“Sulla trascrivibilità delle domande d’intervenuta usucapione tutela del diritto o diritto all’apparenza”, in Vita notarile, 3, 2007

Con decreto finora inedito n. 559/2006 (procedimento di V.G.[1]), la Corte d’Appello di Milano, sez. II civile, 22 novembre 2006, (Presidente G. Deodato, Relatore V. Calendino) ha statuito, adottando una soluzione innegabilmente di rottura con la prevalente dottrina, la seguente massima:

<< Secondo un’interpretazione anche solo strettamente esegetica si deve ritenere ammissibile la trascrivibilità delle domande dirette ad accertare l’intervenuta usucapione in virtù dell’espressa previsione di cui all’art. 2653 n. 1) c.c., formalità quest’ultima che potrà essere seguita – ricorrendone i presupposti – dalla trascrizione della successiva sentenza ex art. 2651 c.c..

Inoltre, e stavolta nell’ottica di un’analisi teleologicamente orientata, detta formalità non esplicherà ovviamente la propria utilità ai fini dell’opponibilità ai terzi del diritto reale acquistato a titolo originario (ai sensi dell’art. 2644 c.c.) ma al differente scopo dell’estensibilità del giudicato che eviterà all’usucapiente di dover instaurare un eventuale giudizio nei confronti di un acquirente a titolo derivativo dall’usucapito.

In tal modo si pone un freno alla proliferazione dei processi e, ancor prima, si garantisce una tutela effettiva sia all’usucapiente di fronte al rischio che l’usucapito si possa spogliare (anche solo in parte) dell’immobile de qua, sia al terzo acquirente a titolo derivativo dall’usucapito che diversamente non avrebbe alcuno strumento per accertarsi dell’esistenza di un giudizio vertente proprio su quello stesso bene acquistato – laddove, in caso di vittoria dell’usucapito, l’acquisto intervenuto a titolo originario non sarà per definizione intaccabile da quello derivativo del terzo -.

Ciò significa che la suddetta trascrivibilità giova tanto a chi propone la domanda quanto, contemporaneamente, alla generale esigenza di certezza relativa alla circolazione dei beni alla cui tutela sono per l’appunto poste le norme in materia di trascrizione.

Infine un’eventuale pretestuosità dell’azione giudiziale, se è vero che potrebbe potenzialmente recare pregiudizio al preteso usucapito (titolare formale) in quanto renderebbe alquanto difficoltosa la circolazione del relativo diritto dominicale, è anche vero che tale conseguenza economica ricorre in tutti i casi di trascrizione di una qualsiasi domanda giudiziale >>.

Sommario: 1. I termini del problema – 2. Inquadramento della situazione giuridica soggettiva esistente in testa alla persona dell’usucapiente-attore – 3. Protocollo notarile – 4. Potenziale rilevanza della pronuncia in favore di una tesi sulla trascrivibilità dei negozi c.d. preparatori in senso stretto.

  1. L’annotando provvedimento della Corte d’Appello milanese si offre all’esame non solo dei pratici ma anche dei teorici per l’estrema delicatezza della materia relativa allo statuto dei fatti di conoscibilità legale delle vicende circolatorie della ricchezza immobiliare.

Tale provvedimento vince le resistenze di una consistente parte di dottrina (avallata da taluna giurisprudenza[2]) che propende per la negativa in relazione alla trascrivibilità della domanda d’usucapione, rivelandosi invece conforme ad un lontano Appello-Firenze[3] (orientamento poi recentemente ribadito da Tribunale Napoli 21 dicembre 2006[4]).

Certamente, di fronte ad una scelta tanto netta quanto – sembrerebbe – pacifica da parte del Giudice milanese, non pare ora possibile trincerarsi dietro allo schermo di comode e semplicistiche affermazioni denunzianti una pretesa erroneità del deliberato ma si dovrà tentare di dare, compatibilmente con i limiti oggettivi delle presenti brevi annotazioni e con quelli soggettivi di chi qui scrive, un fondamento quanto più razionale possibile ai valori in essa espressi e dalla stessa riconosciuti come meritevoli di tutela.

Ad una prima disanima del decreto pare che la Corte milanese, nell’accogliere il reclamo, abbia posto alla base della trascrivibilità della domanda di accertamento della maturata usucapione la nota distinzione pugliattiana tra trascrizione dell’atto e trascrizione dell’effetto[5]. Infatti se è vero che oggetto (mediato) della trascrizione è l’effetto giuridico ex art. 2644 c.c. (ai fini della sua opponibilità ai terzi qualificati da un ulteriore rapporto con il medesimo autore attinente ad una stessa res) non è men vero che, sotto una luce più squisitamente statica, ciò che forma materialmente oggetto di immediata trascrizione è la stessa fattispecie acquisitiva (o, per essa ed in mancanza di un formale titolo fin da sùbito utile allo scopo, l’atto teleologicamente diretto a fornirne la comprovante documentazione) volta a dar conto erga omnes della specifica vicenda giuridica prodottasi (ai fini di assolvere all’imprescindibile compito di garantire un’adeguata pubblicità-notizia ai cives in ordine agli effettivi assetti proprietari[6]).

Sicché, per la Corte meneghina, la domanda giudiziale di usucapione è trascrivibile non tanto per assicurare all’usucapiente un (in realtà non necessario) effetto di opponibilità del proprio acquisto verso i terzi aventi causa a titolo derivativo dall’usucapito (perdenti per definizione[7]), ma in quanto atto intimamente funzionalizzato, per un’esigenza di ordine pubblico, a garantire l’approntamento di reali e completi indici di conoscibilità esterna – a vantaggio del mercato – della globale dimensione circolatoria involvente un dato bene immobile (benchè trattasi, nel caso di specie, di circolazione solo indiretta[8]), in tal modo assicurandosi altresì massima veridicità e, dunque, efficienza al sistema pubblicitario riguardato nel suo complesso[9].

La lettera dell’art. 2653 n. 1) c.c., laddove prescrive la trascrivibilità delle “domande dirette all’accertamento dei diritti stessi”, sembra invero sufficientemente chiara sul punto[10]: si è dunque in presenza di un fenomeno di applicazione diretta della norma[11] che non rende necessario richiamarsi (neppure a fini meramente estensivi) alla massima dell’ubi eadem ratio ibi eadem dispositio[12]. D’altronde l’atto di citazione è e resta strutturalmente uguale a se stesso anche quando è mosso dalla finalità di accertare l’esistenza di un diritto reale acquistato a titolo originario: diversamente argomentando il discrimen cadrebbe necessariamente su un aspetto prettamente contenutistico – e dunque anche di dinamica effettuale (ossia su di un piano che, come si è precisato, non interessa ai fini di una corretta ricostruzione della fattispecie in esame) -. Tanto più è vero quanto più si consideri che lo stesso art. 2653 n. 1) c.c. è letto dalla migliore dottrina processualistica[13] come disposizione che vale a riconoscere l’atipicità dell’azione di mero accertamento: le modalità acquisitive che sono state alla base di ciò di cui si pretende la verifica giudiziale non possono evidentemente qui rappresentare un limite alla sua trascrivibilità.

E d’altronde con domanda (art. 2653 c.c.) e sentenza (art. 2651 c.c.)[14] si apre e si chiude un iter procedimentale che, solo se pubblicizzato per intero (nella scansione cioè di ogni sua fase vitale), riesce a dar conto esaustivamente – rappresentandolo all’esterno fedelmente in ogni suo segmento formativo – dell’unitario effetto di accertamento cui finalisticamente esso stesso tende (tanto più che domanda e sentenza sono entrambi atti aventi omogeneamente sia struttura che funzione dichiarativa). Perché mai i terzi dovrebbero essere posti nella inevitabile condizione di poter scoprire dai registri immobiliari solo ex abrupto dell’esistenza di una sentenza che accerti un acquisto invece formatosi già da tempo, senza piuttosto poter essere previamente messi sull’avviso della mutata situazione di titolarità risultante dai registri stessi (o, quantomeno, dell’instaurazione di un procedimento diretto a sancirne il relativo accertamento) ? Le due surriferite disposizioni pare che, in realtà, ben si possano integrare a vicenda, dando così pubblica evidenza non solo della coda del procedimento accertativo de quo ma anche del suo stesso capo[15].

Come poi non rilevare che nell’era legislativa della comunicazione e della capillare informazione, con il negare la trascrivibilità della formalità in questione chiudendosi a riccio sopra oramai obsolete ed ancòra oggi pesantemente calcificate prese di posizione tralatiziamente accettate, si finirebbe per produrre di fatto l’abnorme risultato di privilegiare, nell’utilizzazione di uno strumento per definizione pubblico, l’interesse del singolo (nella persona dell’usucapito) a quello della stessa collettività al cui servizio è preordinata la trascrizione.

La proposizione di una domanda d’usucapione rende opportuna una sua pubblica segnalazione in quanto, quest’ultima, ha solo l’effetto (e, dunque, la funzione) di rendere conoscibile un evento modificativo di una preesistente posizione sostanziale (postulata come già legalmente conoscibile) con conseguente evidenziazione dell’esistenza di una nuova situazione (di prescrizione-acquisitiva) con funzione estintivo-costitutiva: in mancanza si avrebbe l’evidenza di un titolo che fornisce al mercato solo l’apparenza di un’attuale legittimazione a disporre dal quale non trasparirebbe che invece il soggetto ivi indicato come titolare non è (più) il vero dominus. Si creerebbe cioè un monstrum di un sistema pubblicitario che dovrebbe per definizione escludere situazioni di apparenza[16] e che invece giungerebbe, praeter (recte: contra) legem, a legittimare una posizione di apparenza iuris per i terzi di buona fede (non potendo più venire spiegato in termini di ‘autoresponsabilità’ l’eventuale danno da questi ultimi patito), apparenza poi però sguarnita della conseguente e necessaria tutela in diritto (considerata la prevalenza dell’acquisto dell’usucapiente).

Né si trascurino poi gli effetti indiretti che rendono maggiormente evidente la convenienza di consentire la formazione nei terzi di un realistico affidamento circa l’effettiva capacità economica di un soggetto (potenziale debitore) in ordine ai beni immobili realmente presenti nel patrimonio di quest’ultimo anche ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 2740 c.c. o la possibilità di ritenere, in esito all’evasione della detta formalità, presuntivamente sussistente la scientia decoctionis ai fini di una possibile azione revocatoria o, ancora, l’opportunità di conferire conoscibilità, a vantaggio dell’usucapito, del procedimento in fieri nel caso di difficile reperibilità di quest’ultimo ai fini di rendere effettiva la tutela di cui all’art. 24 Cost.. Ma gli esempi di efficienza dell’opzione ermeneutica qui avanzata potrebbero continuare a lungo.

Qualora poi il consesso di giudicanti, assumendo la modalità dell’interpretazione storica, abbia rivolto la propria attenzione alla Relazione al Re, avrà con ogni probabilità ricavato che il legislatore del ’42 non ha previsto la trascrivibilità, letteralmente, delle “domande di usucapione” al solo scopo di non rischiare di indebolire l’istituto dell’usucapione ordinaria, volendone così lasciare inalterata la sua natura di fattispecie acquisitiva idonea a prodursi integralmente sul solo piano sostanziale. Non si è dunque voluto addossare all’usucapiente l’onere di intentare un giudizio al fine di non creare negli operatori del diritto il dubbio del se dover ascrivere alla relativa formalità natura costitutiva in riferimento allo stesso diritto oggetto di usucapione. Il messaggio che si è voluto dare è del seguente tenore: per poter usucapire non è necessario passare attraverso le porte del processo. Tuttavia, proprio attraverso la dizione dell’art. 2653 n. 1) c.c., non si è inteso precludere la possibilità di addivenire alla trascrizione de qua per la stessa intrinseca utilità sociale che la formalità in sé racchiude. Questo stesso ordine di problemi non si è invece posto per la sentenza d’intervenuta usucapione: di tale atto, indubitabilmente di natura accertativa, ne è stata prevista alla lettera la trascrivibilità ex art. 2651 c.c. proprio per rendere chiara la precipua finalità di pubblicità-notizia che soddisfa, in tale sedes materiae, l’istituto trascrizionale.

La Corte, con una pronuncia che non può propriamente intendersi come rivolta a dar fondo a quello che può definirsi un favor commercii (nel senso di incentivarne una sua speditezza), ha individuato, come rilevante ex art. 2653 n. 1), l’opposizione di interessi in astratto configurabile rispettivamente tra usucapiente e terzi da un lato ed usucapito dall’altro, facendo prevalere quelli dei primi su quello del secondo. Ma in che relazione sono poste le suddette categorie di interessi ?

È fuori discussione che la formalità de qua non serva né a ‘prenotare’ né a consolidare (in punto di diritto sostanziale) alcun acquisto per alcuno dei soggetti interessati dalla complessa vicenda in esame, esprimendo invece essa la propria funzionalità, nello specifico alveo della pubblicità-notizia, tanto a vantaggio dei terzi quanto dell’usucapiente (e non solo a favore dell’acclarato dominus nella prospettiva anti-processuale dell’opponibilità dell’accertamento[17]).

Infatti la trascrizione in esame non può in alcun caso dar soluzione a qualsivoglia conflitto astrattamente ipotizzabile sul piano reale (né tra effettivo usucapiente e terzi acquirenti dall’usucapito né tra usucapito e terzi acquirenti dal preteso usucapiente).

L’art. 2653 n. 1) dà intanto risposta ad una potenziale opposizione di interessi processualmente rilevante tra usucapiente e terzi acquirenti dall’usucapito, ai fini dell’estensibilità del giudicato da parte del primo nei confronti dei secondi[18]. In tale prospettiva la pubblicazione della domanda d’intervenuta usucapione potrebbe tuttavia giovare all’usucapito al fine di consentirgli di intervenire prontamente in giudizio per eccepire le proprie ragioni (ex art. 111, cpv. Cost.).

Nemmeno è rinvenibile alcuna utilità nel rapporto tra usucapito e terzi di lui acquirenti, fosse anche per il solo fatto che il primo non ha normalmente alcun interesse a dar pubblica contezza, mediante lo strumento trascrizionale, del fenomeno estintivo che ha coinvolto il proprio diritto dominicale[19]; lo stesso inoltre dicasi, e cioè per l’inconferenza della norma in commento, in riguardo alle posizioni dell’usucapito (ancòra formalmente titolare della res) e dei terzi acquirenti dall’usucapiente laddove il primo dispone già di uno specifico strumento rappresentato dall’art. 2653 n. 5) c.c. (domanda giudiziale volta a produrre l’interruzione del corso dell’usucapione ordinaria immobiliare) che adempie anche alla funzione di avvertire i terzi acquirenti dal preteso usucapiente che il bene non è ancòra di sua certa titolarità (nonostante così potrebbe invece apparire dalla considerazione della mera situazione possessoria[20]) – rendendo loro noto l’elevato rischio di impegnarsi in un acquisto nella sostanza radicalmente inefficace -: in dottrina è già stato sottolineato come in realtà l’onere di pubblicità delle domande interruttive del maturarsi dell’usucapione, lungi dall’indebolire l’usucapione, la rinforzano, se non nei riguardi dell’usucapiente, quantomeno nei confronti dei di lui acquirenti (rispetto ai quali i fatti interruttivi non resi pubblici non produrrebbero effetti poiché loro non estensibili attraverso lo strumento formale dell’opponibilità). Ovviamente un profilo di giuridica rilevanza non è riferibile neppure al rapporto instauratosi tra usucapiente e terzi di lui accidentali acquirenti in quanto la formalità pubblicitaria risultante fin dall’origine come sussistente a favore di un soggetto diverso (l’usucapito) imporrebbe già di per sé sola all’usucapiente-possessore di informare il proprio avente causa dell’esistente situazione processuale (o, il che è lo stesso, della maturata situazione possessuale).

Essa invece considera, nel generale interesse della circolazione, la posizione dell’usucapiente teleologicamente connessa con quella collettiva dei terzi potenziali acquirenti (e tra questi, in particolare, con quella dei terzi che sarebbero naturalmente indotti ad indirizzarsi verso l’usucapito) su un preventivo piano sostanziale ed in punto di tutela ’personale’[21] in guisa da indirizzare correttamente le negoziazioni ed escludere altresì, ad ogni rilevante fine, la buona fede nei terzi stessi che abbiano proceduto alla contrattazione direttamente con la persona dell’usucapito[22]. Infatti la trascrizione della domanda d’usucapione, rendendo pubblica evidenza di un procedimento giudiziale volto a sfociare in una pronuncia dichiarativa afferente ad un effetto reale già prodottosi, ha come rilevante portato quello di fondare la conoscenza nei terzi acquirenti dall’usucapito dell’(altamente probabile) altruità della res al fine di rendere applicabile nei loro riguardi il principio di ‘autoresponsabilità’ (e dunque anche di dissuaderli in anticipo dal contrarre, così evitando una ragione di pericolo o di minaccia agli interessi patrimoniali dei consociati che dall’usucapito potrebbero ritenere di acquistare bene).

L’efficacia della trascrizione della domanda d’usucapione ordinaria, non svolgendo alcuna funzione prenotativa rispetto alla trascrizione della successiva sentenza, assolve invece ad una specifica funzione cautelare per il mercato immobiliare[23], valendo quindi a rendere più efficiente il pubblico servizio pubblicitario.

E quand’anche fosse esatto che la pubblicità immobiliare, nella sua funzione di pubblicità-notizia, non abbia la pretesa di stabilire con certezza assoluta ed incontrovertibile chi sia il reale proprietario di un dato bene, è tuttavia vero che essa si rivela comunque finalizzata a porre in luce quale sia l’effettiva attuale condizione in cui versa un certo bene in relazione a quello stesso soggetto che ne risulta formalmente titolare. Senza trascurare la considerazione che la pubblicità della domanda può dirsi utiliter acta anche in quanto essa vale a rafforzare nell’usucapiente l’esercizio pubblico del potere di fatto già applicato sulla cosa, come ausilio determinativo del tempo a partire dal quale il soggetto interessato possiede uti dominus: il solo possesso attuale non è idoneo a fornire anche la rappresentazione del tempo da cui la sua stessa conduzione è in atto, mentre la trascrizione della domanda d’usucapione sarebbe indice esterno della circostanza che il ventennio è interamente trascorso dandosi così pubblicamente atto che quella fattispecie a formazione progressiva si è completata per il decorso del tempo richiesto dalla legge.

Nessun problema pare infine poter sollevare la potenziale pretestuosità della richiesta di trascrizione per il caso di una sua assoluta infondatezza in ius (c.d. trascrizione ‘spauracchio’ con finalità meramente di disturbo o, finanche, estorsive): tale argomento[24] sarebbe figlio della teoria ottocentesca dell’azione ‘concreta’, quale quella che spetta solo a chi ha ragione e non anche a chi crede di averla. Detta valutazione è invece quella che colorerà eventualmente di sè il merito della decisione e non può certo essere compiuta antea al fine di rifiutare la ricezione dell’adempimento pubblicitario, pena introduzione di elementi puramente arbitrari da parte del Conservatore dei registri immobiliari (in manifesta violazione dell’elencazione tassativa di cui all’art. 2674 c.c.). D’altronde l’attore non chiede il riconoscimento del “diritto ad usucapire” (il che solo potrebbe rappresentare un contegno ostruzionistico alla libera commerciabilità), ma della maturata usucapione: l’incertezza che si può percepire sulla fondatezza sostanziale o meno della richiesta di trascrizione, in realtà, è quella stessa fisiologica alea che promana dall’incardinata azione giudiziale e che attiene all’esito del procedimento di accertamento del diritto (quale naturale effetto coessenziale a qualsiasi tipo di causa)[25]. Qualora poi l’azione dovesse rivelarsi concretamente infondata, la temeritas (sub species iuris di abuso funzionale del diritto potestativo d’azione ex art. 96 c.p.c.) sarebbe da ritenersi in re ipsa[26] e condurrebbe quasi in automatico ad una condanna a titolo aquiliano per lite pretestuosa, il che varrebbe già di per sé ad assicurare un sufficiente grado di garanzia al soggetto che si pretende usucapito ed a rendere perciò ben ponderata anche l’istanza di trascrizione da parte di chi si assume usucapiente[27].

La riconosciuta ammissibilità dell’evento trascrizionale in oggetto sembra potersi ricondurre a tutto quanto sopra esposto[28], laddove il voler invece disconoscere l’intrinseca utilità della trascrizione dell’atto giudiziale d’intervenuta usucapione metterebbe in seria crisi gli stessi valori strutturali del diritto quali la certezza sostanziale delle situazioni soggettive giuridicamente rilevanti, della completezza della disciplina normativa trascrizionale e del conseguente ordo sistematico mentore dei valori di solidarietà costituzionale[29], senza scordarsi del primario ‘bene’ della verità degli stessi fatti giuridici il quale ultimo, contro potenziali travisamenti e conseguenti sviamenti, risulta essere tutelato anche attraverso il filtro offerto dalla trascrizione delle domande rivolte ad un suo stesso accertamento[30].

  1. Certamente il problema qui affrontato si presenta come uno dei più spinosi in ambito trascrizionale e merita di essere approfondito, per quanto possibile in questa sede, soprattutto in riferimento a quegli aspetti che il dictum della Corte d’Appello non si è premurato – nemmeno minimamente – di sfiorare.

Il Giudice di Milano si è infatti limitato a sancire, sul terreno assiologico degli interessi coinvolti, che la trascrizione della domanda d’usucapione risponde all’esigenza pratica di approntare un’effettiva tutela sia nei riguardi dell’attore-usucapiente al fine di contenere il rischio (?) che l’usucapito possa spogliarsi di un bene (che però, in realtà, non è oramai più suo), sia nei confronti del terzo acquirente a titolo derivativo dall’usucapito che altrimenti non disporrebbe di alcuno strumento per accertarsi dell’esistenza di un giudizio vertente proprio su quello stesso bene che si è creduto di acquistare[31].

Sotto quest’ultimo aspetto i terzi, in quanto riducibili sinteticamente alla comunità organizzata, devono ritenersi portatori di un interesse generale giuridicamente rilevante, diffuso[32], e (teleologicamente) patrimoniale[33], istituzionalizzato dalla stessa predisposizione da parte dell’ordinamento di un sistema pubblicitario, e teso alla realizzazione di un valore strumentale assoluto, attuale, ricorrente e permanente costituito dalla certezza del diritto in relazione agli assetti (soggettivi ed oggettivi) afferenti i beni immobili ed i mobili registrabili (non essendo gli stessi passibili di sole vicende successorie in senso ampio)[34].

Ma quid iuris in relazione alla posizione del soggetto usucapiente[35] ?

Indubbiamente il potere di agire in giudizio costituisce un diritto potestativo pieno e, in quanto tale, incoercibile per definizione.

Ma, una volta che l’acquirente a titolo originario si sia liberamente determinato ad agire in giudizio per ottenere una sentenza di accertamento del proprio diritto, la situazione sostanziale di piena libertà d’agire che gli faceva capo può legittimamente ritenersi subisca delle modifiche in prospettiva pubblicitaria[36] e, dunque, essere riguardata sotto un mutato profilo prospettico (anche in virtù della circostanza che, in relazione alla stessa vicenda prodottasi a titolo originario, si è dato un fatto nuovo ed ulteriore, idoneo a renderla conoscibile nell’immediato erga omnes)[37].

Ed infatti pare corretto ritenere che mentre l’immediatezza del prodursi dell’acquisto derivativo viene scontata dall’avente causa attraverso la diretta imposizione a carico di quest’ultimo da parte dell’ordinamento di un onere di trascrizione ai fini dell’opponibilità dell’intervenuto incremento patrimoniale, il costo che viene a subire l’usucapiente in termini di annoso (e, solo medio tempore, incerto quanto al buon fine) iter possessuale, funzionale allo stesso acquisto originario del diritto, viene ‘compensato’ in termini di libertà di azione giudiziale ai fini dell’ottenimento (anche) di un formale accertamento della maturata posizione dominicale (venendo così premiato l’usucapiente, e per esso la costanza della volontà tesa al dominium di un bene altrimenti non sfruttato da altri, attraverso il riconoscimento della diretta opponibilità dell’acquisto formatosi a titolo originario). Ma qualora successivamente l’usucapiente decida di predisporre un titolo di per sé idoneo alla trascrizione, un identico onere non potrà non ravvisarsi anche a suo carico: la diversità strutturale della modalità acquisitiva non pare idonea a vulnerare la considerazione per la quale tanto più è intensa l’opponibilità di un acquisto in sé considerato, quanto più la relativa vicenda deve ritenersi soggetta al vincolo di conoscibilità legale (quale forma pubblicitaria eseguibile dal momento in cui, ovviamente, ne vengano integrati i necessari presupposti di trascrivibilità).

L’usucapiente-attore deve quindi ritenersi gravato da una (per ora) generica situazione di doverosità in riferimento alla proposizione della richiesta di trascrizione dell’atto introduttivo del processo stesso[38], quantomeno al superiore fine di non creare un’arbitraria disparità di trattamento (lato sensu ‘gnoseologico’) in danno ai terzi interessati, per mero accidente, ad acquistare beni dalla categoria degli usucapiti: la conoscibilità legale delle situazioni di usucapione (laddove l’usucapiente si sia spontaneamente determinato ad agire in giudizio), garantendo i terzi nelle contrattazioni che si apprestano ad intraprendere, non può poi essere lasciata alla mercè del nuovo proprietario nel senso di esclusivamente facoltizzarlo ad una scelta del tutto arbitraria e giuridicamente indifferente del se dar fondo o meno all’instaurato pubblico procedimento giudiziario con relativa la pubblicità trascrizionale (detta scelta, benchè libera, deve necessariamente rappresentare la conseguenza di un peculiare bilanciamento tra propri e contrapposti interessi compiuto a monte dal soggetto titolare della facoltà trascrizionale).

Non pare però ora certo sostenibile che l’usucapiente possa ritenersi gravato da un’obbligazione in senso tecnico ostandovi, prima di qualsiasi altra valutazione, la fisiologica indeterminatezza ex ante dello stesso soggetto attivo.

Sulla base di quest’ultimo rilievo qualche maggior apertura potrebbe invece rinvenirsi nella considerazione dell’istituto dell’obbligo, almeno aderendo alla sua diffusissima ricostruzione in termini di situazione di generica doverosità a soggetto attivo (a priori) indeterminato[39] (ben potendosi per esempio avanzare che i terzi acquirenti dall’usucapito siano facoltizzati a chiamare in corresponsabilità l’usucapiente-attore non trascrivente per mancata attuazione della formalità qui considerata[40]). Situazione soggettiva giuridica passiva, quest’ultima, tuttavia forse troppo intensa da poterne gravare l’usucapiente per il semplice fatto di aver agito in giudizio (considerando anche la stessa esistenza di una posizione doverosità formalmente identica in capo al Cancelliere).

La situazione giuridica che dunque pare meglio attagliarsi alla posizione dell’acquirente a titolo originario è quella dell’onere in senso proprio[41] (o “dovere libero”[42]) detto “di legalità[43]”, realizzabile attraverso un’attività di facere comportante una modificazione materiale della preesistente realtà pubblicitaria[44]: essendo le formalità di cui agli art. 2653 n. 1) e 2651 c.c. inconferenti ai fini degli artt. 2644 e 2650 c.c., non pare pienamente corretto prendere a parametro di riferimento la non operatività delle conseguenze circolatorie previste da queste ultime norme per giudicare della non ricorrenza di un onere in senso tecnico nelle prime due. In verità tutte e quattro le norme in esame sono collegate dal comune aspetto della conoscibilità legale, solo che nelle seconde due questo aspetto non è il preminente mentre nella prima coppia esso vale ad integrarne il connotato funzionale essenziale (autentica ratio ispiratrice).

La considerazione poi che gli artt. 2653 n. 1) e 2651 c.c. non prevedano espressamente alcuna conseguenza sanzionatoria a carico dell’usucapiente che non si attivi presso i pubblici registri immobiliari non significa per ciò solo che non si possano comunque produrre a carico di quest’ultimo automatiche conseguenze sfavorevoli giuridicamente degne di rilievo[45] (queste ultime non essendo ravvisabili in una maggior facilità di attribuzione della res da parte dell’usucapito né, ex adverso, in una maggior difficoltà pratica nell’esercizio del potere di disposizione sul bene da parte dell’usucapiente[46] poiché anche questi aspetti riecheggerebbero comunque di una considerazione figlia, in fatto, dell’art. 2644 c.c. che è norma la quale non interessa alla materia de qua[47]).

  1. Sotto il profilo dell’attività notarile[48], meritano rilievo le seguenti considerazioni, ciascuna riconducibile ad un modus operandi attento all’approntamento della giusta tutela dei complessivi interessi in gioco.

Si ritiene in primis come la doverosità della formalità in questione non rientri né nelle competenze istituzionali né in quelle professionali del notaio investito del rogito, esulando essa dal disposto di cui all’art. 2671 c.c.[49] (al più, l’obbligo in esame, sarà di diretto appannaggio del Cancelliere ex art. 6, 2° com. T.U. 31 ottobre 1990 n. 347 – benchè tale doverosità sia ordinata per la realizzazione di finalità di natura eminentemente fiscale -).

In verità qualora il preteso usucapiente si rechi dal notaio in veste di alienante ed il primo non abbia instaurato alcuna azione giudiziale d’accertamento, non si vede di quale oscura situazione di obbligatorietà si potrebbe mai ritenere gravato il pubblico ufficiale. Al più il notaio potrà chiarire che riceverà l’atto solo quando disponga di una sentenza di accertamento che gli confermi l’attuale titolarità del bene in testa a colui che in sede di stipula rivestirà la posizione di dante causa (anche agli effetti di cui all’art. 54 Reg. not.). Se invece la domanda d’usucapione è stata depositata nella cancelleria del competente Tribunale, ecco che allora il notaio, potendo solo consigliare la trascrizione della relativa domanda, attenderà l’esito del giudizio prima di confezionare l’atto richiesto.

Qualora invece si presenti in studio l’acquirente e vi sia stata da parte dell’usucapiente-alienante la libera proposizione del giudizio volto all’accertamento dell’effettiva spettanza del dominium, ecco che la consulenza professionale più equilibrata sarà sempre nel senso di attendere l’esito della vertenza (benchè non si può escludere a priori la praticabilità di una stipulazione la cui dimensione effettuale venga modellata mediante la predisposizione di un apposito meccanismo condizionale).

Se poi l’acquirente dichiari al notaio che la domanda giudiziale nemmeno è stata intentata da parte dell’alienante-usucapiente, allora l’atto non andrà certamente ricevuto fintanto che non si disponga di una sentenza che comprovi per tabulas in capo a chi sussista, nel caso concreto, il potere di disposizione.

Quest’ultima proposta ricostruttiva non vuol certo essere espressione di un contegno del libero professionista inutilmente prudenziale ma, al contrario, viene suggerita dalla piena attuazione del paradigma del ‘buon professionista’ attento a proteggere, al meglio ed in uno, tutte le sfere patrimoniali coinvolte nell’affare (anche nel rispetto della funzione anti-processuale inscindibilmente connessa al ruolo di cui è investito il notaio).

Quanto sostenuto pare tanto più corretto quanto più si consideri che l’effetto di estensione del giudicato non è risultato che si possa ritenere naturalmente dedotto nell’obbligazione che grava ex contractu sul notaio poichè tale conseguenza esula dal “voluto” delle parti[50], laddove spetta invece al Conservatore dei registri immobiliari ricevere senza indebite resistenze la formalità in oggetto al fine di scongiurare il concretarsi a proprio carico di una responsabilità per illecito.

Certo è che, perfezionandosi la fattispecie acquisitiva de qua sul piano del mero fatto, qualora il notaio disponga di tutti gli elementi necessari al fine di ritenere sufficientemente formato il proprio convincimento in ordine all’effettiva spettanza dell’oggetto dedotto nel richiesto contratto (stato di titolarità del negoziando bene) niente potrà vietargli di ricevere il relativo negozio[51] pure prima dell’intervenuta trascrizione della domanda o della pronuncia del provvedimento giudiziale.

  1. Appare chiaro come la pronuncia in commento abbia coraggiosamente abbandonato la tradizionale rigidità con la quale viene usualmente costruito l’istituto trascrizionale: quest’ultimo ha perciò saputo rivelarsi strumento alquanto duttile per la sua stessa idoneità a realizzare un’ampia rosa di funzioni, mutevoli a seconda delle concrete esigenze di volta in volta sollevate dalle particolari istanze fatte proprie dagli stessi consociati (ovviamente nei limiti di quanto ontologicamente consentito dallo stesso strumento pubblicitario).

Senza temere ora di sovradimensionare l’istituto[52], la trascrizione – per sua stessa logica interna – si dimostra idonea a rappresentare (in un’intensità effettuale propria di un climax ascendente) la tracciabilità dell’iter che connota quei fenomeni che si danno in esito al perfezionamento di una data fattispecie procedimentale. Notoriamente essa infatti, partendo dall’essere (nel minimo) uno strumento di mera conoscibilità legale di vicende giuridicamente rilevanti (magari racchiudenti anche solo programmaticamente una valenza reale) in funzione di pubblicità-notizia, attraversa (qualora ricorrano i presupposti dell’acquisto derivativo) il livello mezzano rappresentato dalla costituzione erga omnes di quella forma di tutela che va sotto il nome di opponibilità in funzione di pubblicità dichiarativa, per giungere (ora eccezionalmente) al piano per così dire di massima intensità dato dalla rilevanza integrativa della medesima fattispecie acquisitiva in funzione, stavolta, costitutiva della situazione soggettiva in punto di sua stessa giuridica sostanza.

Ma se si concede che la trascrizione della domanda d’usucapione trova la propria ragion d’essere sia ai deflattivi fini processuali sopra evidenziati sia ai fini di garantire (anche nell’interesse di colui che si attiva per l’espletamento della succitata formalità) piena conoscibilità legale della situazione giuridica che investe un dato bene in relazione a dati effetti indirizzando così il mercato ad un corretto (poichè informato) impulso circolatorio, non pare ora del tutto peregrino chiedersi (quantomeno al fine di fugare ogni dubbio scartandone la sostenibilità) se quegli stessi principi sottesi nella pronuncia emanata dal Giudice di Milano possano, mutatis mutandis, in qualche modo valere anche a far ritenere trascrivibili i c.d. accordi preparatori in senso stretto[53], quali l’opzione[54], la prelazione[55] e la stessa proposta ferma[56] (rimanendo certamente esclusi dal presente novero tanto la proposta semplice – in ragione della relativa strutturale inidoneità a provocare l’attuale formazione di un vinculum iuris anche solo ex uno latere -, quanto la fase delle trattative – per la connaturale esistenza di uno spatium temporis variabile ai fini della libera retrattabilità ad nutum dei contegni in discorso -).

Ci si interroga, in tutta sostanza, se – traendo argomento dal collegato disposto di cui agli artt. 2645 ultima parte c.c. e 2 Cost. da un lato e, dall’altro, di quello di cui agli artt. 2645 bis e 2043 c.c. – si possa effettivamente individuare un principio ordinamentale che legittimi una sorta di “pubblicità di sostegno infraprocedimentale” funzionalizzata ad accompagnare e supportare le fasi di formazione del titolo d’acquisto finale e definitivo attraverso la pubblica evidenza del momento preparatorio (senza per ciò solo doversi passare per la fictio di un ripugnante “diritto all’integrità del patrimonio”[57]).

Si deve verificare, seguendo un metodo di interpretazione in un certo qual modo evolutiva, se la trascrizione – al di fuori delle vicende circolatorie tradizionali nelle quali incide fin da sùbito direttamente in punto di acquisto definitivo e finale – sia in grado di ritagliarsi un proprio spazio socialmente meritevole anche in materia di conoscibilità legale delle diverse vicende preparatorie (dei diritti di cui all’art. 2643 c.c.) che comunque risultano idonee ad interessare la sfera giuridica che contorna quel tipo di bene per sua stessa natura potenzialmente assoggettabile a pubblicità. D’altronde non v’è chi non veda come la trascrizione, se nel suo aspetto giuridicamente più incisivo è volta a risolvere (ai sensi dell’art. 2644 c.c.) le oramai maturate situazioni sostanziali-patologiche[58], ben può limitarsi – in un momento fisiologico antecedente – a fungere da monito nello sconsigliare un dato acquisto laddove l’intervenuta formalità avverta il potenziale secondo acquirente che in realtà esiste già un primo trascrivente dal medesimo autore (in tal caso la trascrizione assolve anche ad una funzione sociale – innegabile – di rendere una notizia a vantaggio della collettività dei consociati laddove consente, con il contenere i rischi di un inconsapevole acquisto fin dall’origine inefficace, la piena realizzazione della certezza dei traffici giuridici).

E se si assume che la trascrizione, nell’espletamento della sua indefettibile funzione di pubblicità-notizia, può valere a dare piena e cautelativa rilevanza esterna a quelle stesse complesse fattispecie produttive di situazioni soggettive attive proprio in quanto potenzialmente ledibili da parte di terzi colpevolmente inconsapevoli di violare il precetto dell’alterum non laedere, allora non scandalizzerebbe forse nemmeno più tanto propendere per una risposta affermativa al quesito che è stato poc’anzi formulato[59]. Questa conclusione si rivelerebbe in perfetta sintonia non solo con la recente espressa previsione normativa della trascrivibilità del contratto preliminare[60] di cui all’art. 2645-bis c.c. e con la ormai finalmente riconosciuta tutela aquiliana del credito (che vale a connotarlo di una certa qual ‘realità’ verso gli stessi terzi – recte: assolutezza di tutela in quanto assistito da un rimedio risarcitorio oggi ritenuto esperibile erga omnes -)[61], ma anche con quegli stessi principi fondamentali di matrice costituzionale (art. 2 Cost.) che devono incessantemente informare la quotidiana azione dei consociati nei rapporti sociali che li vendono direttamente coinvolti.

Dunque, anche attingendo al medium di cui all’art. 2 Cost.[62], si otterrebbe il risultato di rafforzare le prospettive di adempimento dell’obbligazione: con il dissuadere i terzi dall’ostacolare illegittimamente la realizzazione del diritto sussistente in testa al soggetto attivo del rapporto, si indurrebbe il soggetto passivo ad agire secondo modalità tali da garantire la soddisfazione degli interessi della sua controparte.

A fronte di una tutela intensissima come quella approntata dalla trascrizione quando opera in funzione dichiarativa (dove si protegge l’interesse soggettivo a conservare un effetto e, per suo tramite, una res), esiste una preliminare (ma non per questo meno importante) funzione di conoscibilità legale che, se non opera immediatamente sul piano della consolidazione erga omnes di un’acquisizione fin dall’origine finale, ben può operare ad un livello di propedeutico caveat andando essa ad incidere sullo strumentale piano della responsabilità dei soggetti terzi che quel determinato bene hanno interesse (potenzialmente non iure[63]) a conseguire in via definitiva al proprio patrimonio[64]. In realtà la trascrizione, in tal’ultimo caso, prescinde dal tipo di struttura (reale od obbligatoria) del diritto la cui esistenza si vuole rendere pubblica ma è essa stessa servente alla realizzazione di quel medesimo diritto che le parti hanno programmaticamente inteso realizzare (la pubblicità risulta in tal modo un effettivo strumento di sussidio alla procedimentalizzazione della fattispecie acquisitiva finale cui i paciscenti hanno prestato il loro placet)[65].

In quanto pubblicità-notizia la relativa doverosità trascrizionale dovrebbe ritenersi gravante in capo al notaio (ex artt. 2671 c.c.) qualora l’accordo in questione venisse stipulato per il suo tramite nelle forme di cui all’art. 2657 c.c..

In nuce: la trascrizione del patto consentirebbe di ottenere, sul piano esterno, il rispetto da parte di ciascun terzo della posizione soggettiva attiva di colui a favore del quale l’accordo preparatorio è teleologicamente preordinato a procurare l’acquisto di uno dei diritti di cui all’art. 2643 c.c. (rendendo pubblicamente conoscibile il maturato diritto nel corso del procedimento negoziale in atto), così consentendosi massima effettività al collegato disposto di cui agli artt. 2 Cost. e 2043 c.c.. Tale formalità assolverebbe alla funzione preventiva di meglio assicurare il soggetto attivo dall’inadempimento in forma esterna (proveniente da terzi o, quantomeno, in forza di un loro concorso[66]). La formalità trascrizionale dell’accordo preparatorio assolverebbe così alla funzione di anticipare, in punto di ‘visibilità’, un’esaustiva tutela assoluta a favore di una data situazione giuridica soggettiva attiva. ‘Visibilità’ che sarebbe prodromica a prevenire, per qualsiasi tipo di diritto che possa considerarsi formalmente tale, l’operatività (altrimenti solo postuma e riparatoria) della tutela aquiliana di cui all’art. 2043 c.c. contro ingiuste lesioni o turbative di sorta[67].

La quale soluzione non solo, si ipotizza, diminuirebbe numericamente i contenziosi, ma anche – qualora instaurati – ne semplificherebbe notevolmente lo svolgimento con diretta positiva incidenza sugli stessi tempi di soluzione dei conflitti portati all’attenzione del giudice.

A tentare di mettere in luce il relativismo di prospettiva che ha indotto la communis opinio a disconoscere in radice l’ammissibilità di una trascrizione di tali patti, si può quindi avanzare che lo stesso art. 2645 bis c.c., prevedendo al comma 1o la trascrivibilità del contratto preliminare – al di là dei rilevanti fini ‘prenotativi’ discendenti dal cpv. ed dal 3° com. (quale regola collimante con l’art. 2644 c.c.) –, è quantomeno funzionale al qui considerato scopo pubblicitario in guisa da approntare medio tempore ed erga omnes una tanto prodromica quanto propedeutica tutela al costituito diritto personale. Qualora infatti il contratto definitivo non venga in concreto trascritto non può certo sostenersi che la trascrizione del preliminare sia stata del tutto inutiliter acta solo perché essa non esplicherà gli effetti ‘prenotativi’ di cui trattano gli ulteriori commi dell’art. 2645 bis c.c.[68]: nello spatium temporis concesso dalla disposizione, ossia in quello di vigenza dell’efficacia pubblicitaria del credito (con valenza programmaticamente prenotativa ma già fin da subito ‘staticamente’ suscettibile di utile “notiziazione”), il diritto relativo sarà assistito da una rafforzata tutela assoluta (in base alla piena conoscibilità esterna del diritto stesso)[69] che – oltre ad indirizzare sul versante empirico i comportamenti di terzi soggetti in guisa che non si esplichino contra ma secundum ius – consentirà l’immediata ed automatica imputabilità dell’evento dannoso al contegno tenuto dal terzo autore della lesione (proprio in quanto quest’ultimo avrebbe potuto impedire il danno così cagionato usando la normale diligenza che l’uomo medio è tenuto ad osservare nei rapporti sociali, consultando perciò le risultanze fornite dai registri immobiliari prima di avventurarsi nel negoziare alla cieca un bene che è strutturalmente soggetto a tali forme pubblicitarie).

La doverosità di cui all’art. 2645 bis (letta limitatamente al suo 1° com.) c.c. può quindi ben dirsi rientrante nella previsione dell’art. 2645 ultima parte c.c. e rappresentare perciò il parametro positivo di riferimento per dare spazio ordinamentale (non solo, in collegato disposto con l’art. 2043 c.c., a porre a fortiori un divieto generale a tutti i consociati di ledere l’altrui credito – divieto la cui osservanza è tanto più pretendibile quanto più effettiva risulti la possibilità di conoscere dell’esistenza del diritto[70] – ma anche), attraverso un’operazione ermeneutica meramente estensiva[71], all’approntamento della conoscibilità (e dunque di un’immediata tutela extracontrattuale grazie alla diretta rilevanza esteriore) di tutti quegli accordi preparatori che per loro natura sono capaci, attraverso un ciclo procedimentale predisposto inter partes, di condurre alla formazione di uno di quei diritti di cui all’art. 2643 c.c. (sotto l’angolo visuale in base al quale i naturali limiti alla trascrivibilità di un atto sono dati dal tipo di effetto, del quale anche solo finalisticamente se n’è programmata la realizzazione, e dalla natura del bene coinvolto dalla precisata dimensione teleologico-effettuale).

È proprio la funzione di pubblicità-notizia insita in ogni trascrizione che, fornendo propedeuticamente certezza quanto alle relazioni tra soggetto e bene (anche in presenza di un “potere strumentalmente attrattivo” che il primo ha guadagnato sul secondo), deve ritenersi principio generale e, quindi, passibile di applicazione all’uopo anche estensiva in tutta osservanza dell’art. 14 disp. prel. c.c.. E, dunque, rispetto ad una negoziazione preparatoria dei diritti di cui all’art. 2643 c.c., la rispettiva trascrizione non può rivestire alcun carattere eccezionale poiché essa vale solo a realizzare la normale conoscibilità legale di un fatto giuridicamente rilevante indirizzato teleologicamente a produrre delle potenziali modificazioni attinenti alla titolarità dei surriferiti diritti immobiliari.

Summa per capi:

1) l’assunto da cui muovere, dimostrabile per sentenze[72], è dato dal fatto che la lesione dei crediti da parte di soggetti terzi integra per l’ordinamento gli estremi di un disvalore risarcibile ex 2043 c.c. (e ciò darebbe conto dell’ammissibilità, per espresso riconoscimento giudiziale, di un’assolutezza di tutela ad assistere un diritto personale);

2) l’art. 2645 bis c.c. (riguardato anche alla luce degli artt. 2645 ultimo periodo c.c. e 2 Cost.) consente la trascrizione del preliminare, costituendo quest’ultimo un c.d. accordo preparatorio funzionalmente preordinato a dare alla luce uno tra i diritti di cui all’art. 2643 c.c.;

3) ciò dimostrerebbe che, nell’ambito di un procedimento di fonte convenzionale teleologicamente orientato ad originare uno dei diritti di cui all’art. 2643 c.c. (magari anche rifacendosi al moderno angolo visuale della complessiva operazione economica in concreto divisata dai paciscenti[73]), la fase strumentale del sorgere di un diritto diverso da quello reale (nel caso di specie un credito) è fatto in sé giuridicamente meritevole di ottenere diffusa rilevanza presso i cives (quantomeno in punto di estensione della tutela che assiste il diritto personale che così, più verosimilmente, si tramuta da relativa in assoluta);

4) se così è per il contratto preliminare, diversamente non potrebbe dirsi funzionare, in ossequio all’art. 3 Cost., per gli altri patti preparatori in senso stretto (opzione, proposta irrevocabile e prelazione) che ugualmente tendono, attraverso una medesima forma iuris (divergente solo in punto di contenuto) ed all’esito del procedimento di cui sono fase, a dar vita ad un diritto reale finale e definitivo.

Tali patti risulterebbero dunque trascrivibili o in via diretta attraverso la stessa disposizione di cui agli artt. 2645 c.c. e 2 Cost. (conferendosi così effettività al precetto di cui all’art. 2043 c.c.) o in via estensiva per il tramite dell’art. 2645 bis c.c. in guisa da assicurare erga omnes il rispetto della sequenza negoziale di cui essi stessi costituiscono vitale espressione.

Luca Crotti


[1] Per l’ammissibilità, nei procedimenti di giurisdizione volontaria, dell’impugnativa a mezzo di reclamo avverso il provvedimento emesso dal giudice di prime cure in composizione monocratica, v. (oltre che, per implicito, al Giudice in commento): App. Cagliari 5 giugno 1995, Appello Milano 7 luglio 1988, Cass. S.U. n. 1973/1986, App. Lecce 29 gennaio 1983, App. Roma 29 maggio 1974, App. Firenze 14 giugno 1966, App. Milano 12 febbraio 1962, App. Firenze 24 gennaio 1958, App. Venezia 2 luglio 1958, App. Milano 7 novembre 1955; si veda altresì in dottrina, ex multis, A. Chianale in Pubblicità immobiliare, Dig. disc. Priv., XVI, 2001, 139; ma, contra, cfr. A. Jannuzzi, Manuale della volontaria giurisdizione, Milano, 2000, 61 e 62 (però, con mutata opinione, v. A. Jannuzzi e P. Lorefice, Manuale della volontaria giurisdizione, Milano, 2002, 55).

Il provvedimento emesso in sede di gravame è invece ritenuto non ricorribile in sede di legittimità: v. Cass. 7 febbraio 1992 n. 1405 e Chianale, op. cit., 139.

[2] V. Tribunale di Roma 22 luglio 1997.

[3] Corte d’Appello di Firenze del 16 gennaio 1956, in Giur. tosc., 1956, 220. E, per un conforme obiter dictum, cfr. Cass., Sez. II, 3 febbraio 2005 n. 2161.

[4] Cfr. in Notariato, 3, 2007, 249.

[5] S. Pugliatti, La trascrizione, I, Trattato di dir. civ. e comm., diretto da Cicu e Messineo, Milano, 1957, 195.

[6] Per la stessa funzione di pubblicità-notizia della trascrizione della sentenza di intervenuta usucapione ex art. 2651 c.c., cfr.: F. Gazzoni, La trascrizione immobiliare, in Comm. cod. civ. diretto da Schlesinger, II, Milano, 1988, 242.

[7] Il conflitto (tradizionalmente inteso ai fini dell’operatività dell’art. 2644 c.c.) non può qui ravvisarsi tra terzo acquirente dall’usucapito ed usucapiente in quanto quest’ultimo ha acquistato un diritto strutturalmente nuovo, incompatibile con il diritto preesistente che si è invece estinto (quale effetto indiretto della costituzione della nuova situazione soggettiva in testa all’acquirente a titolo originario la cui maturata acquisizione si fonda su di un fatto dell’acquirente medesimo del tutto indipendente dalla posizione del precedente titolare). Cfr., sul tema, U. Carnevali, Appunti di diritto privato, Milano, 2003, 142.

[8] L’acquisto (ex lege) per usucapione integra certamente una forma indiretta di circolazione dei beni, tant’è che parte della dommatica si è espressa – benchè piaccia poco – in termini di “disposizione mediante inerzia”. La pubblicità della domanda giudiziale consentirebbe al potenziale acquirente dall’usucapito (che procedesse in un’analisi a ritroso delle vicende pubblicitarie del bene oggetto del proprio interesse) di rinvenire un “indice-ponte” tra usucapiente ed usucapito.

[9] Si sarebbe invece incorsi in una palese antinomia qualora si fosse negata la trascrivibilità della domanda d’usucapione nascondendosi dietro al comodo paravento del numerus clausus dei tipi di atti soggetti a trascrizione (art. 2643 c.c.) se poi si fosse sostenuto che oggetto della trascrizione è l’effetto prodotto dall’atto (art. 2645 c.c.). Ed infatti, sulla base di tale contraddittorio assunto, ha così argomentato, pronunciandosi per la negativa, il Tribunale di Varese, II sez. (in persona del giudice Lualdi), con decreto n. 3297 del 25 settembre 2006. Ma, a volersi rimanere nella parziale e sviante ottica del giudice di primo grado, delle due l’una: o si trascrive (solo) l’atto (ed allora il principio del numero chiuso continua a funzionare) o si trascrive (solo) l’effetto (ed allora non è più possibile ragionare in termini di numerus clausus in riferimento all’atto). Infatti il ritenere che oggetto della trascrizione sia tout court l’effetto giuridico che discende dalla fattispecie comporta anche, per coerente corollario, il dover abbandonare la tradizionale tesi formalistica del numerus clausus degli atti per aderire alle più moderne ricostruzioni ‘funzionalistiche’ che ragionano in termini di tipicità dell’effetto – atipicità dell’atto.

Ma quando si sostiene che oggetto della trascrizione è o l’atto o l’effetto, l’analisi dell’istituto pubblicitario viene compiuta in una prospettiva evidentemente incompleta ed inidonea a dar conto dell’eterogeneità delle funzioni che quest’ultimo statuto è invece capace di realizzare (per es.: nell’affermare che la trascrizione attiene agli effetti di un atto se ne limita la funzione alle sole esigenze della circolazione derivativa dei diritti, facendosi forse inconsapevolmente riferimento al solo art. 2644 c.c.). Tuttavia, senza rimanere imbrigliati in ansie di reductio ad unum, è la stessa legge che comprova come la trascrizione (procedimento finalizzato, in ogni sua singola fase e secondo le differenti modalità utili in base al momento in cui si versa, al raggiungimento del solo scopo di garantire certezza circolatoria ai diritti) non serva solo a dirimere ex post potenziali conflitti tra più acquirenti di uno stesso bene da un medesimo autore, ma ben possa assolvere anche ad un’ulteriore funzione (ex ante) di pubblicità-notizia (valendo in questo caso la tesi per la quale oggetto della trascrizione sarebbe l’atto) – oltre che, eccezionalmente, ad una funzione costitutiva (in tema di usucapione abbreviata) -. Non è difficile ravvisare come, con ciò, l’ordinamento giuridico tenda a prevenire un suo stesso intervento riparatorio (non solo ex art. 2644 c.c. ma anche, preliminarmente, ex artt. 1338 o 1218 o 2043 c.c.).

[10] La norma riconosce rilevanza interna, nel sistema trascrizionale, alla formalità in esame per l’opportunità di assegnare all’effetto già maturatosi sul piano sostanziale una piena percepibilità esterna (analitico-funzionale), statim ed erga omnes. Tuttavia, per la negativa, cfr. Gazzoni, op. cit., 251.

[11] Il termine di “convenuto” che compare nel testo di legge è participio in sé sostanzialmente neutro che non riesce a funzionare come esclusivo sinonimo di “persona dell’usucapito” che contesti l’altrui asserita usucapione.

[12] Contra: Tribunale Napoli supra citato.

[13] A. Proto Pisani, Lezioni di diritto processuale civile, Napoli, 2006, 135 e ss..

[14] Ai fini di cui all’art. 2651 c.c. la trascrizione della sentenza d’accertata usucapione risponde alla ratio di consentire all’usucapiente di realizzare l’interesse a che venga consolidata la ‘visibilità’ (fin qui solo strutturalmente limitata dalla situazione possessoria) della propria posizione di titolarità: la legittimazione a disporre, già piena nella sostanza, viene in un certo quale senso “integrata” – nella dimensione statica – dalla sua stessa conoscibilità legale erga omnes.

L’interesse dell’usucapiente a risultare quale soggetto riconoscibile erga omnes come legittimo centro di imputazione di interessi in relazione a quel dato bene acquistato a titolo originario assicura in astratto la piena sfruttabilità del valore di scambio racchiuso nella posizione dominicale e contestualmente fornisce al mercato la percezione di uno dei presupposti dell’efficacia dell’atto (anche ai soli fini di un corretto indirizzamento della proposta all’usucapiente). L’art. 2651 c.c. pone dunque un onere a carico del dominus affinchè il proprio agire negoziale possa essere sollecitato da qualsiasi soggetto interessato alla circolazione del dato bene in titolarità del primo.

[15] Diversamente si dovrebbe sostenere che l’art. 2653, 1° com., n. 1), 1a parte c.c. si riferisce solo all’accertamento dei diritti acquistati a titolo derivativo (in caso di conflitto unicamente intercorrente tra titoli trascritti laddove, verbicausa, si ravvisasse la necessità di compiere una valutazione dei rispettivi confini – mancando nel caso di usucapione un vero e proprio titolo dell’acquisto -). Ma quest’ultima lettura integrerebbe un’arbitraria interpretazione restrittiva della norma in quanto essa non esclude minimamente i diritti acquistati a titolo originario (parrebbe essere proprio la domanda giudiziale quel surrogato cartaceo idoneo a fungere ad tempus da titolo di un acquisto che è invece maturato tutto sul terreno fattuale e che sarà poi consacrato definitivamente – in punto di pienezza dell’accertamento – da una successiva sentenza di accoglimento).

[16] V. A. Falzea, Apparenza, E.D., II, Milano, 1958, 696; G. Mengoni, Gli acquisti ‘a non domino’, Milano, 1968, 14 e 15.

[17] Così, in evidente ossequio al principio di economia dei mezzi processuali ed in collegamento con l’art. 111 c.p.c. (al fine di consentire all’interessato di fruire della perpetuatio iurisdictionis), cfr.: A Proto Pisani, La trascrizione delle domande giudiziali, Milano, 1968, 178; U. Natoli, La trascrizione, Comm. cod. civ. VI, 1, Torino, 1971, 181; R. Triola, Trascrizione, ED, XLIV, Milano, 1992, 963.

La tempestiva pubblicità della domanda d’usucapione (ex artt. 2653 n. 1 e 2691, 1° com. c.c.), in funzione preventiva della proliferazione dei contenziosi, vale a rendere opponibile l’accertamento successivo all’emananda sentenza anche agli aventi causa del convenuto contro i quali, diversamente, il vero proprietario (compreso il titolare che abbia interesse a contestare l’altrui pretesa usucapione) dovrebbe instaurare un ulteriore giudizio di accertamento – in tal modo evitandosi che i tempi processuali, notoriamente dilatati rispetto a quanto sarebbe lecito attendersi, gravino a carico dell’attore stesso – (v. S. Ruperto, Usucapione, ED, XLV, Milano, 1052; L. Mengoni, Acquisti ‘a non domino’, Milano, 1975, 306, in nota 116).

[18] Infatti la formalità in oggetto non è idonea ad esprimere alcuna utilità in un rapporto (configurabile solo a livello processuale) tra usucapiente ed usucapito come comprova la circostanza che la stessa trascrizione della domanda giudiziale non produce mai, in alcun caso, i propri peculiari effetti nei rapporti tra attore e convenuto rispetto ai quali (usucapiente ed usucapito) opera solo, tout court, l’efficacia interna del provvedimento giudiziale (in quanto sufficiente allo scopo, a prescindere dalla trascrizione o meno dell’atto d’impulso processuale).

[19] Stando anche semplicemente alla lettera dell’art. 2651 c.c., quest’ultima non richiede la trascrizione della sentenza dalla quale risulti il fenomeno di estinzione per prescrizione acquisitiva – ma prevede la trascrizione della sentenza da cui risulti invece l’omologo fenomeno di costituzione di un diritto in esito al maturarsi della prescrizione acquisitiva – (con ciò rivelando come l’interesse a trascrivere è proprio dell’usucapiente e non certo dell’usucapito a carico del quale non potrà dunque operare alcun concetto di responsabilità per il solo fatto di non aver rimosso una situazione pubblicitaria fonte di ingannevole apparenza in esito ad un altrui fatto estintivo-costitutivo).

Di regola, anzi, si può facilmente intuire come l’usucapito sia portatore dell’opposto interesse (economico) a che non venga modificata la preesistente realtà formale (consistente nelle risultanze pubblicitarie non aggiornate all’attuale stato di diritto) – essendo comunque già tenuto l’usucapito, nei rapporti con i propri aventi causa (dopo il ‘contatto’ con gli stessi intervenuto), ad osservare il precetto di buona fede oggettiva -.

[20] Che non riesce di per sé stessa a dar conto del periodo di tempo a decorrere dal quale si possiede.

[21] Benché in tale ipotesi si potrebbe cogliere nella formalità trascrizionale un aspetto di rilevanza in un certo qual senso ‘reale’: se tradizionalmente la tutela reale è vista come tutela “al” bene, ben può configurarsi una simmetrica tutela assoluta con analoghi connotati di ‘realità’ come preventiva tutela “dal” bene negoziando (offerta, sul piano esterno, ai terzi potenziali acquirenti). In sostanza, quale monito alla circolazione, si ‘marchia’ ad interim il bene con la sigla di “cavete” (così facendosi indistintamente salva l’integrità del procedimento di formazione del consenso nei cittadini stessi).

[22] Per la comune ed essenziale rilevanza di ogni forma di pubblicità in funzione di tutela della buona fede dei terzi, v. L. Carraro, Valore attuale della massima “fraus omnia corrumpit”, Riv. Trim. Dir. Proc. Civ., 1949, 800.

[23] Contro l’ammissibilità di una funzione cautelativa della trascrizione (e, dunque, nella ristretta ottica di una sua funzione unicamente dichiarativa), v. Appello Bologna 18 novembre 1968 (in Riv. giur. edil., 1969, I, 111) e Cass. 5 maggio 1960 n. 1029.

Favorevole invece, expressis verbis, A. Proto Pisani, Lezioni di diritto processuale civile, Napoli, 2006, 614.

[24] In realtà allegato dal succitato Tribunale di Varese.

[25] E l’identico problema sarebbe per di più comune a qualsiasi specie di trascrizione di domande giudiziali [soprattutto per quelle dirette ad ottenere una pronuncia di annullamento per errore ex art. 2652 n. 6 c.c. dove l’elemento che si andrà a dover accertare, essendo ontologicamente interiore (benchè oggettivizzato nel regolamento di interessi in conseguenza di precisi, univoci e concordanti indici esteriori di sussistenza), è sicuramente di più complessa verificabilità (elevato livello di spiritualizzazione del vizio) rispetto a quanto non lo sia una situazione fattuale esteriorizzata per sua stessa natura attraverso oggettivi contegni materialmente percepibili (elevato grado di evidenza pubblica)].

[26] Considerati gli elementi, tutti oggettivi, che sostengono un acquisto per usucapione ordinaria è difficile ritenere che la conoscenza dell’effettività dell’acquisto possa essere inquinata da opinabili valutazioni soggettive della stessa parte istante.

[27] Per di più, ai fini ora in esame, si consideri anche che la sentenza di primo grado è immediatamente esecutiva e trascrivibile non appena emessa (così fin da Cass. n. 2124/1954): come la possibilità di un reclamo in appello non impedisce la trascrizione ex art. 2651 c.c. della pronuncia di prime cure, così la possibilità di ottenere una sentenza di primo grado non può ostacolare la trascrizione della prodromica domanda.

[28] Una volta ammessa la trascrivibilità della formalità in questione, la domanda giudiziale dovrà essere soggetta (ai sensi dell’art. 2654 c.c.) anche alla pubblicità integrativa di secondo grado dell’annotamento in margine della trascrizione dell’acquisto compiuto a suo tempo dall’usucapito, sempre con funzione di pubblicità-notizia (cfr. F. S. Gentile, Trascrizione, NNDI, XIX, 1973, Torino, 527).

Pare doversi ritenere irrilevante la trascrizione della domanda d’intervenuta usucapione ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 2650 c.c. – norma riferibile alla trascrizione nel solo momento in cui essa opera in funzione dichiarativa – (cfr., per tutti, Montel e Sertorio, Usucapione, NNDI, XX, 1975, 311 ed in nota n. 5; Gazzoni, op. cit., 195), essendo già presenti gli artt. 2653 n. 1), 2654 e 2651 c.c. che ben valgono a dare completezza alla conoscibilità dei fenomeni di circolazione indiretta.

Contra: M. D’Orazi, Riv. del not., Milano, I, 2006, per il quale l’art. 2650 c.c. appronterebbe anche una sorta di ‘stato civile’ della proprietà immobiliare. Tuttavia, se così fosse, si dovrebbe poter ammettere anche la trascrizione di una demolizione parziale dell’edificio, quale evento idoneo a procurare una deminutio della ‘capacità’ economica del bene.

[29] Sotto l’aspetto di un’esauriente distribuzione delle risorse cognitive (con ciò promuovendosi la messa a disposizione erga omnes dell’informazione propedeutica ad un corretto impulso alla circolazione).

[30] Altrimenti si dovrebbe anche affermare senza indugi che il legislatore abbia inteso dare certezza giuridica alla sola circolazione derivativa e non anche a quella indiretta attuata mediante acquisti a titolo originario. Si assisterebbe così ad un differenziato trattamento in sede di acquisto di beni della medesima natura, in violazione degli artt. 3 e 43 Cost. e 922 c.c., il che non potrebbe essere giustificato dal fin troppo scontato assunto della diversa modalità del meccanismo acquisitivo poiché si andrebbe pur sempre ad incidere negativamente su di un valore cardine dell’ordinamento che deve perciò potersi dire rispettato in qualsiasi fenomeno finalisticamente omogeneo.

[31] Ci si riferisce, evidentemente, all’onere di consultazione degli appositi registri sussistente a carico del terzo (così è per Cass. 16 agosto 1990 n. 8309, Cass. 5 luglio 1979 n. 3859, Cass. 19 aprile 2003 n. 5122).

Ma, in proposito, si veda anche Cass. 265 maggio 2004 n. 10133 (per la quale un comportamento inequivocabilmente diretto ad ingenerare nel terzo il legittimo affidamento in ordine al potere di disposizione del soggetto con il quale egli contratta, rende il primo responsabile anche se il terzo non ha operato le dovute ricerche nei pubblici registri).

[32] Il richiamo va a quella cerchia aperta rappresentata dai soggetti potenzialmente interessati al bene in questione (ossia agli acquirenti in pectore). Ben essendo ammissibile “… l’esistenza di interessi meramente oggettivi o impersonali e di servizi o prestazioni a favore di collettività comprensivamente considerate e non dei singoli loro membri”, cfr. Santi Romano, in Frammenti di un dizionario giuridico, Doveri. Obblighi, Milano, 1947, 96.

[33] La visibilità dello stato attuale dei beni soggetti a trascrizione è tesa ad approntare tutela alla sfera patrimoniale del singolo che, in concreto, si dimostrerà interessato a negoziare il dato bene.

[34] Per le varie classificazioni dell’interesse, v. R. Nicolò, Istituzioni di diritto privato (dispense integrative), Milano, 1962, 9.

[35] D’altronde se la Corte milanese ha riconosciuto nell’usucapiente un pieno potere all’ottenimento della trascrizione dell’intentata domanda giudiziale de qua significa anche necessariamente che quest’ultimo vanti un interesse giuridicamente rilevante all’adozione della formalità in questione e non solo un “forte interesse di fatto” – come invece, in passato, ha pur sostenuto autorevole dottrina (cfr. Gazzoni, op. cit., 249) -.

[36] Come dimostra lo stesso art. 2651 c.c..

[37] Non è per caso, né per enfasi legislativa, che l’art. 2653 c.c. rinviene il proprio incipit nella formula: “Devono essere trascritti . . .”.

[38] Non può qui centrare nel segno il concetto (di mero potere e quindi anche) di ‘autoresponsabilità’ che porrebbe valere solo qualora si sia in presenza di “conseguenze di un comportamento (sotto l’aspetto giuridico meramente libero) che non incidano nella tutela di un interesse alieno o di un interesse generale” (v. S. Pugliatti, Autoresponsabilità, E.D., IV, Milano, 1959, 454).

[39] V. M. Giorgianni, L’obbligazione, I (La parte generale delle obbligazioni), Milano, 1968, 41 e ss..

[40] Sulla circostanza che il risarcimento del danno non è conseguenza esclusiva dell’obbligazione ma è sanzione estendibile anche alla violazione di un semplice obbligo giuridico, cfr. Giorgianni, op. cit., 25.

[41] Se poi si intende leggere l’onere come situazione giuridica soggettiva attiva, allora si potrà anche ritenere che l’ordinamento attribuisce un potere all’usucapiente affinchè questi possa risultare istantaneamente ed erga omnes titolare della data res (con sacrificio del correlativo interesse dell’usucapito, quest’ultimo sì di mero fatto, ad apparire come solo ed incontrastato dominus), laddove per la realizzazione dell’interesse del primo (a non correre il rischio di sviare i potenziali acquirenti) è necessario passare attraverso l’adozione della forma pubblicitaria all’uopo approntata.

[42] Cfr. Giorgianni, op. cit., 21 (riprendendo terminologicamente l’ossimoro di brunettiana memoria, in riferimento alla monografia del quale cit. a. si rinvia a G. Brunetti, Norme e regole finali, Torino, 1913). Ma la dommatica non si rivela per nulla univoca in proposito:

essa discorre anche in termini di ‘obbligo potestativo’ che avrebbe non tanto la funzione di qualificare normativamente un interesse quanto quella di limitare l’esercizio di un diritto (così: L. Bigliazzi Geri, U. Breccia, F. D. Busnelli, U. Natoli, Diritto civile. Norme, soggetti e rapporto giuridico. Fatti e atti giuridici, Torino, I, 1986, 346) o di ‘potere condizionato’ (v. F. Santoro Passarelli, Dottrine generali del diritto civile, Napoli, 1997, 74). Per il Gazzoni, invece, l’onere pare rilevare principalmente per il suo aspetto di situazione soggettiva attiva: “non si potrà tecnicamente qualificare la situazione come passiva non corrispondendo ad essa alcuna speculare posizione dal lato attivo e non ricollegandosi, di conseguenza, alcuna responsabilità, e dunque alcun obbligo risarcitorio, alla mancata osservanza del dovere di comportamento” (v. Gazzoni, Lezioni di diritto privato, I, Roma, 1985, 70). Per un’ulteriore ricostruzione dell’istituto (quale “vincolo connesso ad un potere”) v. O.T. Scozzafava, Onere (nozione), E.D., XXX, Milano, 1980, 107 e ss..

[43] Così A. Palermo, Onere, XI, NNDI, Torino, 917.

[44] Le logiche (esterne) di mercato impongono la pubblica evidenza delle vicende che interessano talune res e, per il tramite dell’istituto trascrizionale, la correlativa necessitata rifluenza della realizzazione di tale valore è data – in una logica interna – dal riconoscimento dell’onere di trascrizione in capo all’usucapiente (l’obbligo del cancelliere è assistito da ben altra ratio).

Nell’onere de quo la doverosità è dunque posta in ultima analisi a favore dei consociati laddove la subordinata soddisfazione dell’interesse dell’usucapiente costituisce l’esca predisposta dall’ordinamento che attira quest’ultimo verso il rispetto della norma tecnico-finale (c.d. ordinativa). O l’usucapiente trascrive ed il suo interesse si realizza (insieme a quello dei terzi tutelati dallo strumento dell’onere) o prevale l’interesse a non richiedere la formalità pubblicitaria (ossia l’interesse alla riservatezza) ed allora la sua situazione di dominio resterà spogliata di pubblica ‘visibilità’.

L’ordinamento interviene anche in tema di trascrizione curandosi di realizzare la più piena tutela del primario valore rappresentato dalla certezza nella circolazione dei diritti (già variamente interessata in tale direzione da molteplici norme e principi di sistema) volgendo la propria attenzione non solo al momento acquisitivo finale (pubblicità dichiarativa in funzione regolatrice erga omnes della “dinamica dell’effetto”) ma anche a quello dell’impulso iniziale (pubblicità-notizia in funzione regolatrice erga omnes della “programmazione nella dinamica dell’atto”, ponendo così le basi per il regolare svolgimento delle vicende attraverso le quali lo Stato garantisce i fatti circolatori mediante l’operatività della stessa trascrizione nella sua tradizionale funzione).

[45] Tra l’altro: “Le teorie sviluppatesi in materia di assolvimento o meno dell’onere sono concordi nell’affermare in genere una carenza sanzionatoria come risultato dell’inadempimento dell’onere; al più l’inadempimento dell’onere può causare una sanzione che consiste proprio nel mancato raggiungimento dell’obiettivo previsto dall’onere stesso (rivisto dal lato dell’onerato)”, così P. Gelato, Onere, Dig. disc. priv., sez. civ., XIII, 64 (a tale conclusione farebbe deporre la considerazione della connaturale incoercibilità della situazione di doverosità de qua).

Contra: G. Gavazzi, per il quale le conseguenze (dell’adempimento o dell’inadempimento) dell’onere sarebbero esclusivamente di ordine giuridico (v. L’onere, Torino, 1970, 90 e ss.).

[46] In tal senso Gazzoni, op. cit., 248 e ss. (nel senso però, quest’ultimo a., di disconoscere una vera e propria situazione di onere in capo all’usucapiente – v. supra alla nota n. 35 -).

[47] Ed infatti qui non è in gioco l’insorgenza in testa all’usucapiente (o l’estinzione in capo all’usucapito) del pieno potere di disposizione funzionalizzato all’attribuzione (tali situazioni sono già date in punto di diritto sostanziale), ma un qualcosa di diverso: della vicenda pubblicitaria va fatto risaltare l’aspetto statico della condizione oggettiva del bene (compimento del possesso utile sulla res) e non quello dinamico della potenzialità effettuale spettante al vero soggetto titolare del diritto (che ne rappresenta una mera conseguenza giuridica).

Altro è poi che i consociati possano di fatto percepire la relativa formalità pubblicitaria introduttiva del giudizio in termini di non sussistenza in capo all’usucapito di un potere di disposizione incondizionato. In tale prospettiva, quindi, l’art. 2653 n. 1) renderebbe evidente la presenza di un potere di disposizione quantomeno controverso, e dunque anche condizionato, sul bene oggetto della vicenda acquisitiva (il che farebbe certamente risaltare l’opportunità, per coloro che ne volessero divenire acquirenti manente iudicio, di addivenire a più attente indagini in relazione alla sussistenza del potere di disposizione in capo allo stesso usucapiente).

Dunque solo impropriamente potrà ritenersi che la trascrizione in esame incida in materia di circolazione sul potere di disposizione e solo nel senso che l’onere non è qui direttamente proiettato nella dimensione degli effetti attributivi del soggetto che trascrive ma in quella prodromica della pubblica rilevabilità del centro di imputazione idoneo a produrli correttamente in una successiva vicenda che coinvolge terzi soggetti.

Tuttavia se è esatto che la pubblicità delle vicende costituitesi per usucapione non può certo influire direttamente sul piano degli effetti acquisitivi in capo al trascrivente (non venendo qui in considerazione né l’art. 1376 c.c. nè l’art. 2644 c.c., ma solo il 1158 c.c.) né su quello del conseguente potere di disposizione, non è men vero che la detta formalità sarà invece idonea a produrre direttamente gli specifici effetti per i quali gli artt. 2653 n. 1) e 2651 c.c. sono stati posti dal Legislatore (l’ottica qui è anche quella di consentire una corretta programmazione prenegoziale dell’atto): la conoscibilità dell’intervenuta vicenda estintivo-modificativa (o preclusiva che dir si voglia). Non ha quindi alcun senso domandarsi se il potere di disposizione sia stato o meno intaccato (deminutio) da un’eventuale omessa trascrizione: esso è comunque pienamente formato e, come tale, si mantiene in testa alla persona dell’usucapiente (la facoltà di disporre non risulta vincolata dal rispetto dell’onere).

È in ogni caso certamente nell’interesse dell’acquirente a titolo originario l’ottenere quanto prima un indice formale di conoscibilità – diffusamente avvertibile in una medesima unità di tempo – che comunque sconsigli i terzi dal negoziare con l’usucapito in via immediata e definitiva una res la cui spettanza è attualmente sub iudice anche all’ulteriore fine di evitare l’instaurazione nei propri confronti di procedimenti giudiziari tanto diuturni quanto costosi.

Ed è solo una tempestiva trascrizione della domanda che potrà impedire ai terzi di sostenere inutili spese, altrimenti trovandosi questi ultimi a dover inevitabilmente sopportare un danno nonostante l’uso da parte loro del grado anche massimo di diligenza concretantesi nell’avvenuta consultazione delle pubbliche risultanze (poiché inidonee a dar conto anche solo della mera pendenza di una lite).

Così pure, in uno, evitandosi l’irrazionale sopportazione di tanto improduttivi quanto altrettanto facilmente evitabili sprechi in termini di costi di contrattazione (alla luce dell’art. 47, 1° com., 1a parte Cost.).

La trascrizione perfeziona dunque formalmente ed erga omnes l’evidenza pubblica della situazione di titolarità già relativamente manifestata, sul piano del mero fatto, per mezzo dello stato di possesso e consente di far riconoscere al mercato intero il soggetto nella cui sfera giuridica gli effetti di una potenziale proposta contrattuale si possano utilmente produrre (si dà alla volontà dei terzi un corretto punto di riferimento soggettivo – sempre che non si voglia sostenere che le risultanze trascrizionali non valgano a formare un serio parametro orientativo in coloro che le consultano -).

L’assolvimento dell’onere di trascrizione da parte dell’usucapiente può dirsi a sua volta determinante nel consentire, in una visione circolare, l’esatto l’adempimento dell’onere (c.d. di legittimità) gravante sui terzi consociati interessati all’acquisto del bene usucapito (in riferimento, per esempio, alla correttezza ed alla sostanziale completezza contenutistica di una proposta contrattuale nel suo contenuto minimo essenziale – a che la controparte negoziale sia effettivamente identificata e determinata nella persona del titolare del diritto, anche in quanto soggetto capace e legittimato ad assumere su di sé gli effetti del negozio -) – in tal senso v. F. Carresi, Introduzione ad uno studio sistematico degli oneri e degli obblighi delle parti nel processo di formazione del negozio giuridico, RTDPC, 1949, 822 e ss. -.

Quindi il potere di disposizione potrebbe dirsi solo economicamente condizionato dall’omessa trascrizione nel senso che l’usucapiente non troverebbe facile accettazione da parte di qualsivoglia oblato ad una sua proposta contrattuale se non risulta effettuabile l’attività di controllo (nei registri immobiliari) dell’esistenza (quantomeno di un fumus) del diritto in capo al primo (laddove la sussistenza di quest’ultimo sarebbe confermata dal forte indice della trascrizione di una domanda giudiziale). La ‘deminutio‘ che incide (solo economicamente) sulla legittimazione a disporre è qui sì fattuale poiché rappresenta il mero riflesso della carenza di rilevanza erga omnes della situazione di giuridica titolarità.

Laddove l’aspetto della responsabilità dell’usucapiente-attore verso terzi acquirenti dall’usucapito è quantomeno attenuato, in mancanza di osservanza dell’onere trascrizionale da parte del primo, dall’obbligo di buona fede oggettiva gravante a carico dell’usucapito consistente nel non alienare come proprio un bene di cui non si è più titolari.

[48] Sul punto v., in generale, la cristallina ricostruzione offerta da U. La Porta, La responsabilità professionale del notaio. Profili di responsabilità civile e penale del pubblico ufficiale, Torino, 2003.

[49] In merito, contra, D’Orazi, op. cit., 81.

[50] Per la Cass., sez. III, 15 giugno 1999 n. 5946, in Riv. not., 2000, 136 (con nota di G. Casu): obbligazioni contrattuali sono solo quelle che per loro natura tendono ad “assicurare il conseguimento dello scopo tipico di esso (negozio) e del risultato pratico voluto dalla parti dell’atto”.

Per il Tribunale di Roma 29 settembre 2004: “La prestazione del notaio non si riduce alla mera indagine e documentazione della volontà dei contraenti ma si estende al controllo della legalità dell’atto affinchè questo raggiunga e conservi, nel comune interesse delle parti, il suo effetto tipico”.

[51] Ma, contra, cfr. la nota Cass. 12 novembre 1996 n. 9884, in Vita not., III, 1998 (in tal caso la Suprema Corte, nell’evidente intento di garantire i terzi, ha indirettamente annientato l’automaticità della prescrizione acquisitiva assegnando natura costitutiva alla trascrizione della sentenza di cui all’art. 2651 c.c.).

[52] Cfr. A. Luminoso, Contratto preliminare, pubblicità e garanzie, in A. Luminoso e G. Palermo, La trascrizione del contratto preliminare. Regole e dogmi, Padova, 1998, 24.

[53] E dunque senza qui insistere nel percorrere una strada finora per lo più infruttuosamente battuta da una parte della dottrina che, senza cogliere nel segno, ha insistito nel tentativo di rafforzare (di fatto riqualificandola) la natura della fattispecie di volta in volta considerata assegnandole una portata effettuale che non le era evidentemente propria al fine di ricondurla nella disciplina trascrizionale attraverso la porta d’ingresso (in realtà sbarrata) dell’art. 2644 c.c..

[54] Per la trascrivibilità di tale accordo propende espressamente, benché opinione piuttosto isolata, E. Cesàro, Opzione nel contratto, ED, XXX, 1980, Milano, 570 (ma argomentando dal differente presupposto, ed ai differenti fini dell’opponibilità ex art. 2644 c.c., secondo cui dall’opzione deriverebbe un vero e proprio vincolo reale di indisponibilità sul bene a carico di colui che il diritto potestativo concede).

In realtà, senza dover essere costretti ad intensificare la forza del diritto scaturente dal patto di opzione per attrarlo nel meccanismo di cui all’art. 2644 c.c., potrebbero forse essere i filtri della doverosità (nei terzi) dell’alterum non laedere e dei valori di solidarietà costituzionale le chiavi di indagine che potrebbero dare impulso ad una rinnovata riflessione intorno alla trascrivibilità del contratto de quo.

[55] Non solo ricostruita secondo la tesi (ormai dimostrata inconsistente) della prelazione come preliminare unilaterale (v. Cass. 10 marzo 1963 n. 794) – il che farebbe oggi deporre per la sua diretta trascrivibilità ex art. 2645 bis c.c. -, ma anche rimanendo nell’alveo del prevalente insegnamento dell’efficacia obbligatoria del patto di preferenza si darebbe comunque forma ad un efficace strumento di prevenzione dell’inadempimento in quanto i terzi sarebbero messi sull’avviso che il bene che si stanno apprestando a negoziare non corrisponde a ciò che potrebbe dirsi esattamente libero da qualsiasi vincolo di sorta (quantomeno sussiste un interesse giuridicizzato di un determinato soggetto che sulla res vanta una situazione di ‘attesa’ qualificata all’acquisto), potendosi così raggiungere con accresciuta semplicità e certezza l’integrazione anche di quel fenomeno di responsabilità che va sotto il nome di ‘cooperazione nell’altrui inadempimento’ (senza che venga ovviamente in rilievo la legittimazione a disporre del preferente poiché non incisa morfologicamente dal patto né dalla sua pubblicità – nel rispetto dell’interesse pubblico alla libera circolazione della ricchezza e di quello privato dell’ipotetico terzo acquirente -).

In sostanza si trascriverebbe il patto per il suo essere atto (e non per il suo effetto ex 2644 c.c.) al fine di rendere pubblica la notizia dell’intervenuta negoziazione a scanso di inadempimenti consumati con l’inconsapevole intervento determinativo di terzi soggetti ignari della reale situazione che gravita intorno a quel dato bene. E qualora, nonostante la trascrizione, il terzo violi l’altrui situazione soggettiva attiva, ecco che allora il fatto deve ritenersi in re ipsa illecito e condurre a ravvisare l’esistenza di un immediato nesso di imputazione a carico dell’agente medesimo (oltre che, ovviamente, del prelazionante) ai sensi dell’art. 2043 c.c..

In àmbito affatto differente, ma pur sempre nell’ottica della rilevanza esterna del patto di prelazione, v. G. Vettori, L’efficacia rispetto ai terzi della prelazione convenzionale, in Prelazione e retratto, Milano, 1988, 594 e ss..

[56] Per la quale potrebbero valere le medesime considerazioni svolte in materia di opzione (la migliore dottrina distingue le due fattispecie non in base ad una loro pretesa eterogeneità nella produzione effettuale – entrambe infatti originano un diritto potestativo – ma in ragione della diversità ontologica della rispettiva causa suffisante: corrispettiva la prima, gratuita la seconda).

[57] I singoli diritti qualificano il patrimonio limitatamente al solo piano economico, laddove a godere di tutela sono i primi autonomamente considerati e non il secondo in sé e per sé in quanto esso non è mai tale, nella stessa considerazione del legislatore, da raggiungere una propria intrinseca valenza di struttura formale (il c.d. diritto all’intangibilità del patrimonio pare proprio costituire espressione del generico potere – e non di un autonomo diritto – di difendere la propria sfera giuridico-patrimoniale dalle altrui indebite aggressioni – v. S. Romano, op. cit., 103 -).

[58] Rendendo certamente in potenza comunque opponibile erga omnes la trascrizione compiuta tempestivamente dal primo acquirente che sia anche primo trascrivente (a fronte, invece, della cronica inopponibilità di un titolo non pubblicizzato).

[59] Quando si sostiene che il diritto personale è entità giuridica a tutela (necessariamente) relativa si sovrappongono, confondendoli (con il ridurre il secondo al primo), due diversi piani di incidenza che vanno invece accuratamente mantenuti distinti l’uno dall’altro (quello del contenuto della pretesa verso il soggetto passivo del rapporto e quello della tutela da aliene aggressioni); cfr. F. Romano, Diritto e obbligo nella teoria del diritto reale, Napoli, 1967, in nota n. 165 e a p. 179 ss..

[60] Cfr. G. Palermo, Rilevanza esterna del contratto preliminare e tutela del promissario acquirente, in A. Luminoso e G. Palermo, La trascrizione del contratto preliminare. Regole e dogmi, Padova, 1998.

[61] V. F.D. Busnelli, La lesione del credito da parte di terzi, Milano, 1964, 70 e 71.

[62] Benché in dottrina è dato leggere che la solidarietà è schema di cui “non riusciamo a cogliere pienamente il senso“, v. P. Rescigno, Solidarietà e diritto, Napoli, 2006, 16.

[63] In considerazione di un’altrui identico interesse ma già giuridicamente qualificato tra le parti del negozio (e dunque assurto, con precedenza e priorità, al rango di diritto tutelato dall’ordinamento giuridico).

[64] Ovviamente la trascrizione del patto preparatorio non avrebbe una propria utilità inter partes in quanto, per il soggetto passivo del rapporto, l’inadempimento rappresenterebbe una già possibile violazione ab intrinseco dell’efficacia prodotta dal negozio. Potrebbe invece dirsi che essa, ai fini dell’art. 2043 c.c., consente la diretta ed immediata riferibilità soggettiva dell’effetto lesivo all’autore del contegno violativo (quale soggetto estraneo al negozio inciso). Assegnandosi così anche quel minimo di necessaria certezza giuridica all’effettività della lesione aquiliana del credito.

[65] E quanto qui ritenuto pare del tutto coerente con l’ormai pacificamente riconosciuta tutela in forma specifica del diritto di credito (ex artt. 2930-2933 c.c. quando la res o il diritto è determinato: l’esperibilità di tali ultimi rimedi da parte del titolare del diritto di credito evidenzia come il creditore non sia più costretto a realizzare il proprio interesse solo attraverso un mero surrogato rappresentato dal risarcimento del danno).

Con la trascrizione in questione si raggiunge il risultato di anticipare (rispetto al concreto verificarsi del danno) una forma di protezione volta (quanto più possibile) a prevenire la stessa operatività della tutela obbligatoria offerta dal risarcimento poichè oggi ritenuta poco funzionale agli interessi degli stessi cives potenzialmente chiamati a doverne disporre (cfr. M. Giorgianni, Tutela del creditore e tutela “reale”, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1975, 861).

[66] E ciò non solo nei casi di contratto in senso stretto ma anche in quelli di negozi ex artt. 1333 e 1411 c.c., laddove l’evidenza della formalità sarebbe diretta a consigliare al beneficiario circa la convenienza di opporre un opportuno rifiuto (per non rischiare di incorrere facilmente in responsabilità).

[67] Non viene in rilievo tanto un problema di esclusività del diritto acquistato (requisito proprio dei soli diritti reali e non certo anche dei crediti), quanto di protezione (dalle altrui indebite ingerenze) della determinata sfera giuridica di quel soggetto che ha acquistato una posizione giuridicamente qualificata verso un dato bene poiché indirizzata all’acquisto di una situazione esclusiva sullo stesso. Non si compone un conflitto tra incompatibili interessi ad un medesimo acquisto (sul piano della poziorità del titolo), ma si tutela ab extrinseco (sul piano della responsabilità patrimoniale) un acquirente in fieri. La trascrizione darebbe così voce al diritto nel suo momento di proiezione esterna.

[68] Il 3° com. dell’art. 2645 bis c.c. (nel sancire che gli effetti della trascrizione del preliminare si considerano come mai prodotti) si riferisce certamente al solo effetto prenotativo e non anche a quello di pubblicità-notizia.

[69] Si realizza una sua immediata, durevole e generalizzata espansione non legata a meri fenomeni contingenti.

[70] Se è corretto sostenere che la trascrizione di un effetto obbligatorio non potrà mai valere a rendere quest’ultimo reale, è ancora tutto da dimostrare che tale pubblicità non sia idonea ad assicurare una più efficace tutela assoluta alla situazione soggettiva relativa in punto di sua stessa (ri)conoscibilità.

[71] Consentita in ambito trascrizionale dalla recente Cass. S.U. 12 giugno 2006 n. 13523.

[72] Cfr. anche Carraro, op. cit., 798 e 799.

[73] La stessa recente creazione del concetto di ‘complessiva operazione economica’ vale da solo a mettere in crisi quella parte della teoria generale del diritto che si è tradizionalmente occupata della ricostruzione dogmatica del fatto giuridico – non più metaforicamente rappresentabile in via esclusiva per punti fissi, ma talvolta anche per linee continue delimitanti a loro volta un compiuto e più ampio fenomeno giuridico – (v. E. Russo, Le nozioni generali del diritto civile, Padova, 2002, 178).

Tale concezione non vale certo a polverizzare della loro autonoma rilevanza i fatti intermedi singolarmente considerati, ma ad unirli finalisticamente in uno stesso ed organico disegno volontario: proprio la ‘causa finalis’ dell’operazione in questione potrebbe essere l’aspetto che vale a ricollegare la formalità di cui all’art. 2645 bis c.c. a quella dell’art. 2643 c.c. in quanto fattispecie complessa volta ad organizzare l’effettualità che sarà regolata dall’art. 2644 c.c. (quasi che la prescritta operatività del meccanismo di cui all’art. 2644 c.c. venisse previamente garantita per il tramite dall’art. 2645 ultima parte c.c.).

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