanza attenuante specifica) viene concretamente integrato non solo dalla regolarizzazione fiscale delle pratiche incriminate ma anche dalla comunicazione ai medesimi clienti della nuova e regolare fatturazione in sostituzione della precedente.

Inoltre è stato contestato ad altro P.U. un illecito concorrenziale per “fatturazione compiacente” o “sbilanciata” in quanto il notaio avrebbe “caricato il suo onorario in massima parte sul mutuo e in minima parte sulla compravendita su richiesta delle parti” affinché le stesse possano “avere il maggior vantaggio possibile essendo detraibile la sola fattura del mutuo” in tal modo consentendo “alle parti di avvalersi di detrazioni fiscali non in tutto spettanti”.

L’accusa contesta la violazione dell’art. 147, lett. c) o lett. b), L.N. con riferimento all’art. 14, lett. a) e lett. b), cod. deont., oltre all’art. 147, lett. a), L.N.

Ma secondo quale criterio andrebbe applicato lo sconto da parte del notaio? Proporzionalmente? O in parti uguali?

Quando il notaio è chiamato a ricevere un’operazione unitaria che contempla la stipula di un atto di compravendita immobiliare e un collegato contratto di mutuo fondiario va da sé che il professionista, come è perfettamente libero di stabilire l’onorario che crede, così è anche perfettamente libero di concedere al cliente che lo richieda lo sconto ritenuto opportuno applicandolo sul segmento di quella complessiva e unitaria operazione che possa meglio agevolare la parte interessata.

Tra l’altro, spesso, le pratiche di mutuo fondiario sono proprio quelle che, rispetto alle connesse compravendite, implicano un lavoro maggiore per il notaio, che deve interfacciarsi ripetutamente con la banca quando questa trasmette documenti erronei o incompleti, da integrare e/o modificare ulteriormente rispetto alle bozze originarie.

E allora sarebbe forse sanzionabile anche il notaio che, indispettito dalle pressanti richieste di sconto avanzate dal cliente, “carica” l’onorario prevalentemente sulla compravendita senza consentire al comparente di fruire del vantaggio fiscale collegato all’atto di mutuo?

Non esiste alcuna incompatibilità logica o contraddizione tra sconto, valutazione dell’attività più onerosa e beneficio fiscale. Né vi è alcun “privilegio per indurre la clientela a chiedere le prestazioni allo studio”, vertendosi nell’ambito del normale esercizio dell’attività professionale.

D’altronde, a rigore, l’accusa deve anche dimostrare, per mandare a segno l’illazione di illecita condotta concorrenziale, o che il cliente è abituale (e che quindi il P.U. intende “fidelizzarlo” anche per le operazioni future) o che il notaio ha “favorito” il cittadino prospettandogli tale trattamento nella preventiva sede di conferimento dell’incarico professionale.

Si registrano inoltre dei casi in cui sono stati posti in essere degli estratti autentici di scritture contabili conservate su supporti telematici, ricevendoli, dal tenutario o nei casi d’urgenza direttamente dal creditore, senza avere “a disposizione gli originali cartacei e le credenziali di accesso alla contabilità telematica per poter entrare nei sistemi informatici del creditore”, e dunque in “aperto contrasto con l’art. 73, L. Not.”.

È contestata al notaio la violazione dell’art. 147, lett. c) o lett. b), L.N. con riferimento all’art. 14, lett. b), cod. deont., oltre all’art. 147, lett. a), L.N.

L’accusa si rifà ad uno studio di “best practice” del notariato risalente a qualche anno fa[27] e viene perciò in proposito contestato al P.U. un “comportamento frettoloso o compiacente.

La questione, finita in Procura, può in astratto implicare, in materia penale, anche un falso ideologico, sebbene, con ogni probabilità, innocuo.

Sul punto si segnala App. Torino, 03/10/2013 per il quale “la frettolosità non contiene in sé automaticamente né la realizzazione della illecita concorrenza né una siffatta intenzione da parte del Notaio, potendo esaurirsi nella condotta negligente e inosservante dei doveri professionali posta in essere per superficialità o trascuratezza; né può ritenersi che, in astratto, la clientela sia automaticamente – e illecitamente – attirata da un modus operandi frettoloso del Notaio e preferisca dunque rivolgersi allo stesso anziché ad un altro professionista più accurato”.

  1. Un aspetto procedimentale di rilievo.

In conclusione, solo una breve precisazione sul tema della ‘legittimazione disciplinare’.

L’ordinamento del notariato, dopo aver esteso la facoltà di esercitare il procedimento disciplinare al Presidente del Consiglio notarile in cui il fatto per cui si procede è stato commesso [art. 153, co. 1, lett. b), L.N.], prevede la competenza esclusiva, per l’attività di vigilanza sui notai, del solo Consiglio notarile del distretto nel cui ruolo il notaio è iscritto (artt. 93, co. 1 e 93-bis, co. 1, L.N.).

Perciò un’istruttoria preliminare (volta ad individuare il fatto oggetto dell’addebito, le norme che si assumono violate e a formulare le conclusioni) intrapresa e condotta a compimento da parte del Consiglio del “locus commissi delicti” (con accessi presso lo studio, estrazioni di estratti repertoriali, audizioni personali, ecc.) rischia di determinare una insanabile invalidità di tutta l’attività istruttoria posta alla base della richiesta di apertura del procedimento disciplinare e quindi si espone ad una eccezione, da parte dell’incolpato, di nullità o comunque di annullabilità della eventuale pronuncia sfavorevole emessa dalla Co.Re.Di.

In argomento, a quanto consta, non vi sono pronunce ex professo[28], ma non si esclude che, a breve, potrebbero sopravvenirne di puntuali[29].

Avv. Luca Crotti

[1] Il presente contributo dà conto di una relazione svolta il 27 ottobre 2017, a Cereseto (AL), in un convegno dal titolo “Deontologia notarile, IV direttiva antiriciclaggio e DDL Concorrenza” organizzato dal Consiglio notarile dei Distretti Riuniti di Novara, Vercelli e Casale Monferrato.

[2] Tali essendo quelle relative: alla personalità della prestazione; alla lealtà fiscale; al procacciamento d’affari, alla gestione del denaro altrui oltre che alla sede e all’ufficio secondario.

[3] Sia consentito il rinvio a L. Crotti, I temi deontologici più attuali, analizzati alla luce delle recenti pronunce emesse in materia disciplinare, in questa Rivista, I, 2017, p. 499, ss.

[4] Cfr. Cass. civ. Sez. II, 19/06/2015, n. 12732 per la quale: “Costituisce illecito disciplinare, da parte del notaio, invertire di fatto l’importanza tra sede di assegnazione e ufficio secondario, svolgendo nel secondo attività professionale di gran lunga maggiore che nella prima”.

[5] Invero alla clausola in esame dovrebbe applicarsi il codice del consumo (d.lgs. n. 206 del 06/08/2005) e, dunque, l’art. 36 della cit. legge materiale.

[6] Sul tema si rinvia al breve commento di G. Rizzi, Il preventivo obbligatorio (Legge annuale per il Mercato e la Concorrenza), in CNN notizie, 28/09/2017, p. 2, ss.

[7] Si rammenta in proposito che “In tema di responsabilità disciplinare notarile, l’abrogazione del divieto di svolgere pubblicità informativa per le attività libero professionali non preclude di sanzionare le modalità ed i contenuti del messaggio pubblicitario non conforme a correttezza, secondo quanto stabilito dai codici deontologici, sicché è vietata al notaio la pubblicità funzionale al suo interesse promozionale ovvero all’accaparramento di clientela attraverso diffusione di notizie soggettive, oppure anche oggettive, ma non verificabili e, quindi, autoreferenziali, o comunque non confacenti alla sobrietà, al decoro ed al prestigio della professione, secondo il comune sentire dell’etica professionale, mentre è consentita quella volta ad informare il pubblico, facilitando una scelta consapevole del professionista da parte della clientela”: Cass. civ. Sez. II, 05/05/2016, n. 9041.

[8] Tale norma risalente a quattro anni fa, in realtà, non è tuttavia mai stata applicata in quanto la relativa attuazione era subordinata ad un apposito regolamento mai in effetti emanato.

Oggi la nuova disposizione in commento non prevede più l’emanazione di un regolamento di attuazione e deve quindi ritenersi come già in vigore: viene solamente previsto (co. 67) che il C.N.N. elabori, entro 120 gg. dall’entrata in vigore della relativa legge (e quindi entro il 27 dicembre 2017), “principi di deontologia diretti a individuare le migliori prassi al fine di garantire l’adempimento regolare, tempestivo e trasparente di quanto previsto dai commi 63, 65, 66 e 66-bis del presente articolo nonché del presente comma [67, n.d.a.]. Del pari provvedendo gli organi preposti, secondo i rispettivi ordinamenti, alla vigilanza degli altri pubblici ufficiali roganti”.

[9] Per pure ragioni di trasparenza la legge, imponendo al P.U. di aprire un conto corrente speciale, intende impedire al notaio di avere un unico conto corrente promiscuo, con il quale gestire sia gli affari professionali sia quelli personali.

[10] La eventuale ‘marchiatura’ del conto rubricato come “dedicato ex l. n. 124/2017” non è un indice esterno di opponibilità sufficientemente percepibile erga omnes con la necessaria immediatezza.

[11] Affinché si abbia destinazione è necessario che, sul presupposto della infungibilità dei beni che ne sono oggetto, si possa affermare l’inefficacia di qualsiasi atto che tradisca la causa destinatoria (altrimenti manca l’incidenza del vincolo sull’investitura).

[12] Del resto, anche qualora la banca depositaria fosse messa a conoscenza della effettiva destinazione delle somme giacenti sui conti correnti del notaio, l’istituto di credito non avrebbe alcun mezzo per impedire al notaio di utilizzare il denaro confluito sul conto corrente, pur se ‘dedicato’, al perseguimento e alla realizzazione delle finalità liberamente individuate dal creditore correntista.

Infatti come non è verosimile ritenere che una banca, avendo dato corso ad una contabilizzazione a debito sul ‘conto dedicato’ del notaio, sia tenuta a pagare all’Erario il relativo importo in caso di sua illegittima distrazione, così non è ragionevole ritenere che il terzo in favore del quale è avvenuto il pagamento sia tenuto a restituire alla banca la somma ricevuta quale indebito oggettivo.

[13] Il pagamento ha natura reale (“solvere est alienare”): il momento traslativo è inscindibilmente collegato con quello solutorio.

Perciò, producendo il pagamento con denaro efficacia nel momento stesso in cui la somma entra nella concreta disponibilità del creditore (A. Di Majo, Le obbligazioni pecuniarie, Torino, 1996, 279, ss.), non è rinvenibile un momento precedente, rispetto alla solutio, in funzione del quale poter inibire l’efficacia giuridica di un atto di trasferimento (la dazione – per lo sfruttamento del valore di scambio della res -) che è e resta per sua stessa natura materiale (a prescindere dalle eventuali precedenti promesse di trasferimento della titolarità delle somme).

Sulla estensibilità dell’art. 1153, c.c. anche ai “vincoli di indisponibilità”: L. Mengoni, Gli acquisti <<a non domino>>, Milano, 1994, pag. 18, nota 42.

[14] Anche se l’eccezione di impignorabilità dovrà essere fatta valere dal notaio il quale sarà onerato di dimostrare che la giacenza sul conto pignorato è costituita da somme indisponibili.

Infatti, nell’esecuzione forzata posta in essere secondo il modulo del pignoramento presso terzi (art. 547, c.p.c.), “il terzo debitore del debitore esecutato non è legittimato a far valere l’impignorabilità del bene, neanche sotto l’aspetto dell’esistenza di vincoli di destinazione […] poiché in tal caso la questione attiene al rapporto tra creditore procedente e debitore esecutato (il quale ultimo si può avvalere degli appositi rimedi oppositivi previsti dalla legge, con conseguente carenza di interesse del terzo a dedurre siffatta doglianza nella forma dell’opposizione agli atti esecutivi avverso l’ordinanza di assegnazione). Inoltre, la circostanza dell’indicazione dell’esistenza di un vincolo di destinazione in occasione della dichiarazione resa dal terzo ai sensi dell’art. 547 cod. proc. civ. non fa venir meno il carattere di positività della dichiarazione stessa” (Cass. civ. Sez. III, 23/02/2007, n. 4212).

[15] La somma o il relativo credito è impignorabile da parte di “chiunque”, e quindi parrebbe anche da parte dell’Erario (ossia del creditore titolato, che certamente vanta verso il P.U. una pluralità di posizioni da soddisfare): scopo del legislatore, che conferma la piena fiducia nella figura istituzionale del notaio (che non si teme scappi con la ‘cassa’), è probabilmente quello di evitare che creditori del P.U. ad altro titolo possano “bloccare” l’intero conto destinato all’Erario.

[16] Sul tema si rinvia a Cass. pen. Sez. II, 06/12/1994, n. 6087.

[17] App. Roma Sez. III, 15/03/2017: “Integra il reato di peculato il notaio che si appropri di somme ricevute dai clienti per il pagamento dell’imposta di registro riguardante atti di compravendita immobiliare da lui rogati. Né assume rilievo, in senso contrario, il riferito, indimostrato, intento del professionista di trattenere solo temporaneamente, per fini suoi personali, le somme in questione, ciò non comportando la qualificazione della condotta ex art. 314, comma 2, c.p., configurabile soltanto se ricade su cose di specie e non su cose di quantità, come il danaro”; Cass. pen. Sez. VI, 10/06/2015, n. 33879 (che ritiene rilevante il mero ritardo): “Integra il delitto di peculato la condotta del notaio che non versi immediatamente all’Agenzia delle Entrate l’importo integrale delle imposte versategli dai clienti, da lui stesso determinato in maniera corretta ma auto liquidato per via telematica in misura volutamente inferiore al dovuto”; Cass. pen. Sez. VI, 11/03/2015, n. 20132: “Integra il reato di peculato il notaio che si appropria di somme ricevute dai clienti per il pagamento dell’imposta di registro riguardante atti di compravendita immobiliare da lui rogati”; Cass. pen. Sez. V, 16/10/2009, n. 47178: “Il notaio che ometta il versamento di somme, affidategli da clienti, destinate al pagamento dell’imposta di registro in relazione ad atti rogati incorre nel delitto di peculato. La condotta appropriativa del notaio deve essere qualificata come peculato. Infatti, la qualifica di pubblico ufficiale spetta al notaio non solo nell’esercizio del suo potere certificativo in senso stretto, ma in tutta la sua complessa attività, disciplinata da norme di diritto pubblico (legge notarile) e diretta alla formazione di atti pubblici (negozi giuridici notarili).”; Cass. pen. Sez. VI, 07/10/1999, n. 3106: “Commette il reato di peculato il notaio che, incaricato della levata di protesti cambiari, si appropria del denaro derivante dall’incasso degli effetti cambiari consegnatogli per detto scopo, omettendo di effettuare il pagamento nel tempo dovuto ai creditori e trattenendo le somme incassate su conto corrente personale. Il notaio conserva infatti la qualità di pubblico ufficiale anche successivamente alla levata del protesto, come si ricava dall’art. 9 comma 4 l. 12 giugno 1973 n. 349, in base al quale il notaio è annoverato tra i pubblici ufficiali che hanno l’obbligo di versare l’importo dei titoli pagati il giorno non festivo successivo a quello del pagamento.”; Cass. pen. Sez. VI, 13/11/1984, n. 3079: “Commette il reato di  peculato , di cui all’art. 314, c.p., il notaio che si appropri delle somme percepite dai privati e dovute per diritti dell’archivio notarile e per contributo della cassa nazionale del notariato; la p. a., infatti, è proprietaria, ed acquista la disponibilità giuridica delle quote di versamento ad essa destinate, al momento stesso del pagamento da parte del privato, sicché tali percentuali di tributo obbligatorio, comprese nei singoli versamenti, acquistano, al momento stesso della riscossione da parte del  notaio, natura di e non possono ricevere destinazione diversa da quella prescritta.”.

[18] Si segnala, a fronte del deposito alla rinfusa che connota il denaro in conto corrente, che i primi commenti vi ravvisano una “separazione patrimoniale per quantità” o una “destinazione di una quota delle somme depositate”. Ma il concetto di ‘destinazione di un valore’ pare in realtà una descrizione di quanto previsto dall’art. 2740, c.c.

[19] Cfr. Cass. civ. Sez. I, 07/04/1995, n. 4071, per cui: “Il deposito di una somma di denaro presso un notaio, effettuato a garanzia dell’adempimento dell’obbligo assunto dal venditore di provvedere alla cancellazione dell’ipoteca gravante sull’immobile venduto, attesa la sua natura fiduciaria e cauzionale, ha natura di deposito regolare, e come tale non è suscettibile di compensazione ex art. 1246 n. 2), c.c.”.

[20] Per la cronaca si segnala che nel distretto di Milano, lunedì 23 ottobre scorso, si sono insediati 39 nuovi notai, con tutte le ipotizzabili conseguenze del caso in termini di concorrenza tra professionisti.

[21]Art. 4 – Libera concorrenza e pubblicità informativa.

  1. È ammessa con ogni mezzo la pubblicità informativa avente ad oggetto l’attività delle professioni regolamentate, le specializzazioni, i titoli posseduti attinenti alla professione, la struttura dello studio professionale e i compensi richiesti per le prestazioni.
  2. La pubblicità informativa di cui al comma 1 dev’essere funzionale all’oggetto, veritiera e corretta, non deve violare l’obbligo del segreto professionale e non dev’essere equivoca, ingannevole o denigratoria.
  3. La violazione della disposizione di cui al comma 2 costituisce illecito disciplinare, oltre a integrare una violazione delle disposizioni di cui ai decreti legislativi 6 settembre 2005, n. 206, e 2 agosto 2007, n. 145”.

[22] In tal senso ancora si registra una condanna irrogata contra legem da Co.Re.Di. del Lazio, n. 146/2017, non essendosi in presenza di una condotta “predatoria” da parte del P.U. (G. Sicchiero, Il procedimento disciplinare notarile, Torino, 2017, 108-110).

[23] Invero anche a fronte di un mero disegno di legge (in ispecie l’art. 42 del “d.d.l. concorrenza 2017”: in Senato n. 2085-B) è evidente il già intervenuto mutamento delle regole sociali di etica professionale attualmente vigenti in materia, che rende completamente ‘fuori contesto’ ogni contestazione disciplinare (collegata alla norma in predicato di abrogazione) in quanto del tutto disancorata dal comune sentire dell’attuale momento storico (Cass. civ. Sez. VI, 23/03/2012, n. 4720).

Del resto, affinché la legge non si riduca a lettera morta e sappia rivelarsi in grado di esprimere gli attuali valori effettivamente incarnati dal popolo, è necessario che il rigido positivismo giuridico ceda il passo ad un “sistema (mobile) di significati normativi” (L. Mengoni, Scritti, I, Metodo e teoria giuridica, Milano, 2011, 11, ss.), retto dallo strumento dalla “interpretazione evolutiva” (F. Carnelutti, Teoria generale del diritto, Roma, 1951, 17, nota 59).

[24] Art. 2, c.p.: “Nessuno può essere punito per un fatto che non sia espressamente preveduto come reato dalla legge, né con pene che non siano da essa stabilite”.

È d’uopo ricordare il consenso sviluppatosi e formatosi a livello europeo ed internazionale in tema di favor rei: i) così è per la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea che, all’art. 49, co. 1, ult. periodo, recita come segue: “Se successivamente alla commissione del reato, la legge prevede l’applicazione di una pena più lieve, occorre applicare questa ultima”; ii) così è anche per la Corte di Giustizia delle Comunità europee, come da sentenza del 3 maggio 2005 resa nelle cause riunite C-387/02, C-391/02 e C-403/02; iii) così è inoltre per lo statuto della Corte penale internazionale che recita, all’art. 24 § 2, nel seguente modo: “Se il diritto applicabile ad un caso è modificato prima della sentenza definitiva, alla persona che è oggetto di una inchiesta, di un procedimento giudiziario o di una condanna si applica il diritto più favorevole”.

[25] Non è del resto certamente un caso se il novellato art. 82, L.N. prevede, al co. 3, un espresso richiamo al cpv. dell’art. 26, L.N.

[26] In altri termini il cpv. dell’art. 26, L. Prof. è sorretto da una ratio volta, non a tenere vincolato il notaio al proprio studio principale, ma a legittimare il P.U. ad una estensione territoriale del relativo ministero al di fuori del tradizionale àmbito operativo.

Pertanto il co. 2 dell’art. 26, L. Not., nel consentire al notaio di recarsi in tutto il territorio della Corte d’appello in cui si trova la sua sede notarile e di aprire un ufficio secondario nel territorio del distretto notarile in cui si trova la sede stessa, non intende affatto “assicurare il funzionamento regolare e continuo dell’ufficio” principale in quanto dettato dal legislatore contemporaneo per rispondere alle sempre più incalzanti istanze concorrenziali che, osservando il tessuto sociale di riferimento, è dato registrare nella categoria professionale in esame.

Si è perciò in presenza di una disposizione che, chiaramente, si giustifica per accentuare il carattere libero professionale dell’attività notarile (nella continua ricerca del difficile equilibrio tra gli opposti impulsi concorrenziali e di libero stabilimento) e non quello pubblicistico della funzione (che tende a garantire ai cittadini il mantenimento di un ufficio-studio stabilmente costituito). Per l’esistenza dei due differenti aspetti, pubblico e privato, che caratterizzano contemporaneamente, a diversi effetti, la figura notarile, si rinvia a Cass. civ. Sez. II, 18/01/2002, n. 541.

[27] Cfr. A. Gea, Copie, estratti e certificati, le allegazioni all’atto notarile e la certificazione di conformità all’originale dopo il d.lgs. 110/2010, “Atti del Convegno tenutosi a Milano 28 maggio 2010 e a Firenze 29 ottobre 2010 (n. 1/2011)” rintracciabili su internet nei Quaderni della Fondazione Italiana del Notariato; si veda altresì A. Gea, R. Zagami, Estratti notarili da libri contabili tenuti con mezzi informatici, in Studi e materiali, n. 1-2007/IG.

[28] Per Cass. civ. Sez. II, 19/06/2015, n. 12732: “Ai fini dell’accertamento di responsabilità disciplinari dei notai, è consentito ai consigli notarili effettuare attività mirate di ispezione, per poi eventualmente riferirne l’esito agli organi titolari dell’azione disciplinare e sollecitarne l’esercizio”.

È tuttavia necessario segnalare che la massima ultima citata non deve trarre in inganno il lettore in quanto integra un autentico infortunio dell’estensore, esprimendo un principio totalmente avulso dal caso concreto e dando conto di una soluzione non contenuta nel corpo della richiamata pronuncia.

[29] Assai opinabile, forzando la inequivoca ripartizione normativa, il parere con cui il ‘coordinatore del settore deontologia’ del notariato ha affermato che è “il nesso di inscindibilità funzionale che lega l’iniziativa del procedimento disciplinare ed i poteri di accertamento finalizzati alla sua instaurazione a dover indurre l’interprete a privilegiare una esegesi adeguatrice dell’art. 93 bis L.N. che ne individui la portata in termini simmetrici rispetto alla novellazione dell’art. 153 L.N. o, comunque, attesa l’identità di ratio delle fattispecie considerate, a propugnare l’estensione in via analogica dei poteri previsti dallo stesso art. 93 bis L.N. anche nei riguardi del Consiglio notarile del luogo di consumazione dell’illecito”: D. Cambareri, Competenza (concorrente dei cnd) all’esercizio dell’azione disciplinare e relativi poteri istruttori, Quesito n. 12-2015/D.

In realtà il Consiglio del locus commissi delicti, pur non essendo competente a svolgere una attività istruttoria verso un ‘non iscritto’, può compiere una serie di segnalazioni: avvisare del supposto illecito il Consiglio di iscrizione e, in caso di inerzia da parte di quest’ultimo, avvisare il C.N.N. (ex art. 93 bis, co. 3, L.N.) ovvero, in caso di archiviazione, comunque notiziare il Procuratore della Repubblica titolare di autonomo potere di promovimento dell’azione disciplinare [art. 153, lett. a), L.N.].

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