Con i presenti appunti s’intende verificare la praticabilità, da parte di una s.p.a. quotata, di quella peculiare operazione di riduzione del capitale sociale che si realizza attraverso l’acquisto di azioni proprie e la conseguente riduzione del primo mediante annullamento delle seconde. Il tutto seguendo un iter parzialmente diverso da quello che normalmente l’operatore giuridico in astratto si prefigura ed in concreto pratica[1].
Con il tralasciare qualsiasi considerazione sul se le società quotate rappresentino o meno un tipo organizzativo a sé stante[2] e con l’omettere ogni valutazione (colorata da profili schiettamente civilistici) di teoria generale circa l’ammissibilità fenomenica del rapporto giuridico c.d. unisoggettivo[3] (e delle ragioni della mancata operatività del conseguente effetto confusorio)[4], in quanto aspetti che condurrebbero oltremodo distante dall’analisi che muove il presente studio, si ritiene dunque opportuno entrare fin da sùbito in medias res.
L’art. 2357 bis, 1° com. n. 1) c.c. prevede un’ipotesi di riduzione reale (volontaria o facoltativa[5]) del capitale sociale (e, dunque, non per perdite).
L’opinione dominante ante riforma ha ricostruito l’art. 2357 bis c.c. non come autonoma ipotesi di riduzione del capitale distinta da quella obbligatoria e da quella giustificata dall’esuberanza[6], rappresentando invece essa un’ulteriore modalità di attuazione della medesima riduzione per esubero[7]. Ne è discesa l’applicabilità[8], anche alla fattispecie in oggetto, dell’art. 2445 c.c. (quale disposizione oggi svincolata dal tradizionale e necessitato presupposto dell’esuberanza[9], benché sia da ritenersi attualmente comunque inammissibile fondare tale operazione su motivazioni sorrette dal mero arbitrio)[10].
Infatti l’operazione in esame[11], ritenuta tradizionalmente di potenziale pericolo tanto per i creditori sociali[12] quanto per i soci di minoranza[13], ha da sempre destato in dottrina ed in giurisprudenza (e, prima ancòra, nello stesso legislatore) perplessità e sospetti nei confronti della maggioranza nonché dell’organo di gestione (in quanto considerato diretta emanazione di quella).
Ad oggi detta operazione resta dunque contornata, per tutto quanto sopra rilevato, da una serie di cautele “sostanziali e procedimentali[14]”.
Nell’àmbito della complessa opera di integrazione tra la disciplina speciale offerta dalla c.d. L. Draghi e quella generale propria del codice civile, in riferimento all’asimmetria normativa (c.d. scalino[15]) esistente tra società per azioni quotate (o aperte) ed ordinarie (o chiuse): alla disciplina codicistica deve aggiungersi quella del T.U.F. (D.Lgs. 24 febbraio 1998 n. 58) che, all’art. 132 – sancendo espressamente il rispetto della parità di trattamento tra soci (realizzata anche mediante il meccanismo dell’OPA o dell’OPS)[16] – si limita a disciplinare mere modalità acquisitive delle azioni da parte della stessa società emittente (o di sua controllata), rinviando per il resto interamente alle disposizioni del codice civile (artt. 2357 ss.).
Tanto premesso, per quanto qui interessa, ci si interroga sui seguenti aspetti operativi:
Quanto al primo interrogativo, relativo alla durata dell’efficacia della delibera con cui si decide l’operazione, la risposta non può che essere positiva: una volta che si è proceduto all’acquisto di una sola parte di quanto deliberato si ritiene possibile procedere ad ulteriori compere, nei limiti del quantum stabilito dalla maggioranza, per addivenire all’acquisizione integralmente considerata. Infatti se la relativa delibera concede ‘capienza’ per procedere all’acquisto di azioni a più riprese, ben potrà tale operazione essere frazionata in più tranches sempre in forza dello stesso atto decisionale assunto in precedenza (nonostante la delibera medesima non abbia espressamente previsto, ma nemmeno escluso, l’adozione di tale modalità operativa).
Fatto ovviamente salvo il caso in cui con la stessa deliberazione si sia specificamente sancito che l’acquisto debba avvenire in una dimensione temporale caratterizzata da un’unicità di contesto cronologico (togliendo quindi essa stessa, sul punto, ogni fattore di discrezionalità d’azione alla determinazione dell’organo amministrativo in relazione alle concrete modalità attuative[17]), ferma comunque restando la possibilità di una successiva ratifica da parte dell’assemblea in riferimento alle modalità operative per come adottate nel caso di specie dall’organo amministrativo nel dar fondo all’operazione de qua.
D’altronde se l’organo amministrativo, nonostante l’autorizzazione ricevuta dall’assemblea, resta libero di scegliere se acquistare o meno le azioni emesse dalla medesima società (sulla base, per esempio, della valutazione delle attuali condizioni del mercato), sarà anche libero (in mancanza di un preciso schema acquisitivo imposto dall’assemblea stessa) di scegliere le specifiche modalità (anche temporali) attraverso le quali procedere all’acquisto[18].
Quanto detto: anche in ragione della ravvisabile omogeneità tra la funzione concreta e l’astratta natura tipologica dei diversi atti, ciascuno all’altro accomunato poiché tutti rientranti sotto la medesima operazione delegata, per come ricondotta ad unità sia dalla fonte decisionale sia dall’oggetto[19] deliberato in prospettiva riduzionale.
Per argomentare in modo difforme dovrebbe invece rinvenirsi una sorta di implicito (ma anche del tutto inverosimile) divieto, da parte della proprietà, di riduzione per il globale importo deliberato qualora non si proceda all’attuazione della delibera attraverso un unico atto (tra l’altro: in assoluta mancanza di un qualsivoglia indice di inequivoca concludenza in tal senso).
Infine sotto l’aspetto strettamente esegetico, ed a conferma di quanto sopra, si osserva altresì come è solo l’art. 2357 c.c. ad imporre all’assemblea ordinaria (autorizzante) di fissare anche le modalità operative connesse all’acquisto delle azioni proprie, laddove di tale esigenza non viene fatta parola nel disposto di cui all’art. 2357 bis c.c. che qui interessa.
Di tutti, il secondo punto si presenta come quello maggiormente spinoso.
Prendendo in considerazione i due possibili angoli visuali adottabili, ossia quello sostanziale e quello procedurale, si ritiene che solo un corretto inquadramento del primo consentirà di poter proseguire l’analisi in riferimento alla valutazione della praticabilità del secondo.
Sotto l’aspetto materiale il primo profilo da tenere in prudente considerazione è quello di accertare se l’operazione possa, in qualche modo, correre il rischio di ricadere nell’area del reato codificato dagli artt. 2628 c.c. e 172 T.U.F.. I Giudici di legittimità ritengono che integri un motivo illecito (e dunque anche una causa di illiceità della delibera) l’acquisto di azioni proprie compiuto al fine di equilibrare il corso del titolo che abbia subìto flessioni derivanti da errare iniziative speculative.
Da ciò si evince dunque che, in presenza di una società sovracapitalizzata o, comunque, in bonis (ed in mancanza di pregresse iniziative da rimediare), l’operazione di acquisto effettuata prima del decorso dei novanta giorni utili all’opposizione creditoria è mossa da uno scopo pienamente lecito[20] consistente nel calmierare le fluttuazioni del mercato in riferimento alle stesse azioni dell’ente che pone in essere la “transazione” (i titoli azionari in tal modo non subiranno, medio tempore, uno sbilanciamento nel relativo rendimento): l’illiceità sarebbe ravvisabile in un intento speculativo, non essendolo invece in una legittima opera di difesa dello stesso titolo sociale (dovendosi ovviamente ritenere assente anche ogni conflittualità con l’interesse sociale: si stabilizzano medio termine le quotazioni e, al più, si neutralizzano eventuali altrui manovre speculative in termini di take over – laddove, per argomentare diversamente, dovrebbe potersi sostenere che la società non possa compiere alcuna azione di controllo del valore del titolo sul mercato -). Tale specie di operazione, strettamente connessa al crescente sviluppo del mercato degli strumenti finanziari ed attuattiva dell’interesse sociale, mette in luce la forte attenzione che la compagine sociale coinvolta dedica al profilo del valore finanziario del titolo (la società acquista proprie azioni non per trasferirle a terzi ma per ritirarle dalla circolazione), rimanendo invece in secondo piano il differente ed ulteriore aspetto partecipativo[21]. Se poi, di fatto, l’operazione rispetta anche i limiti posti dall’art. 2357 c.c.: essendo ben possibile una riduzione del capitale con annullamento di azioni proprie già legittimamente acquistate e detenute in portafoglio (caso in cui la società prima acquista le azioni ex 2357 c.c. e solo in un secondo momento annulla detti titoli per ridurre il capitale[22]), ben sarà possibile addivenire (anche nel caso in oggetto) al considerato acquisto prima della scadenza del termine di opposizione.
Nella difficile interazione tra disciplina speciale del T.U.F. e generale del codice civile è doveroso sottolineare, ai fini che qui importano, come la legge Draghi tuteli il risparmio (e, quindi, il corretto funzionamento del mercato) e gli azionisti di minoranza (c.d. risparmiatori, intesi quale figura sociologica più prossima a quella del consumatore – contraente debole -). In tal’ultima ottica però anche gli azionisti di minoranza risultano ottenere, almeno in potenza, un effetto vantaggioso. Si consideri infatti il seguente esempio: società con capitale di euro un milione suddiviso in un milione di azioni da nominali euro uno cadauna; produzione di utili per cinque milioni: cinque euro (a titolo di potenziale dividendo) per azione. Se il capitale viene ridotto di cinquecentomila euro: in presenza di un’identica produzione di utili (per cinque milioni di euro), il dividendo sarà raddoppiato (dieci euro per azione).
Se quanto fin qui sostenuto è corretto, si può ora passare ad analizzare l’aspetto procedurale della vicenda.
Il dato positivo recita che la delibera di riduzione ex art. 2445 c.c. è eseguibile solo dopo il decorso di novanta giorni dalla sua stessa iscrizione nel Registro delle Imprese (in mancanza di opposizione da parte dei creditori sociali), differenziandosi tale aspetto di disciplina da quello delle altre deliberazioni modificative dello statuto che sono invece eseguibili (ex art. 2436, 5° com. c.c.) sùbito dopo la riferita iscrizione.
Si evince quindi come la delibera in esame presenti un’efficacia differita e condizionata: la sua esecuzione è subordinata alla mancanza di opposizione da parte dei creditori.
Risulta qui evidente come, sul punto, la ratio dell’art. 2445 c.c. sia quella di tendere ad assicurare ai creditori sociali un’utilità “di risultato”, alla cui attuazione non è strumentale un unico ed esclusivo iter procedurale vincolato sotto il profilo strettamente formalistico. L’unico vero vincolo che grava medio tempore a carico della società è quello di non sottrarre effettiva sostanza patrimoniale alla soddisfazione dell’interesse che connota il ceto creditorio prima che i soggetti ad esso appartenenti possano opporsi all’assunta operazione sociale. In una visione eminentemente plastica (poiché finalistica) della complessiva fattispecie procedimentale in esame e nel rispetto del precetto sancito a tutela dei creditori sociali sarà ben possibile all’autonomia privata alterare, conformandolo strutturalmente, l’ordine cronologico di composizione del procedimento in oggetto qualora ciò avvenga per il perseguimento di interessi leciti e meritevoli di tutela[23].
L’iter procedimentale si snoda attraverso un primo atto preparatorio a rilevanza cognitizia: l’avviso di convocazione (indicante la ragione e le modalità della riduzione);
il nucleo centrale è poi formato da una fattispecie a formazione progressiva[24] composta dai seguenti elementi: la delibera dell’assemblea straordinaria, l’iscrizione della stessa nel competente Registro delle Imprese (quale formalità a rilevanza almeno parzialmente costitutiva[25]) ed il decorso dei novanta giorni in assenza di opposizione creditoria (condicio iuris).
L’acquisto, l’annullamento delle azioni proprie e la conseguente riduzione del capitale sono normalmente inquadrate nella successiva dimensione esecutiva (ossia al di fuori e dopo il perfezionamento della fattispecie complessa a formazione successiva). Ma in realtà solo l’annullamento – e non anche l’acquisto – è tecnicamente fase esecutiva in quanto solo annullando si riduce il capitale.
Si ritiene che l’acquisto[26] sia stato prudenzialmente posto nell’alveo della fase esecutiva in quanto, con tale termine, il conditor iuris ha voluto in concreto considerare complessivamente la coeva realizzazione del doppio braccio del sinallagma (e cioè: il trasferimento della titolarità delle azioni contro il pagamento pro manibus del prezzo), laddove il materiale versamento della pecunia è certamente momento esecutivo (altrimenti si avrebbe l’incongruenza logica di una fattispecie che si perfeziona solo quando si completa la sua esecuzione[27]).
Anche se si aderisse a quella particolare opinione che, in sede di riduzione volontaria del capitale ex art. 2445 c.c. e nell’adozione di una terminologia che mutua impropriamente quella tipica del rapporto obbligatorio, distingue tra efficacia (giocoforza interinale) della delibera e sua eseguibilità[28] si ritiene ammissibile addivenire medio tempore ad un acquisto di azioni proprie a patto che operi un meccanismo che consenta di farlo risultare inequivocabilmente come posto “a servizio” della successiva riduzione se e come risulterà finalisticamente eseguibile[29] (certamente l’acquisto non è un elemento della fase di formazione strutturale dell’atto di delibera, ma nemmeno si deve sovrapporre e confondere l’efficacia interinale prodotta dalla perfezionata delibera iscritta – e, dunque, la natura degli elementi che possono comporre la conseguente attività di approntamento in punto di eseguibilità – con la sua stessa esecuzione[30]; con il mero effetto acquisitivo verificatosi ante tempus non si va ad anteporre all’interesse creditorio l’interesse imprenditoriale della maggioranza ad eseguire immediatamente la modifica deliberata, né viene minimamente inciso l’interesse generale alla legalità dell’azione sociale: quest’ultimo tipo di interesse non è realizzabile solo ritenendo insussistente la invece presente efficacia interinale della deliberazione; al più l’efficacia preliminare della delibera è inattuale – poiché ancòra da prodursi – fino al momento della sua stessa iscrizione e non anche nei successivi novanta giorni). Il semplice acquisto di propri titoli azionari in attesa della scadenza del termine per l’opposizione dei creditori sociali qualificati[31] è effetto meramente preparatorio che vale ad approntare la successiva ed eventuale riduzione (attuata mediante annullamento dei propri titoli).
Deve quindi risultare chiaro come, per il caso d’intervenuta (vittoriosa) opposizione dei creditori, il verificatosi acquisto delle azioni proprie viene a caducarsi con efficacia ex tunc (potendosi pure, tuzioristicamente, apporre alla fattispecie acquisitiva in esame un’apposita condizione risolutiva) laddove, anche per evitare la responsabilità penale degli amministratori, il prezzo non dev’essere comunque versato prima dell’utile scadenza del noto termine o, se versato, dev’essere sistemato in un’apposita corrispondente riserva vincolata[32] in funzione lata di garanzia – non distraibile finché non siano decorsi i novanta giorni dall’iscrizione della delibera senza che sia intervenuta opposizione alcuna – per consentirne la recuperabilità per il caso di fondata opposizione dei creditori[33] in guisa che non venga pregiudicata la loro posizione con il rendere anche solo meno agevole la realizzazione del credito in esito ad una riduzione di patrimonio[34], infatti l’art. 2445, 3° com. c.c. – riferendosi all’efficacia finale della delibera – mira a garantire il mantenimento nella società delle risorse su cui avevano fatto affidamento i creditori anteriori all’iscrizione: detta disposizione non riconosce ai creditori qualificati un diritto ad ingerirsi nella struttura societaria e negli aspetti organizzativi dello stesso ente, altrimenti si consentirebbe agli stessi anche di incidere sulla produzione degli effetti interinali di una delibera legittimamente adottata dai soci). Deve cioè risultare che l’acquisto di azioni proprie non è in sé e per sé definitivo e finale, ma che è invece compiuto in attesa del verificarsi delle condizioni utili e necessarie per pervenire ad una conseguente riduzione di capitale (l’atto di acquisto, per come qui configurato, neque nocet neque prodest al ceto creditorio: medio tempore l’operazione è concettualmente più vicina alla riduzione nominale del capitale). È proprio per quest’ultima ragione che si deve prevedere un meccanismo acquisitivo peculiare quoad effectum che renda evidente come l’acquisto produce un’investitura formale dell’ente in una situazione di titolarità meramente precaria ed interinale (destinata in qualsiasi caso a modificarsi: risolvendosi l’acquisto in caso di opposizione creditoria, annullandosi le azioni in caso di mancata opposizione). Se poi la riserva non si ritenga strumento sufficientemente sicuro a preservare integre le ragioni dei creditori sociali per il caso di perdite intervenute medio termine che possano in qualunque modo erodere la sostanza patrimoniale della prima, resta da valutare la praticabilità in concreto della predisposizione di un deposito cauzionale pattizio ad hoc (così attuandosi una tutela stragiudiziale in tutto analoga alla previsione di cui all’art. 2445, 4° com. c.c.).
L’acquisto, per come sopra messo in luce, non è esso stesso esecuzione ma prodromo dell’eseguibilità della delibera di riduzione, il tutto in piena coerenza con il principio generalmente accettato del favor deliberationis: gli intangibili diritti soggettivi dei creditori sociali vengono tutelati per altra via, ossia attraverso l’opposizione alla riduzione che si sostanzia nel diniego tanto alla cessazione del vincolo di capitale sul quantum dedotto in delibera, quanto alla conseguente uscita di patrimonio reale dall’ente.
Il suddetto momento dell’acquisto integra un presupposto rilevante unicamente ai fini della così scansionata realizzazione dell’interesse degli stessi azionisti senza incidere minimamente all’interno della sfera dell’interesse dei creditori sociali in quanto esso, di per sé, non rileva in alcun modo (e certamente non in via preclusiva) ai fini dell’opposizione nonché del buon esito di quest’ultima: i creditori devono solo essere messi in grado di conoscere le concrete modalità attraverso le quali la compagine intende addivenire alla riduzione del capitale sociale[35] ma non vantano alcun interesse giuridicamente rilevante a paralizzare un acquisto che risulta comunque, in potenza, “risolubile”: la sorte della riduzione resta affidata alla scelta del singolo creditore che mantiene la piena ed esclusiva potestà dell’azionabilità dell’impulso processuale utile a tutelare le proprie ragioni.
Né varrebbe sostenere che il 4° com. dell’art. 2445 c.c. parla di “operazione” (comprendendovi quindi anche l’acquisto) e non più solamente di “riduzione” (com’era ante riforma): quest’ultimo è argomento letterale che, per sè preso, risulta essere assistito da scarsa persuasività ermeneutica.
Qualora poi non si convenga su quanto sopra proposto, ben sarà comunque possibile che i soci, in prima battuta (ossia già prima dell’assemblea), offrano in vendita alla società un dato numero di azioni per un certo prezzo: l’assemblea potrà accettare l’offerta, disporre l’immediato acquisto delle azioni, ridurre il capitale e deliberare l’annullamento delle azioni acquistate[36].
Quindi si avrà la proposta dei soci prima della deliberazione, seguita dalla successiva delibera che vale accettazione: l’acquisto sarà immediatamente efficace con la sola iscrizione, mentre l’esecuzione (nella cui area rientra il pagamento del prezzo) resterà sospesa per i noti novanta giorni.
In tal modo la fase dell’acquisto non ha certamente più valenza di modalità esecutiva della riduzione, benchè continui comunque ad applicarsi l’art. 2445 c.c.[37].
In conclusione:
– preso atto dell’ipotetica necessità di una società quotata di addivenire ad una riduzione del capitale mediante acquisto di azioni proprie da effettuarsi pendente il termine di opposizione dei creditori sociali e conseguente loro annullamento;
– visti gli artt. 2357 bis n. 1) e 2445, 3° com. c.c.;
– rilevato come l’operazione, sorretta dalla lecita causa in concreto della difesa medio tempore del valore finanziario dei titoli azionari dell’ente, non sia lesiva del ceto creditorio qualora il prezzo della vendita non venga materialmente consegnato ai soci uscenti (e le azioni proprie annullate) prima dell’utile scadenza del termine dei novanta giorni;
– considerato che non si rinvengono sul punto specifici precedenti di giurisprudenza (né in relazione alle Corti di merito né a quelle di legittimità);
– ritenuto che non sussiste un serio e sostanziale impedimento alla praticabilità di detta operazione;
– si osserva come sia ammissibile procedere all’acquisto delle azioni proprie in pendenza del termine di opposizione di esclusivo appannaggio del ceto creditorio.
Quanto al terzo aspetto non sembra vi siano ostacoli di ordine generale che depongano in sfavore dell’ammissibilità di una riduzione scindibile (anche arg. ex art. 2379 ter, cpv. c.c.): il solo ed anodino rischio che si correrebbe sarebbe quello di addivenire ad una riduzione di capitale inferiore rispetto a quanto deliberato nella misura massima prestabilita.
Anche in tal caso i creditori sociali saranno pur sempre tutelati in quanto legittimamente messi nelle condizioni di poter esercitare in piena consapevolezza il diritto di opposizione loro spettante.
Benché non si ritenga questa la sede appropriata per un (quanto mai opportuno) approfondimento della questione, meriterebbero specifica considerazione le conseguenze che potrebbero gemmare dalla seguente ipotesi: non opposta dai creditori sociali una riduzione per 100, certamente sarà altrettanto non opposta una riduzione intervenuta per 80. Ciò che potrebbe formare oggetto di un’apposita indagine è la valutazione della meritevolezza di una sorta di opposizione parziale o, lato sensu, condizionata: “Mi oppongo da tot in su”. In quest’ultimo caso, se si propende per l’affermativa (come ben pare ragionevole), la modalità scindibile della riduzione recherà con sé un valore aggiunto di notevole momento (quantomeno nel senso di garantire maggiore speditezza alle operazioni d’impresa).
Nulla quaestio, quindi, ad una riduzione fissata programmaticamente in frazioni crescenti entro un limite massimo prefissato.
Trattasi, con ogni evidenza, di ipotesi del tutto speculare a quella prevista dall’art. 2439 cpv. c.c. in sede di aumento (per l’appunto: scindibile).
Si assiste, in tutta sostanza, ad una (lecita e meritevole delibera di) riduzione di capitale determinata nel quantum solo nel massimo (ben potendo essere fissata anche una soglia minima al di sotto della quale la delibera debba considerarsi tamquam non esset).
Qualora poi, ad un dato momento, le ulteriori riduzioni prefissate periodicamente per scaglioni non dovessero più ritenersi utili per quanto già ridotto fino a quel tempo, l’assemblea potrà altresì prevedere di limitare la riduzione alle azioni fino a quel momento annullate senza dover necessariamente attendere la scadenza del termine finale previsto per la riduzione complessivamente considerata.
Quanto sopra anche in ossequio al principio di economia dei mezzi giuridici e, non nuoce ribadirlo, in risposta all’esigenza di speditezza dell’azione d’impresa: si evita in tal modo di rendere necessaria una successiva delibera per intervenire sulla precedente decisione con la quale è stata disposta una riduzione di capitale per un importo rigidamente predeterminato (o tutto o niente) e, di fatto, rivelatasi poi superiore rispetto a quanto in concreto avvenuto[38].
In ogni caso la deliberazione dovrà pur sempre indicare il prezzo massimo di acquisto (e, nell’ipotesi in cui tale prezzo sia superiore al valore nominale delle azioni da acquistare, essa dovrà indicare anche la riserva da ridurre in contropartita dell’eccedenza del prezzo di acquisto rispetto al nominale)[39].
Giurisprudenza e dottrina si sono poi occupate di un problema che solo apparentemente potrebbe dirsi assimilabile a quello appena analizzato: l’ammissibilità di una riduzione graduale del capitale sociale[40]. Perché possa reputarsi legittima tale modalità restitutoria dei conferimenti ai soci si dovrà osservare il principio di parità di trattamento degli azionisti (id est: gli stessi rimborsi graduali dovranno avvenire nel pieno rispetto del suddetto principio di uguale trattamento[41]), salvo rinunzia da parte degli stessi (il surriferito principio è infatti posto nell’esclusivo interesse dei soci e risulta quindi cautela dagli stessi disponibile: in tal caso la società potrà rimborsare solo alcune azioni, conservando alle altre il loro pieno valore nominale).
In assenza di detto consenso, per parte della dottrina, la parità di trattamento è comunque assicurata anche utilizzando il sistema (utile per ragioni eminentemente pratiche) dell’estrazione a sorte delle azioni da rimborsare (e dunque da annullare in toto) se ed in quanto accompagnato dall’attribuzione di azioni di godimento agli azionisti sorteggiati. Ma tale meccanismo è riconosciuto come legittimo dalla stessa dottrina che lo ammette solo qualora il valore di mercato delle azioni da annullare non sia superiore a quello nominale.
Avv. Luca Crotti
[1] In tema di azioni proprie cfr., da ultimo, L. Ardizzone, Le azioni proprie, in Commentario alla riforma delle società, diretto da P. Marchetti, L.A. Bianchi, F. Ghezzi, M. Notari, Azioni, sub artt. 2346 – 2362 c.c., Milano, 2008, 643 ss..
[2] Nel primo senso la parte minoritaria della dottrina (per la quale l’elemento tecnico della quotazione vale a staccare la persona giuridica dal tipo codicistico ordinario o non quotato), cfr. G. Oppo, Sulla ‘tipicità’ delle società quotate, Riv. dir. civ., 1999, 483 ss..
Nel secondo senso, invece, l’opinione dominante (v., per tutti, P. Spada, Tipologia delle società e società per azioni quotata, Riv. dir. civ., I, 2000, 211; v. altresì S. Sotgia, Le azioni quotate in borsa, Riv. dir. comm., 1964, 102 ss. (per il qual’ultimo a. la “contrattazione di borsa non […] implica un mutamento nella struttura delle azioni di società”: “la quotazione […] costituisce in sostanza lo strumento per la partecipazione del pubblico alla società […] per favorire e facilitare l’investimento dei capitali e dei risparmi nell’organizzazione dell’impresa sociale” e rappresenta un elemento estrinseco rispetto al titolo di credito di massa).
[3] Sulla scorta della nota tesi pugliattiana, in Diritto Civile, metodo-teoria-pratica, saggi, Milano, 1951, 395 e ss..
[4] Il richiamo è qui, diretto, a P. Ferro-Luzzi, L’<<antropofagia>> societaria; riflessioni sulla natura e sulle vicende delle azioni proprie in portafoglio, Riv. soc., 2001, 1277.
[5] Parte della dottrina distingue le due ipotesi (v. G. Minniti, Studi su alcuni casi di riduzione di capitale, Vita not., 1987, 886):
[6] In giurisprudenza: v. Tribunale Genova 10 aprile 1987, in Le società, 1987, 639; Trib. Verona, 28 gennaio 1988, in Giur. comm., 1988, II, 926 e 28 gennaio 1990, in Società, 1990, 682.
Ma, contra, v. Trib. Verona 24 aprile 1986 e Trib. Milano 21 settembre 1987, in Giur. comm., 1988, II, 926 ss..
[7] In tal senso, in dottrina, cfr.: F. Galgano, La manovra sulle azioni proprie nel d.p.r. 30/86, in Riv. crit. dir. priv., 1986, 404; F. Corsi, Annullamento di azioni proprie, riduzione di capitale e contestuale aumento, in Giur. comm., 1988, II, 929; F. Fenghi, La riduzione del capitale, Milano, 1974, 114; Bonaccorsi di Patti, in Sandulli-Santoro, La riforma delle società, sub art. 2445, Torino, 2003, 935; A. Tordo, Aumento o riduzione del capitale quando la società ha in portafoglio azioni proprie, in Vita not., 1994, 534.
[8] Nonostante nell’operazione di c.d. buy-back (art. 2357 c.c.) prima viene ridotto il patrimonio (quale conseguenza dell’acquisto delle azioni già emesse) e dopo si riduce il capitale (mediante annullamento delle azioni acquistate), mentre ai fini dell’art. 2445 c.c. si prevede che prima venga diminuito il capitale sociale e solo in sèguito vengono distribuite ai soci le relative attività patrimoniali.
[9] Contra: F. Platania, in La riforma del diritto societario, Società per azioni (artt. 2410-2447 c.c.), a cura di Lo Cascio, Milano, 2003, 527 (per il quale a. la modifica normativa è solo apparente in quanto “ancòra oggi la riduzione del capitale può ritenersi legittima solo quando la società sia effettivamente e concretamente sovracapitalizzata”).
[10] In tutta sostanza l’art. 2357 bis c.c. non rappresenta un autonomo tipo di meccanismo riduzionale: esso integra le due ipotesi già previste dall’art. 2445 c.c., così contribuendo a delineare quella che – a ragione – ben può ritenersi la disciplina unitaria di uno stesso fenomeno.
[11] Adottabile anche in relazione a particolari categorie azionarie (v. decreti Tribunale Torino 17 dicembre 1999 e Tribunale Milano 9 marzo 2000, entrambi in Giur. it., 2000, 1879).
[12] Tutela di un interesse esterno all’ente (e, dunque, indisponibile in quanto facente capo a soggetti terzi estranei alla società – nullità della delibera assunta in violazione -).
[13] Tutela di un interesse interno alla società (detto interesse, disponibile da parte del socio di minoranza, funge da limite al potere della maggioranza – annullabilità della delibera assunta in violazione -).
Detto valore potrà essere sacrificato dalla maggioranza solo in presenza di un effettivo e preciso interesse sociale tale da far ritenere dannoso (o, quantomeno, inutile) il mantenere immobilizzate risorse eccessive rispetto agli effettivi bisogni della società stessa.
Per altri autori invece, dato il venir meno del requisito dell’esubero, i soci di minoranza oggi non vantano più un interesse protetto alla conservazione del livello di capitale fissato contrattualmente (in tal senso cfr. F. Guerrera, in Società di capitali, Commentario a cura di G. Niccolini e A. Stagno d’Alcontres, II, Napoli, 2004, 1196; R. Benassi, ult. op. supra cit., 1662 che considera l’art. 2445 cpv. c.c. dettato in attuazione del principio della corretta informazione dei soci al fine di consentire a costoro di esprimere una volontà pienamente consapevole in sede di deliberazione e dettato a garanzia dei principi di esecuzione del contratto sociale secondo correttezza e buona fede oggettiva da parte della maggioranza stessa o, a scelta, al fine di evitare un eccesso di potere o un abuso del diritto di voto in danno della minoranza). Quindi la ratio della norma non potrebbe più oggi ravvisarsi in quella che, prima della riforma, era invece indicata dall’opinione prevalente o, comunque, più autorevole: evitare la sottocapitalizzazione a tutela di un interesse di portata generale (v. G. Portale, Capitale sociale e conferimenti nelle società per azioni, in Riv. soc., 1970, 69 ss.).
[14] Cfr. G.F. Campobasso, a cura di M. Campobasso, Diritto commerciale – Diritto delle società, II, Torino, 2006, 511.
[15] La disciplina delle società quotate non deve (né potrebbe) essere sostanzialmente uguale a quella delle altre società, anche in considerazione della diversità di interessi sottesi alle rispettive forme organizzative (così A. Baldini, Società quotate e società diffuse, in Trattato di diritto civile del C.N.N., diretto da P. Perlingieri, V, 10, Napoli, 2005, 1), infatti la quotazione necessita di una particolare disciplina in quanto, in esito ad essa, le azioni abbandonano la sfera limitata dell’interesse dei soci e dei creditori sociali per entrare in quella amplissima dell’interesse generale riassumibile sotto il concetto (funzionalmente orientato) di sviluppo economico (v. Sotgia, op. cit., 115). Tuttavia dev’essere comunque rispettato, se del caso, il principio generale in forza del quale l’operatore deve procedere armonizzando l’interpretazione di normative diverse (v. Lazzaro, L’interpretazione sistematica della legge, Torino, 1965, 109).
[16] Sul punto v. l’art. 144 bis, cpv., lett. d) del Reg. Consob n. 11971/1999: detta normativa secondaria consente altresì alla società interessata all’acquisto di azioni proprie di attribuire ai soci, in proporzione alle partecipazioni possedute dagli stessi, un’opzione di vendita (il tutto a maggior duttilità del sistema in tal modo reso, in uno, più competitivo sul piano della comparazione internazionale). Si veda inoltre la disciplina del Reg. CE n. 2273/2003.
[17] Per il principio qui espresso, v. anche, mutatis mutandis, Trib. Verona 27 luglio 1989, in Le società, 1990, 499, con nota di M. Irrera.
[18] In tal senso pare anche, tra le righe, M. Cremaschini, nella nota a Trib. Trieste 3 ottobre 1997, in Le società, 1998, 200.
[19] Nel caso di specie non si versa, infatti, in un’ipotesi di distinti ed autonomi oggetti da deliberare (caso quest’ultimo in cui varrebbe invece la regola del divieto di una c.d. delibera implicita, v. Cass. n. 2672/1968).
[20] Così, in dottrina, Dal Martello: nel caso di specie mancano i mezzi fraudolenti atti a cagionare nelle borse di commercio un aumento o una diminuzione del valore delle azioni della società in quanto tali mezzi non possono essere ravvisati nello stesso mero acquisto di azioni proprie. In realtà il motivo di riequilibrare il corso del titolo (o mantenere l’equilibrio esistente) assunto dagli amministratori e fatto proprio dall’assemblea non può dirsi illecito, anche in quanto ciò vale di per se stesso a realizzare in pieno anche l’interesse dei creditori sociali.
[21] Certamente l’annullamento di azioni proprie è operazione che, in sè, incide anche sotto l’aspetto del capitale sociale (inteso come posta di bilancio).
[22] Per l’opinione prevalente anche in tal caso operano le cautele di cui all’art. 2445 c.c. (cfr. R. Nobili e M. S. Spolidoro, La riduzione del capitale, in Trattato Colombo-Portale, 6*, Torino, 1993, 411; nonché S. Landolfi, Riduzione del capitale con azioni proprie, in Vita not., 1995, I, 1170): l’operazione così strutturata comporterebbe sempre un pregiudizio poiché si verificherebbe sempre una perdita patrimoniale pari al prezzo ricavabile da una vendita delle azioni proprie (l’operazione sarebbe dunque realmente neutra solo in caso di prezzo pari a zero).
Contra: Trib. Verona 24 aprile 1986, in Le società, 1986, 1019 (con nota critica di V. Salafia) ed in Giur. comm., 1988, II, 927 (con nota critica di F. Corsi); App. Milano 25 marzo e 5 maggio 1986; App. Milano 21 settembre 1987, in Le società, 1988, 179 (con nota critica di V. Salafia) ed in Giur. comm., 1988, II, 927 (con nota critica di F. Corsi, Annullamento di azioni proprie, riduzione del capitale e contestuale aumento). Per tal’ultimo orientamento l’operazione si ridurrebbe ad un mero atto di annullamento contabile (in quanto la società non subisce alcun esborso).
[23] D’altronde, anche in riferimento alla lettera del 3° com. dell’art. 2445 c.c., “L’equivoco sorge quando si crede di poter limitare il problema dell’intelleggibilità del linguaggio alla connessione sintattica delle parole che lo compongono […] la sola analisi logica di un discorso non può esaurirne il significato nella sua totalità” (v. B. Grasso, Appunti sull’interpretazione giuridica, Camerino, 1974, 16).
[24] Come comprova parte della dottrina quando sostiene che l’inefficacia della delibera è assoluta, con l’unica eccezione (ed ecco l’effetto preliminare o interinale dell’assunta decisione iscritta – da qualificare in termini di obbligo di non alterare la frazione di fattispecie già concretatasi – che lascia spazio alla configurabilità del rilevato fenomeno) che la società non può valersi della sospensione dell’efficacia per porre in essere una successiva delibera incompatibile con la prima (qui certo non può richiamarsi il principio del non ire contra factum proprium tanto perchè la delibera è un atto di volontà e non un fatto in senso stretto, quanto perchè il succitato brocardo esprime un principio generale che non potrebbe essere ora declassato al rango di mera eccezione). Nel senso soprindicato v. Nobili e Spolidoro, op. cit., 235. Sempre la stessa dottrina (cit., 260) precisa come la delibera non ha efficacia (finale) immediata in quanto non è sottoposta ad un termine iniziale di novanta giorni ma alla condizione sospensiva che nessun creditore proponga opposizione (poi vittoriosa) entro il suddetto periodo di tempo.
Potrebbe altresì ritenersi possibile che l’effetto acquisitivo sia una modalità integrativa dell’eseguibilità del deliberato e non della sua conseguente esecuzione (l’efficacia preliminare attiene al piano preparatorio dell’attività di approntamento anche detta dell’eseguibilità, laddove l’efficacia finale attiene a quello definitivamente attuativo dell’esecuzione: l’acquisto delle azioni proprie è un evento di per sé del tutto marginale – benchè necessitato in quanto antecedente logico e cronologico – rispetto alla principale vicenda programmata consistente nella riduzione reale di capitale ex art. 2445 c.c. – così v. E. Sabatelli, Deroghe alla disciplina che regola l’acquisto di azioni proprie, in La seconda direttiva CEE in materia societaria, a cura di L. Buttaro e A. Patroni Griffi, Milano, 1984, 350 e ss. -).
[25] Cfr. F. Guerrera, op. cit., 1197.
[26] Nonostante, a rigore, il termine indichi letteralmente solo la modificazione nella titolarità del titolo azionario poiché riferito ad una sola parte negoziale (e cioè: alla società).
[27] In tema di fattispecie a formazione progressiva e loro vicende, si vedano le limpide pagine di U. La Porta, Il trasferimento delle aspettative – contributo allo studio delle situazioni soggettive attive, Napoli, 1995.
[28] Orientamenti del comitato triveneto dei notai in materia di atti societari (aggiornamento a settembre 2005, n. 13), in realtà riprendendo una ricostruzione proposta da G. Scognamiglio, Brevi note sulle deliberazioni in attesa di omologazione, in AA.VV., Impresa e tecniche di documentazione giuridica, Milano, 1990, IV, 233 (contra: G. Zanarone, L’invalidità delle deliberazioni assembleari, in Trattato delle società per azioni diretto da G. E. Colombo e G.B. Portale, 3**, Torino, 1993, 340).
In base a tale ricostruzione l’efficacia della delibera (seguendo la regola generale di cui all’art. 2436, 5° com. c.c.) si produce sùbito dopo l’iscrizione nel Registro delle Imprese (e quindi lo statuto, anche ai fini della trasparenza, dovrà indicare il capitale nel suo minor importo), mentre il prezzo potrà essere materialmente versato dall’ente ai soci solo dopo lo sterile decorso dei novanta giorni (e, dunque, in mancanza di alcuna opposizione).
Contra: Nobili e Spolidoro, op. cit., 260.
[29] Contra F. Carbonetti per il quale l’acquisto di azioni proprie può essere attuato solo dopo l’iscrizione della delibera e dopo il decorso del termine di opposizione (v. Commento all’art. 9, in Commento al D.P.R. 10 febbraio 1986 n. 30, in Nuove leggi civili commentate, 1988, 87 ss.).
[30] Non può sussistere alcuna (logica e necessitata) coincidenza tra efficacia preliminare dell’atto e sua esecuzione (e ciò è tanto più vero quanto più si ponga mente al fatto che la fase preparatoria che conduce all’integrazione dell’eseguibilità di un atto è necessitato passaggio mediano che presuppone raggiunta una previa efficacia interinale).
[31] Ossia: le cui ragioni di credito sono sorte anteriormente al deposito della delibera di riduzione nel Registro delle Imprese.
[32] Potendosi anche prospettare una peculiare ipotesi di vincolo di destinazione sub species iuris di riserva “targata” all’annullamento (la cui causa societatis è rivelata dalla specifica destinazione impressa al versamento medesimo), come tale inutilizzabile a qualsiasi fine (nemmeno per assorbire eventuali perdite – se non dopo che sia stata erosa la riserva legale -) e da iscriversi al passivo dello stato patrimoniale.
Il problema è ora quello di determinare la sorte delle azioni proprie medio tempore in pendenza di un processo instauratosi all’esito di un’ipotizzata opposizione: quid iuris ? L’idea che le azioni debbano rispettare (si direbbe qui “in via sopravvenuta”) i limiti di cui all’art. 2375 c.c. urta contro la possibilità di addivenire poi alla deliberata riduzione qualora il creditore opponente uscisse perdente dall’intentata causa e, dunque, quest’ultima costruzione si ritiene da respingere poiché teleologicamente fuorviante; la soluzione meglio rispondente al caso in esame pare quindi quella di ritenere congelata tale situazione (poiché funzionalmente collegata all’operazione riduzionale) per tutto il periodo necessario a far luce sulla vicenda medesima, ben potendo a questo punto tornare applicabile lo specifico rimedio propulsivo consistente nell’autorizzazione del Tribunale (per come offerto dall’art. 2445, 4° com. c.c.).
Ci si interroga inoltre se sia altresì possibile iscrivere tale versamento di cui si fà carico la società in un apposito “fondo per rischi” (ex artt. 2424, 1° com., sub Passivo, lett. B, n. 3 e 2424 bis, 3° com. c.c.), rappresentando esso un debito eventuale da restituzione. Contro il riconoscimento, per il caso de quo, di una generale iscrivibilità in bilancio di un apposito “fondo per rischi” opera la considerazione in base alla quale la semplice possibilità di perdite – c.d. rischio dinamico – (e non anche la differente qualificata situazione di probabilità – c.d. rischio statico -) può essere coperta solo da riserve (cfr. G.E. Colombo, Il bilancio di esercizio, in Trattato Colombo-Portale, 7*, 1994, 346). La valutazione dovrà quindi essere effettuata di volta in volta sulla scorta dell’aggiornata situazione patrimoniale della società che intende intraprendere l’operazione in commento (ed è indi legata alla probabilità o meno di subire una fondata opposizione creditoria – sul punto v. M. Bussoletti e P. de Biasi, Società di capitali, in Commentario a cura di G. Niccolini e A. Stango d’Alcontres, II, Napoli, 2004, 1014 e 1015; nonché cfr. B. Quatraro e S. D’Amora, Il bilancio di esercizio e consolidato, I, Milano, 1998, 201 -), tenendosi ad ogni modo nel dovuto conto (per il caso di probabile opposizione) quanto rilevato supra in narrativa in relazione alla liceità dell’aspetto sostanziale che sottostà ad una siffatta ipotesi di riduzione.
[33] Che non sono tuttavia legittimati a sindacare nel merito la deliberata operazione (non possono ingerirsi nell’area dell’opportunità o della ragionevolezza della riduzione né delle relative modalità di attuazione). L’unico interesse del ceto creditorio meritevole di sorreggere un atto di opposizione è quello di non voler rischiare di perdere in concreto la tutela alla soddisfazione delle relative pretese verso l’ente.
In tal senso la dottrina prevalente, per tutti v. G. Frè, Società per azioni, in Commentario Scialoja-Branca, 1982, sub art. 2445, 817; F. Fenghi, Studi in tema di riduzione del capitale nelle società per azioni. I: il rapporto capitale-oggetto sociale, in Riv. soc., 1969, 557.
Contra, ma isolato, G. Cabras, Le opposizioni dei creditori nel diritto delle società, Milano, 1978, 262 (per il quale a. l’opposizione dei creditori non è condizionata all’esistenza di un concreto pregiudizio economico).
[34] Lo stesso 4° com. dell’art. 2445 c.c. prevede che il Tribunale (in carenza del presupposto di cui all’art. 100 c.p.c.) possa disporre – nonostante l’opposizione – la riduzione qualora ritenga insussistente il pericolo di pregiudizio dei creditori sociali o qualora la società stessa presti idonea garanzia (misura, quest’ultima, che potrà anche ritenersi ultronea qualora la società stessa vanti una solidità economico-patrimoniale tale da far ragionevolmente ritenere detta cautela del tutto eccessiva – in quest’ultima ipotesi si ha un’autorizzazione all’esecuzione della delibera in pendenza dell’opposizione già intervenuta mentre, nel nostro caso, si richiede un qualcosa di meno: il solo prodursi di un prodromico effetto meramente acquisitivo delle azioni in fase di semplice pendenza del termine, tant’è che qualora si versi nella prima e più grave ipotesi è richiesta una pronuncia giudiziale ad hoc -). L’opposizione impedisce il compimento dell’atto pregiudizievole, ravvisabile nel solo annullamento delle azioni proprie accompagnato dal materiale versamento del prezzo da parte della società nelle mani dei soci alienanti.
[35] Si consideri che il predetto acquisto non inciderà minimamente nemmeno sulla natura permanente del fatto giuridico pubblicitario posto in essere nel Registro delle Imprese (che durerà immutato), restando dunque del tutto invariato l’effetto (primario) di “conoscenza legale” che dalla scritturazione della delibera deriva nei creditori sociali qualificati dalle date dei titoli fonti delle rispettive pretese.
[36] V. Nobili e Spolidoro, cit., 416.
[37] Se l’art. 144 bis, 1° com., lett. b) cit. Reg. Consob non consente, per gli acquisti di azioni proprie indirizzati nei mercati regolamentati, che siano adottate modalità prevedenti “l’abbinamento diretto delle proposte di negoziazione in acquisto con predeterminate proposte di negoziazione in vendita” è solo per evitare di frustrare la necessaria par condicio che dev’essere assicurata alle potenziali controparti interessate alla negoziazione: i venditori, al via delle operazioni, devono tutti occupare un’identica posizione legittimante, funzionale al disinvestimento, per non doversi altrimenti dire illecitamente falsati i giochi di mercato (quello che si vuole ora evitare è, nel rispetto dell’integrità e dell’effettività del mercato, il prodursi di un effetto traslativo il quale, in base alle peculiari modalità procedimentali attraverso cui ne è stata programmata la produzione, risulti disattendere un’autentica parità di trattamento del bacino d’utenza di riferimento favorendo indebitamente taluni predeterminati soggetti in spregio di tutti gli altri – d’altronde, che questa sia la ratio della disposizione in esame, si ritiene risulti piuttosto chiaramente dal medesimo art. 144 bis, 3° com. -).
[38] Ulteriore e diversa soluzione potrebbe essere quella con la quale l’assemblea ordinaria dà mandato agli amministratori di acquistare un numero massimo di azioni (anche in deroga ai limiti di cui all’art. 2357 c.c.) riservandosi contestualmente di procedere – dopo l’acquisto – alla riduzione del capitale ed al conseguente annullamento delle azioni: successivamente una seconda assemblea straordinaria prende atto del numero delle azioni acquistate e delibera la riduzione del capitale.
[39] L’art. 2357 bis c.c. non indica alcun limite al prezzo di acquisto:
[40] In riferimento e contro la gradualità del rimborso effettivo ai soci (ma sull’affatto differente presupposto di un’inattualità dell’esubero e, considerata l’abnorme dilatazione temporale dell’operazione stessa, di una conseguente illegittima attribuzione all’organo amministrativo di un potere, in fatto, decisionale), v. Trib. Roma 15 luglio 1964, Riv. dir. comm., 1965, 83 (con nota critica di G. Ferri).
[41] Il rimborso andrà quindi effettuato in proporzione alla quota di partecipazione di ciascun socio (solo così si ha una riduzione di capitale che garantisce la parità di trattamento di tutti i soci).
È altresì possibile una riduzione del capitale applicata in misura diversa alle azioni proprie ed a quelle in circolazione (essendo tale modalità presupposta dal cpv. dell’art. 2445 c.c. – così: M. S. Spolidoro -).