La convenzione arbitrale, in Diritto e giustizia, 06 Aprile 2018

Sommario: 1. Introduzione. – 2. Gli effetti processuali della convenzione d’arbitrato. – 3. La convenzione arbitrale. – 4. La circolazione della clausola compromissoria – 5. L’arbitrato irrituale – 6. L’arbitrato nel mortis causa.

  1. Introduzione.

La convenzione arbitrale, argomento sul quale sono stati versati fiumi d’inchiostro[1], implica e impone l’esame degli aspetti sostanziali del fenomeno arbitrale, tradizionalmente considerato, di sicuro in Italia ma anche in Francia[2], “con sospetto[3]” e comunque con un certo pregiudizio[4].

Autonomia privata, e in particolare contrattuale, alla quale, oggi è definitivamente chiarito, viene riconosciuto il potere non solo di disporre in senso stretto (come invece riteneva F. Santoro Passarelli[5]), ma anche di accertare (negozio di accertamento, che presuppone la res dubia) e di comporre (contratto di transazione, che presuppone la res litigiosa)[6].

L’autonomia negoziale in altri termini, in quanto idonea a disciplinare una eterogenea gamma di interessi, assolve ad una eterogena serie di funzioni, operando non solo in via dispositiva (attraverso i noti fenomeni della disposizione costitutiva, modificativa, estintiva o novativa) ma anche accertativa[7] e compositiva di controversie non solo di carattere economico ma anche di natura giuridica (puramente tecnica – come quelle, ad es., sulla validità o sull’esistenza del contratto[8] -)[9].

Fenomeno arbitrale che, di origini antichissime[10] e contrapposto alle forme di risoluzione dei conflitti basate sul metodo della vendetta personale, era ben noto al diritto romano classico il quale prevedeva un compromesso, da un lato, con collegata clausola penale (stipulationes) a carico delle parti per l’ipotesi in cui non avessero rispettato il ‘nudo patto’ (compromissum) e, dall’altro, con multa per l’arbitro per il caso di inadempimento dell’incarico (receptum arbitrii)[11].

Istituto arbitrale che oggi rientra, come anche magistralmente ricordato dal Prof. Luiso in un recente saggio[12], tra gli strumenti “non autoritativi” di risoluzione delle liti (versandosi in un caso in cui il terzo, per difetto di imperium, non può decidere senza il consenso dei litiganti[13]), in grado di produrre lo stesso risultato della giurisdizione (art. 824 bis, c.p.c.).

Per questa ragione innanzitutto, una volta che si è preso atto del fatto che nulla vieta al legislatore di riconoscere a strumenti di natura non autoritativa gli stessi effetti di quelli autoritativi (per cui lo Stato, avendo riconosciuto la figura degli arbitri, non ha il monopolio del giudizio[14] – pur avendo conservato quello della tutela coattiva del diritto[15] -), perde certamente rilievo la vexata quaestio, relativa ai rapporti tra arbitrato e poteri statali, se la natura del lodo sia privatistica o giurisdizionale (anche se in quest’ultimo senso si è pronunciata: Cass. S.U. n. 24153/2013). Del resto nessuno ha mai fondatamente dubitato che, tra transazione (artt. 1965 e 1372, co. 1, c.c.) e sentenza (art. 282, c.p.c.), vi sia, quoad effectum, una sostanziale equiparazione (del resto non è per caso se il processo interviene quando il negozio, per i medesimi fini ed effetti, non è stato in grado di risolvere la vicenda controversa).

E per questa ragione, siccome la funzione del lodo[16] è quella (non di “delegare agli arbitri un segmento del potere giurisdizionale dei giudici dello Stato[17]” ma) di sostituire[18] una decisione del giudice, mi pare corretto ritiene l’arbitrato strumento “alternativo” alla giurisdizione[19] (entrando quindi, a pieno titolo, l’istituto in esame a comporre il sistema degli “a.d.r.”)[20], come anche statuito dalla Corte Cost. n. 223/2013 (e così è sin da Corte Cost., 12/02/1963, n. 2).

Strumento decisorio[21] (speciale) che tuttavia, rispetto alla (ordinaria) giurisdizione, trova la sua peculiarità nella fonte, che risiede, per l’appunto, nell’autonomia negoziale e, in particolare, nel contratto (inteso nel senso tradizionale di atto che si perfeziona per effetto del consenso bilaterale espresso dalle parti).

Strumento, dunque, autonomo quanto alla natura dell’atto sotteso alla relativa adozione ma eteronomo quanto alle modalità di produzione del risultato cui tende l’istituto (risoluzione della contesa) in quanto, al pari della giurisdizione, è sempre un terzo (l’arbitro) che quale ‘giudice privato’, valutata la fondatezza delle contrapposte pretese, determina le concrete regole di condotta cui le parti litiganti dovranno attenersi all’esito della procedura.

Ebbene in proposito si anticipa sùbito che l’arbitrato, quale procedura che presuppone ovviamente la natura disponibile del diritto controverso (art. 806, c.p.c.), può essere: a) da compromesso (art. 807, c.p.c.), quando l’accordo ha per oggetto una lite concretamente già insorta tra le parti (anche nell’area dei rapporto extracontrattuali[22])[23], ovvero b) da clausola compromissoria (art. 808, c.p.c.)[24], quando l’accordo si riferisce programmaticamente ad un numero indeterminato di controversie future ed eventuali[25], anche se relative a un determinato rapporto (di natura) non contrattuale (art. 808 bis, c.p.c.)[26]. Altra è poi la clausola compromissoria inserita negli atti costitutivi o negli statuti sociali delle società commerciali (che non fanno ricorso al mercato del capitale di rischio), con riguardo alle liti tra soci o tra soci e società aventi ad oggetto il rapporto sociale, per la quale vige un regime speciale (v. art. 34, d.lgs. n. 5/2003)[27].

È opportuno segnalare che, invero, gli arbitrati da compromesso sono quasi del tutto inesistenti: una volta sorta una lite, evidentemente, esiste sempre, di fatto, un litigante che è privo di interesse ad una soluzione arbitrale della controversia e quindi rifiuta di prestare il proprio consenso al trasferimento della contesa innanzi a giudici privati.

Resta in ogni caso fermo che, anche per costante massima della Consulta (Corte Cost., 08/06/2005, n. 221; Corte Cost., 24/07/1998, n. 325; Corte Cost., 11/12/1997, n. 381; Corte Cost., 27/02/1996, n. 54; Corte Cost., 23/02/1994, n. 49; Corte Cost, 27/12/1991, n. 488), l’arbitrato è un fenomeno che può originare solo da una fonte negoziale in quanto è vietata qualsiasi forma di arbitrato “obbligatorio” di diritto o ex lege (a mente dell’art. 24, Cost.)[28]: infatti, “il fondamento di qualsiasi arbitrato è da rinvenirsi nella libera scelta delle parti” (così è statuito sin dalla Corte cost., 14/07/1977, n. 127)[29].

Perciò, nel fenomeno arbitrale, il consenso delle parti rileva non solo per la nomina dell’arbitro e la individuazione del procedimento (rituale o irrituale, secondo diritto o equità) ma anche, più radicalmente, in ordine alla scelta tra la tradizionale via giurisdizionale e quella arbitrale.

La nuova formulazione dell’art. 808, co. 2, c.p.c. avvalora l’autonomia della clausola compromissoria[30] per cui dal venir meno, per qualsiasi ragione, degli effetti del contratto non deriva automaticamente il venir meno della clausola arbitrale[31] (Cass. civ. Sez. II, 06/11/2013, n. 25024)[32].

Autonomia che ancòra, quando la clausola compromissoria è contenuta in una proposta contrattuale, consente di affermare che la convenzione può ritenersi conclusa anche se l’accettazione contiene delle modifiche riguardanti la parte solo sostanziale del contratto (Cass. civ. Sez. III, 14/04/2000, n. 4842).

Infatti, in punto di validità, si deve verificare di volta in volta se il vizio che investe li contratto si estenda o meno anche alla clausola compromissoria[33] (strumentalmente connessa al primo, quantomeno per la corretta delimitazione dell’oggetto della convenzione[34], con una connotazione ad altri effetti[35] di accessorietà – intesa[36] come collegamento funzionale necessario tra negozi principale e di secondo grado -)[37].

  1. Gli effetti processuali della convenzione d’arbitrato.

La convenzione di arbitrato, innanzitutto, ha un effetto sulla giurisdizione nel senso che impedisce l’esercizio della stessa ad opera dello Stato: alla parte che introduce un giudizio civile, la controparte può opporre la exceptio pacti (‘eccezione di compromesso’).

In particolare, una controversia sulla “ripartizione della potestas iudicandi tra arbitri e giudici ordinari” integra una questione (non preliminare di merito sull’esistenza, sulla validità o sull’interpretazione della convenzione arbitrale ma) processuale di competenza (cfr., da ultima, Cass. civ. Sez. I, 23/02/2016, n. 3481 emessa sulla scia di Cass. civ. Sez. Unite, 25/10/2013, n. 24153 e di Cass. civ. Sez. Unite, 29/05/2013, n. 13504).

Tale profilo di incidenza della convenzione arbitrale non impatta negativamente con l’art. 24, Cost. in quanto non si è in presenza di una ‘rinuncia preventiva’ alla tutela giurisdizionale (come pur tuttavia si trova spesso affermato nelle sentenze anche di legittimità) ma di una sostituzione volontaria di quest’ultima con “altro”.

A corollario di tale assunto discende che le garanzie del processo arbitrale devono essere analoghe a quelle assicurate dall’attività giurisdizionale: l’arbitro, la cui attività coincide sostanzialmente con quella del giudice che deve valutare la fondatezza delle pretese delle contrapposte parti in contesa, è tenuto al rispetto di tre principi essenziali: il contraddittorio, il diritto di difesa e l’imparzialità (sia in caso di arbitrato rituale che irrituale).

Valori, questi ultimi, da preservare, pena invalidità del lodo.

Ciascuna delle parti, perciò, deve avere identica possibilità di difesa, proponendo domande, effettuando difese, chiedendo mezzi istruttori ed esponendo le proprie ragioni innanzi all’arbitro.

Carenza di convenzione d’arbitrato che, per la controparte risultata inerte nella relativa contestazione, integra una causa di invalidità del lodo che può essere fatta valere in qualunque sede (probabilmente previo assolvimento dell’onere di impugnazione per nullità della decisione) a mente degli artt. 817 e 829, c.p.c.

  1. La convenzione arbitrale.

La convenzione d’arbitrato, sia rituale che irrituale (artt. 807, 808 e 808 ter, c.p.c.), è un contratto tipico[38] (quantomeno socialmente; o forse meglio: atipico ma nominato[39]) che ha per elementi essenziali:

  1. la manifestazione della volontà di devolvere ad arbitri la soluzione di una o più controversie;
  2. la determinatezza del rapporto giuridico che costituisce la fonte della lite demandata ai giudici privati[40].

L’istituto è definito dalla giurisprudenza (che riprende la definizione chiovendiana) come “contratto ad effetti processuali[41]”, caratterizzandosi per una possibile duplicità di contenuto in quanto: a) da un lato attribuisce ai contraenti (o ad uno solo di essi[42]) il diritto (potestativo) al processo arbitrale[43]; b) dall’altro, quantomeno per l’arbitrato irrituale, esprime anche un contenuto configurativo[44] del procedimento di definizione della lite, dettando le regole del processo privato attraverso le quali l’autonomia negoziale regola “quomodo, condizioni e oggetto” dell’arbitrato – pur se nel necessario rispetto, considerata la essenziale funzione decisoria insita nell’arbitrato (che serve a risolvere liti)[45], di fondamentali principi costituzionali di settore (contraddittorio, difesa e terzietà)[46] -.

In proposito di è anche diffusamente parlato, per la convenzione arbitrale, di “contratto con comunione di scopo”, ravvisandosi una “causa comune tra le parti”, in quanto negozio finalizzato ad adottare un procedimento a struttura tipicamente arbitrale[47]: difatti la convenzione arbitrale non compone direttamente il conflitto, ma predispone un mezzo per risolverlo. Poi la natura dell’interesse (munirsi o meno di un titolo esecutivo) inciderà sulla causa in concreto dello strumento prescelto (orientando verso l’adozione del modello: arbitrato rituale o irrituale)[48]. Certamente si è in presenza di un “contratto” ex art. 1321, c.c. in quanto lo scopo (sebbene indiretto[49]) è quello di “regolare” un rapporto giuridico a rilievo patrimoniale[50].

Non si è in presenza di un cd. actus legitimus in quanto tale fattispecie negoziale tollera l’apposizione di condizioni e termini (Cass. civ. Sez. I, 30/08/1995, n. 9162 e Coll. Arbitrale, 09/02/1991).

Oggetto della convenzione (stipulabile da soggetti di diritto[51] muniti della capacità di agire[52])[53] possono essere unicamente “diritti disponibili” (art. 806, co. 1, c.c.)[54] – si consideri in proposito che l’arbitrato, nell’area del diritto privato, ha trovato maggior sviluppo nel settore del diritto commerciale piuttosto che in quello del diritto civile -.

Innanzitutto, come anche ha sancito dalla giurisprudenza nell’opera di definizione dell’ambiguo e assai incerto confine insito nel concetto di ‘disponibilità’ (Cass. civ. Sez. I, 20/01/2006, n. 1183 e Cass. civ. Sez. III, 15-05-2003, n. 7520), arbitrabili sono le controversie relative a diritti patrimoniali (ossia “negoziabili”, per essere suscettibili di rinuncia e alienazione)[55].

Con esclusione, oltre che dei casi per cui il legislatore esclude espressamente la possibilità di un arbitrato, di quelle procedure relative a posizioni per le quali sia previsto l’intervento del P.M. (indice sintomatico della indisponibilità del diritto di cui si richiede tutela in quanto ricorre un preminente interesse generale e quindi pubblico / superindividuale).

Irrilevanti, al fine di decidere sulla arbitrabilità della lite, sono i casi di inderogabilità della normativa (come, ad es., in materia di lavoro, di filiazione, di rapporti agrari, etc.); come irrilevante è la ricorrenza di una giurisdizione speciale (amministrativa[56] e tributaria – che, se relativa a diritti soggettivi disponibili, non impedisce la compromettibilità in arbitri della lite[57] -) o la ricorrenza di regole sulla (inderogabilità della) competenza del giudice ordinario[58] (Trib. Ivrea, 26/05/2010).

La convenzione arbitrale, or dunque, “è riferibile a tutte le controversie civili o commerciali attinenti a diritti  disponibili nascenti dal contratto cui essa accede, sicché la rinunzia ad avvalersene in occasione di una controversia insorta tra i contraenti non implica, di per sé, una definitiva e complessiva abdicazione alla stessa in relazione ad ogni altra controversia, a meno che le parti – con accordo la cui validità presuppone il rispetto delle condizioni di forma e di sostanza proprie di un patto risolutivo degli effetti del patto compromissorio – non abbiano rinunziato definitivamente alla clausola compromissoria nel suo complesso” (Cass. civ. Sez. II, 20/02/2015, n. 3464).

Il regime della convenzione d’arbitrato conclusa su diritto indisponibile è quello, al pari del relativo lodo, di una assoluta ed insanabile nullità (arg. ex art. 1966, c.c.)[59] che può essere fatta valere, senz’alcuna preclusione per l’interessato, in ogni momento e in qualsiasi sede.

Altro è poi stabilire se il diritto (disponibile) alla decisione arbitrale sia o meno costituzionalmente protetto, nel senso che al legislatore spetti o meno il potere di vietare espressamente alle parti l’adozione della procedura d’arbitrato.

La giurisprudenza, nei casi in cui è stata chiamata a pronunciarsi sul tema, ha sempre fatto salva la prescrizione legislativa, anche se ciò è in pratica avvenuto ogni volta in cui nella vicenda era coinvolta la P.A. (Cass. civ. Sez. I, 19/07/2016, n. 14782; Corte Cost., 27/01/2011, n. 31; Corte Cost., 22/05/2009, n. 162; Corte Cost., 15/01/2003, n. 10), probabilmente sul discutibile presupposto del miglior rigore o della maggior affidabilità del giudizio autoritativo rispetto a quello privato.

La questione, allo stato, è ancora dibattuta in dottrina ma pare preferibile la posizione di chi ravvisi in un tale divieto una grave limitazione al potere di autonomia privata dei consociati.

La forma del compromesso e della clausola compromissoria è quella scritta ad substantiam actus (artt. 807 e 808, co. 1, c.p.c.)[60], la quale deve intendersi rispettata anche quando il documento non è in originale (si pensi, per esempio, al telefax, ecc.) e anche quando il consenso non si formi tra presenti, perfezionandosi in esito ad una fattispecie procedimentale datasi a mezzo di atti separati[61].

Sul piano dell’interpretazione della convenzione arbitrale[62] l’art. 808 quater, c.p.c. ribalta il precedente orientamento giudiziale[63]: nel dubbio, si deve privilegiare una interpretazione che estenda la competenza arbitrale (evidentemente non eccezionale) a tutte le liti derivanti dal rapporto cui la convenzione si riferisce (anche a quelle non espressamente previste)[64].

Convenzione d’arbitrato che resta efficace, non consumandosi, anche se il procedimento arbitrale giunge a conclusone senza una pronuncia di merito (art. 808 quinquies, c.p.c.)[65].

La convenzione ha per contenuto necessario:

  1. la nomina degli arbitri oppure l’indicazione del numero (dispari) degli arbitri e le modalità di nomina (art. 809, co. 2, c.p.c.)[66].

Mentre la stessa ha per contenuto facoltativo:

  1. la sostituzione dell’arbitro ‘venuto a mancare’ (art. 811, c.p.c);
  2. la designazione di un terzo per la sostituzione dell’arbitro inadempiente (art. 813 bis, c.p.c.);
  3. indicazione della sede dell’arbitrato (art. 816, c.p.c.);
  4. previsione delle regole applicabili al procedimento e la lingua dell’arbitrato (art. 816 bis, co. 1, c.p.c.);
  5. carattere plurilaterale della convenzione arbitrale (art. 816, quater, c.p.c.)[67];
  6. determinare, per ciascuna parte, la misura dell’anticipazione delle spese d’arbitrato (art. 816 septies, co. 1, c.p.c.);
  7. previsione di un termine per l’emissione del lodo, e dunque la durata del procedimento arbitrale (art. 820, co. 1, c.p.c.);
  8. impugnabilità del lodo per violazione di norme di diritto [art. 829, co. 1, nn. 4) e 10) c.p.c.];
  9. costante affidamento della fase rescissoria del giudizio (ossia quella in cui, all’esito della impugnazione del lodo per nullità, si decide la lite nel merito) ad un nuovo organo arbitrale[68] (art. 830, co. 2, c.p.c.), sottraendo così il relativo potere alla Corte d’appello (nei tassativi casi in cui la norma invece lo contemplerebbe);
  10. rinvio ad un regolamento arbitrale precostituito tout court[69] (in quanto voluto dalle parti ex art. 816 bis, co. 1, c.p.c.) o di una istituzione arbitrale (arbitrato ‘amministrato’), ipotesi non coincidenti e accomunate dal fatto che le regole del processo arbitrale vengono assoggettate dai contraenti ad una fonte normativa esterna (art. 832, c.p.c.);
  11. stabilire la ritualità o la irritualità dell’arbitrato e il suo carattere ‘di diritto’ o ‘d’equità’.

Naturalmente la convenzione arbitrale, oltre a poter venire meno per volontà di legge (se una lex superveniens rende non arbitrabile una materia che invece era prima disponibile), è suscettibile di essere sciolta per mutuo dissenso (art. 1321, c.c.)[70], il che può verificarsi (pur senza il consenso degli arbitri) anche implicitamente come in caso di proposizione, non contestata dalla controparte, della domanda innanzi al giudice ordinario (Cass. civ. Sez. Unite, 06/07/2016, n. 13722 e Cass. civ. Sez. II, 29/01/1993, n. 1142)[71] – e lo stesso dicasi anche in caso di domanda proposta in via di riconvenzione (Cass. civ. Sez. II, 16/12/1992, n. 13317) – come pure, taluna dottrina ritiene[72], in caso di mancata notifica della domanda di arbitrato entro il termine convenuto per l’inizio del procedimento[73].

Quanto alla potenziale abusività della convenzione d’arbitrato (ex artt. 1341 e 1342, c.c.), si segnala che “In tema di condizioni generali di contratto, l’efficacia delle clausole onerose (tra cui rientra la clausola compromissoria istitutiva di  arbitrato rituale[74]) è subordinata alla specifica approvazione per iscritto nei soli casi in cui le dette clausole siano inserite in strutture negoziali destinate a regolare una serie indefinita di rapporti, tanto dal punto di vista sostanziale (se, cioè, predisposte da un contraente che esplichi attività contrattuale all’indirizzo di una pluralità indifferenziata di soggetti), quanto dal punto di vista formale (ove, cioè, predeterminate nel contenuto a mezzo di moduli o formulari utilizzabili in serie). La mera attività di formulazione del regolamento contrattuale è da tenere distinta dalla predisposizione delle condizioni generali di contratto, non potendo considerarsi tali le clausole contrattuali elaborate da uno dei contraenti in previsione e con riferimento ad un singolo, specifico negozio, ed a cui l’altro contraente possa, del tutto legittimamente, richiedere di apportare le necessarie modifiche dopo averne liberamente apprezzato il contenuto”: Cass. civ. Sez. I, 23/05/2006, n. 12153 (Trib. Pescara, 06/07/2016; Trib. Treviso Sez. II, 31/08/2015; Trib. Roma Sez. VIII, 12/07/2011; Trib. Arezzo, 16/08/2007; Trib. Monza Sez. IV, 03/09/2007; Trib. Padova, 17/07/1999; Cass. civ. Sez. Unite, 12/06/1997, n. 5292)[75].

Inoltre, nei rapporti con i consumatori [art. 33, comma 2, lett. t) e art. 36, del d.lgs. n. 306 del 2005], la convenzione arbitrale non è vessatoria, ed è legittima la deroga alla competenza dell’autorità giudiziaria in favore degli arbitri, quando la disposizione è stata accolta in conseguenza (come si presume) di una specifica trattativa tra le parti[76], il peso della cui prova grava il professionista che intenda avvalersi della pattuizione in deroga (Cass. civ. Sez. VI – 1, 13/02/2017, n. 3744; Trib. Frosinone Sez. I, 08/01/2015; Trib. Torino, 27/11/2001)[77].

Ci si è chiesti se, in caso di mancato rispetto del vincolo compromissorio ad opera di una parte, al contraente che non ha violato il patto spetti o meno il risarcimento del danno. Tale pretesa pare inammissibile, vista la mancanza di obbligazioni di cui si possa lamentare il mancato rispetto (al più si potrà chiedere la condanna della parte che viola il patto a norma dell’art. 96, c.p.c.)[78]. Dalla funzione di contratto (non di scambio ma) con comunione di scopo, inoltre, discende che il patto d’arbitrato non può essere risolto, neppure per impossibilità o eccessiva onerosità sopravventa.

Infine la previsione di una convenzione arbitrale è atto di straordinaria amministrazione nell’attività di gestione del patrimonio degli incapaci (area nella quale rileva il carattere conservativo o meno dell’operazione), mentre è atto di ordinaria amministrazione nell’àmbito dell’attività d’impresa in quanto, tale pattuizione, di questa non ne modifica la struttura economico-organizzativa[79] (Cass. civ. Sez. I, 05/12/2011, n. 25952; Cass. civ. Sez. I, 18/10/1997, n. 10229; Cass. civ. Sez. I, 04/05/1995, n. 4856 e App. Torino, 20/02/1982)[80].

In tema di opponibilità al Fallimento di una clausola arbitrale contenuta in un contratto concluso dal fallito[81], si evidenzia che se la dichiarazione di fallimento interviene durante la pendenza di un procedimento arbitrale o comunque se il contratto in cui è inserita la clausola compromissoria (non ancora attivata) è pendente all’epoca della dichiarazione di fallimento[82]:

  1. lo scioglimento da parte del curatore del contratto pendente determinerà l’improcedibilità del giudizio arbitrale (art. 83 bis, l. fall.)[83], che pertanto si estinguerà senza un lodo definitivo, o comunque lo scioglimento anche della convenzione arbitrale;
  2. il subentro del curatore nel contratto pendente determinerà il subentro anche nella convenzione arbitrale (Trib. Torino Sez. I, 10/02/2016; Trib. Padova Sez. I, 10/02/2016)[84], e ciò in quanto, in linea di principio, non vi è incompatibilità tra fallimento e cognizione arbitrale.

Curatore fallimentare che comunque, in caso di lodo deliberato prima della dichiarazione di fallimento (decisione opponibile alla procedura al pari di una sentenza), è legittimato all’opposizione di terzo ordinaria (ex artt. 404 e 831, c.p.c.).

Dichiarazione di fallimento che determina l’applicabilità dell’art. 816 sexies, co. 1, c.p.c. (e quindi anche della possibilità per gli arbitri di sospendere il procedimento arbitrale).

  1. La circolazione della clausola compromissoria.

Il tema della circolazione della clausola compromissoria è stato espressamente affrontato dalla giurisprudenza di legittimità la quale, ricorrendo al concetto di successione a titolo particolare, ha affermato che, in caso di cessione del contratto, il cessionario subentra anche nel rapporto nascente dal patto compromissorio[85] (le stesse conclusioni si possono formulare anche per il cessionario dell’azienda rispetto ai contratti in cui questo subentra ex art. 2558, c.c.)[86].

Tuttavia l’autonomia della clausola arbitrale ha indotto le sezioni unite della Corte di Cassazione a negare, rispetto alla cessione del credito, che la successione nella posizione sostanziale implichi automaticamente successione nel collegato rapporto arbitrale, almeno con riguardo al cessionario (Cass. civ. Sez. Unite, 23/03/2015, n. 5746 e Cass. civ. Sez. Unite, 17/12/1998, n. 12616): i giudici hanno escluso che il cessionario del credito possa avvalersi della clausola compromissoria nei rapporti con il debitore ceduto mentre hanno affermato che quest’ultimo, non potendo essere modificata la sua posizione senza il relativo consenso, se ne potrà sempre avvalere nei confronti del cessionario (Cass. civ. Sez. VI, 28/12/2011, n. 29261; Cass. civ. Sez. II, 21/11/2006, n. 24681; Trib. Genova Sez. III, 25/01/2006; Cass. civ. Sez. I, 22/12/2005, n. 28497; Cass. civ. Sez. I, 19/09/2003, n. 13893[87]).

La soluzione non soddisfa.

In buona sostanza l’articolata impostazione dei giudici, per i quali il ceduto può opporre il patto d’arbitrato perché la sua posizione non può essere variata negativamente senza il suo consenso mentre il cessionario non può opporre detto patto in quanto non ha sottoscritto la relativa convenzione, non è giustificata in quanto la successione, posta dalle pronunce a fondamento del riferito ragionamento, è un effetto di legge, non è volontario.

Pertanto se l’effetto successorio (derivante dalla cessione del credito) espone il cessionario all’eccezione di arbitrato del ceduto, lo stesso effetto successorio (che opera identicamente sia sul piano sostanziale sia su quello processuale) impone di concludere nel senso che anche il cessionario è legittimato a sollevare la medesima eccezione[88].

D’altronde, anche in caso di accollo (successione particolare nel debito), la conclusione non muta (art. 1273, c.c.): il terzo assuntore, subentrando nella stessa situazione soggettiva passiva del debitore originario, potrà opporre al creditore (che era parte del negozio compromissorio) l’eccezione di arbitrato. In caso contrario il debitore originario (nella normale assunzione cumulativa: ancora solidalmente impegnato con l’assuntore verso il creditore) si vedrebbe spogliato della pattuita facoltà di adire l’arbitro privato per la soluzione delle controversie.

Altra è poi la successione mortis causa nella clausola compromissoria da parte dell’erede del defunto relativamente ad un contratto da quest’ultimo stipulato (Cass. civ. Sez. I, 27/07/1990, n. 7597; Trib. Como, 02/03/1987 e Cass. 17/09/1970, n. 1529; in particolare si veda Cass. civ., 22/06/1982, n. 3784 per la quale l’erede subentra nella convenzione arbitrale stipulata dal de cuius se questa inerisce a rapporti che non sono intuitus personae per non rilevare le qualità dell’altro contraente).

In tema di garanzia personale la clausola compromissoria contenuta nel contratto principale, è pacifico, non si estende al rapporto tra debitore e fideiussore (fatta salva l’ipotesi in cui il fideiussore abbia soddisfatto il creditore surrogandosi nelle sue ragioni verso il debitore: in tal caso il debitore può opporre al solvens la clausola arbitrale contenuta nel contratto fonte dell’obbligazione garantita).

Il fideiussore è invece legittimato ad opporre al creditore l’esistenza del patto a mente dell’art. 1945, c.c. (Trib. Milano Sez. VI, 12/01/2005; Trib. Roma, 07/11/1997; contra, per l’inefficacia della convenzione verso il fideiussore, App. Napoli, 25/06/1997).

Particolare attenzione merita la questione della sorte della clausola arbitrale in riferimento alla “stipulazione in favore di terzo” ex art. 1411, c.c., che si pone al di fuori dai fenomeni successori o circolatori della clausola stessa (il terzo non subentra allo stipulante né diviene parte contraente).

Per la giurisprudenza: “La clausola compromissoria contenuta in un contratto a favore di terzo è a questi opponibile ogni qualvolta egli abbia manifestato la volontà di profittare della stipulazione, giacché tale volontà non può non riguardare tutte le clausole contrattuali nel loro insieme” (App. Bari Sez. II, 03/05/2016; Trib. Arezzo, 23/06/2014; Trib. Cassino, 25/09/2007; App. Firenze, 04/07/2003; Trib. Milano Sez. VIII, 03/10/2002; Cass. civ. Sez. I, 10/10/2000, n. 13474; Cass. civ. Sez. I, 10/10/2000, n. 13474; Cass. civ. Sez. III, 18/03/1997, n. 2384; Trib. Milano, 02/10/1995)[89].

Generica dichiarazione del terzo di “voler profittare” che, in realtà, serve solo a consumare il potere di revoca per lo stipulante e quello di rifiuto per il terzo[90], anche se la giurisprudenza comunque la richiede ex professo per l’estensione della clausola d’arbitrato.

Evidentemente la convenzione arbitrale non è ritenuta dai Giudici compatibile con il “beneficio netto” che, in ossequio al principio di intangibilità della sfera giuridica altrui, governa la stipulazione disciplinata dagli artt. 1411, ss., c.c. ai fini di un acquisto immediato del diritto per effetto della stipulazione stessa.

Per questa ragione il riferito orientamento giudiziale pare rievocare il contratto a favore del terzo “con adesione” (che rinviene un addentellato nell’art. 1689, co. 1, c.c.)[91]: nel caso in esame, l’adesione del terzo fungerebbe, quindi, da elemento costitutivo dell’acquisto del diritto stesso[92].

Perciò è necessaria, ai fini dell’opponibilità della convenzione d’arbitrato, un’accettazione specifica da parte del terzo (richiamo espresso necessario anche per garantire il rispetto del requisito di forma ad substantiam della convenzione arbitrale[93]), non consentendo alcuna legittima estensione una generica dichiarazione di voler profittare della stipulazione.

Ed ancora, anche se pure nel seguente caso si esula da qualsiasi fenomeno successorio, la clausola compromissoria viene ritenuta opponibile all’electus nell’àmbito di un contratto per persona da nominare (art. 1401, ss. c.c.) in quanto quest’ultimo subentra ex tunc nella medesima posizione originariamente occupata dallo stipulans (ex art. 1404, c.c.)[94]: Trib. Gallarate, 04/02/2005 e Cass. civ. Sez. I, 25/08/1998, n. 8410.

La giurisprudenza ha escluso che la clausola compromissoria si estenda ai contratti collegati a quello che la contiene (Cass. civ. Sez. I, 07/02/2006, n. 2598 e Cass. civ. Sez. I, 11-04-2001, n. 5371).

Infine la trasmissione del vincolo compromissorio è ritenuta pacificamente automatica in sede di fusione[95] o trasformazione della società (artt. 2504, co. 1 e 2498, c.c.).

  1. L’arbitrato irrituale.

Oltre alla forma di arbitrato disciplinato dalle norme del codice di procedura civile, il cd. arbitrato rituale (artt. 806-832, c.p.c.), il legislatore (all’art. 808 ter, c.p.c.) ha previsto un’altra specie di arbitrato cd. irrituale (o libero o contrattuale – nel senso di “disciplinato delle norme del codice civile” -)[96].

Tuttavia, nonostante il recente riconoscimento legislativo del lodo irrituale come figura di carattere generale[97], l’efficacia immediata del lodo rituale ha comunque contribuito nella prassi al declino (perché parlare di ‘tramonto’ sarebbe forse allo stato eccessivo) dell’arbitrato irrituale[98] (che non va confuso, soprattutto la forma irrituale, con l’arbitraggio o arbitramento di cui all’art. 1349[99], c.c. che opera sul piano della determinabilità dell’oggetto del contratto[100] e, per le fattispecie contrattuali in corso di formazione, in tema di integrazione del voluto negoziale[101]).

Ebbene anche l’arbitrato irrituale[102] fonda le sue radici nell’autonomia privata[103] (e viene ricostruito, a seconda, come mandato a transigere[104] o come negozio di accertamento[105] ovvero come mandato indivisibile senza rappresentanza[106], collettivo[107] o ad attuazione congiunta[108] o anche in favore di terzi, ad una “composizione amichevole[109]” della controversia ovvero ancora come fattispecie a formazione progressiva[110]), trovando il suo primo riconoscimento giudiziale in una pronuncia, risalente ai primi del ‘900 (27.12.1904)[111], della Corte di Cassazione di Torino[112], a fronte di una previsione normativa che risale all’art. 619, cod. nav. (in caso di liti relative all’avaria del natante).

Le forme di arbitrato, rituale e irrituale[113], coincidono per funzione (decisoria[114]) e limiti (indisponibilità dei diritti).

Pertanto la procedura dell’arbitrato libero è strutturalmente analoga a quella dell’arbitrato rituale (vi saranno gli atti a difesa delle parti, un’istruttoria e una fase di trattazione), potendo divergere solo le modalità tecniche di attuazione del contraddittorio.

In linea di principio, la vera differenza tra i due istituti risiede nella portata del lodo (cfr. art. 808 ter, c.p.c.): solo con il lodo rituale si ottiene un titolo esecutivo per effetto del suo deposito nella cancelleria del tribunale in cui è stato emesso seguìto da un pedissequo decreto del medesimo tribunale (exequatur: art. 825, c.c.). Invece il titolo esecutivo per il lodo irrituale (che “non condanna ma dispone in forma negoziale[115]” avendo l’efficacia del contratto) si ottiene all’esito di una iniziativa in sede giurisdizionale (decreto ingiuntivo o sentenza): è giuridicamente impossibile, in altri termini, che il lodo irrituale divenga titolo esecutivo (risultando espressamente escluso il ricorso all’art. 825, c.p.c.). Inoltre il lodo irrituale non è soggetto all’onere di impugnazione previsto dagli artt. 827, ss., c.p.c.

Nessuna differenza vi è (tra lodo depositato e non o tra lodo rituale e irrituale) agli effetti del vincolo tra le parti e dell’accertamento.

Altra differenza di rilievo riguarda il regime dell’atto:

  1. la convenzione irrituale dev’essere redatta per iscritto a pena di nullità solo se riguarda rapporti giuridici per i quali la forma scritta è richiesta ad substantiam actus ai sensi dell’art. 1350 c.c., mentre se riguarda altri rapporti necessita solo di forma scritta ad probationem tantum[116] (così è per costante giurisprudenza: Trib. Milano, 26/02/2015; Trib. Roma Sez. VIII, 17/03/2012 e Cass. civ. Sez. I, 07/07/1999, n. 7048; Cass. civ. Sez. II, 22/02/1999, n. 1476)[117];
  2. le contestazioni del lodo rituale (fatti salvi i casi di inesistenza del lodo stesso) devono avvenire necessariamente attraverso i mezzi di impugnazione previsti dall’art. 827, c.p.c. mentre quelle del lodo irrituale (impugnative negoziali per incapacità delle parti o degli arbitri, per vizi relativi alla formazione del volere negli arbitri – errore, dolo e violenza – e per eccesso di potere) si fanno valere in un ordinario processo di cognizione di primo grado.

L’arbitrato libero ha tradizionalmente posto due ordini di problemi[118]: quale criterio vale a distinguere una convenzione arbitrale rituale da quella irrituale[119] e quali regole dell’arbitrato rituale si applichino anche a quello libero.

La giurisprudenza risolve, condivisibilmente, il primo problema nell’àmbito della quaestio voluntatis[120], ed è pertanto all’interpretazione del patto che si deve guardare, secondo i comuni canoni ermeneutici (artt. 1362, ss., c.c.), per stabilire quale specie di arbitrato le parti abbiano inteso adottare (è quindi importante che dal patto risulti con inequivocità il riferimento delle parti alla ‘determinazione contrattuale’ in deroga all’art. 824-bis, c.p.c.). In caso di dubbio persistente, la giurisprudenza individuava la regola di chiusura con la preferenza dell’arbitrato irrituale sul presupposto della natura eccezionale di quello rituale in quanto in deroga alla ordinaria competenza del giudice dello Stato.

Il legislatore invece, con l’art. 808 ter, c.p.c. (nel quale si è previsto che l’opzione per l’arbitrato libero deve essere “espressa”), ha previsto che, nei casi (di generica volontà di compromettere in arbitri o in quelli) dubbi, l’arbitrato deve intendersi come rituale.

Il secondo problema va risolto nel senso che tutte le norme previste dal codice in tema di arbitrato rituale si applicano, salva diversa volontà delle parti, a quello irrituale (in quanto compatibili: con esclusione, quindi, di quelle che segnano la differenza tra i due istituti, ossia relative all’exequatur e alle impugnazioni)[121].

I motivi di annullabilità del lodo sono rappresentati, anche in questo caso, per lo più da “vizi del procedimento” (art. 808 ter, co. 2, c.p.c.). Vengono espressamente previste cinque cause di annullamento e oggi è ancora dubbio se queste ne esauriscano la gamma in quanto elenco tassativo o se invece concorrano con le impugnative negoziali[122] (anche per questa ragione lo strumento irrituale risulta, ai più, non gradito).

Il termine eventualmente previsto dalle parti per la pronuncia del lodo è, “per natura e struttura, essenziale” (Cass. civ. Sez. I, 11/06/2014, n. 13212; Cass. civ. Sez. lavoro, 22/11/2011, n. 24562; Cass. civ., 08/09/1983, n. 5523) e quindi “alla sua osservanza sono subordinate le regolarità della decisione arbitrale e la riferibilità della stessa ai compromittenti”, fatta salva una diversa manifestazione di volontà espressa dai medesimi (Trib. Milano, 14/04/2003; Cass. civ. Sez. I, 06/12/1994, n. 10462, Cass. civ., 07/09/1984, n. 4785 e cfr. App. Roma, 05/10/1992 per cui “È inefficace il lodo irrituale emesso dopo la scadenza del termine fissato dalle parti all’arbitro” (così è anche per Cass. civ., 12/09/1984, n. 4794); per la rilevanza del termine negli arbitrari irrituali v. anche Cass. civ. Sez. I, 16/11/1988, n. 6203 la quale prevede, in caso di mancata fissazione ad opera dei compromettenti[123], l’intervento suppletivo del giudice su istanza di parte a norma dell’art. 1183, c.c. nonché cfr. Cass. civ., 30/01/1985, n. 574)[124].

Or dunque tra arbitrato rituale e libero può essere ritenuto preferibile quest’ultimo, in caso di invalidità del lodo, in quanto, per la parte soccombente, non c’è un termine di decadenza per l’impugnativa e non può essere forzata all’adempimento prima che la ricorrenza del vizio sia accertata giudizialmente.

Invece nella prospettiva della validità del lodo, può risultare più appetibile l’arbitrato rituale.

Le parti, quindi, possono aprioristicamente determinare la loro scelta considerando se preferiscono una rapida soddisfazione del diritto nonostante il lodo possa poi essere dichiarato invalido o se preferiscono attendere la realizzazione del diritto in esito all’esame delle censure sulla validità del lodo.

  1. L’arbitrato nel mortis causa.

Dubbi in dottrina si sono posti sulla ricorrenza del potere del testatore, nell’esercizio della sua autonomia, di compromettere in arbitrato (rituale o irrituale) le eventuali controversie nascenti (tra eredi e legatari) dal testamento o da un contratto oggetto di legato, attesa la rilevanza della deroga alla giurisdizione ordinaria per effetto di un atto a struttura unilaterale[125] (quale vicenda normativamente non prevista[126])[127] e considerato che ‘la rinuncia alla garanzia della giustizia ordinaria non poterebbe essere fatta valere validamente da soggetti diversi da quello interessato a giovarsene[128]’.

Il tema, pertanto, è quello dell’ammissibilità di una “disposizione testamentaria di arbitrato” (con cui il testatore impone ai propri successori di compromettere in arbitri le controversie che possono sorgere dalla successione ereditaria), fenomeno che ha dovuto innanzitutto scontrarsi con lo storico pregiudizio per cui la giustizia privata avrebbe una dignità inferiore rispetto a quella statale.

La dottrina più recente[129] riconosce legittimità alla previsione di un legato di arbitrato[130], che, si afferma, potrebbe, del resto, anche assumere la veste di una condizione (del lascito testamentario[131])[132], senza per ciò essere illecita[133].

L’inquadramento è, per i più, nel senso del legato obbligatorio di contratto[134], sebbene si noti[135], che essendo l’interesse a soddisfazione del quale la clausola è disposta quello del testatore, potrebbe meglio qualificarsi la disposizione (che obbliga a compromettere) nell’area del modus (non vi sarebbe l’attribuzione di un diritto ai legatari funzionale alla protezione di un loro interesse). E, probabilmente, quest’ultima sistemazione si lascia preferire anche per un’altra ragione di ordine pratico: mentre il legato è sempre rinunciabile (dagli onorati che adiscano la giurisdizione ordinaria), l’onere consente al testatore di prevedere la risoluzione del lascito per il caso di inadempimento dell’obbligazione testamentaria generata dal modus (ex art. 648, co. 2, c.c.).

Quindi, le possibilità sono almeno tre[136]:

  1. condizione del lascito testamentario;
  2. legato obbligatorio di contratto[137] (prevedendosi la conclusione di un compromesso – da stipulare per la soluzione delle controversie ereditarie una volta insorte – ovvero di una clausola compromissoria – da stipulare già al momento dell’apertura della successione per le possibili future liti successorie -);
  3. onere (che, secondo l’insegnamento classico, si appone all’istituzione di erede o al legato)[138];
  4. infine si potrebbe anche configurare un legato ‘traslativo’, che fa nascere il contratto già con quella precisa clausola arbitrale: sarebbe legato di clausola contrattuale (che non devolve tout court la soluzione delle controversie ad arbitri ivi nominati, ma che ne stabilisce numero e modalità di nomina).

In ogni caso, atteso il carattere fiduciario dell’incarico[139], si tende a negare che il testatore possa individuare anche la persona dell’arbitro, la cui designazione dovrebbe sempre essere rimessa al beneficiario della disposizione (si nega l’automatica devoluzione testamentaria della lite ad arbitri): infatti l’intuitus personae che connota la nomina degli arbitri[140] è inscindibilmente connesso con le persone delle parti del rapporto contrattuale cui la clausola di arbitrato accederà[141] (l’incarico arbitrale è sempre un mandato – fiduciario -).

È comunque fatto salvo l’art. 549, c.c. (il testatore non può imporre ai legittimari, quanto ai diritti di riserva, la soluzione arbitrale delle controversie successorie: detta categoria di successibili, infatti, occupa una posizione intangibile – spettando ai relativi componenti un diritto a ricevere una quota di eredità in piena proprietà – che deve pertanto essere libera da “pesi e condizioni”)[142].

Credo inoltre opportuno suggerire al cliente, che presentatosi in studio per redigere il proprio testamento esprima anche la precisa volontà di disporre un arbitrato causa mortis, di prevedere espressamente la possibilità che il lodo sia impugnabile per errore di diritto (art. 829, co. 3, c.p.c.) al fine di mettere al riparo la disposizione da facili contestazioni che possano riguardare la violazione del principio del giusto processo (art. 111, Cost.) oltre che del diritto di difesa (art. 24, Cost.).

Si è quindi in presenza di un legato di contratto che non costituisce subito il rapporto di arbitrato e che riguarda tutte le controversie che derivano dall’interpretazione, esecuzione, validità ed efficacia del testamento: a ciascun erede si lega il diritto di pretendere reciprocamente che le eventuali controversie, scaturenti dal testamento, siano deferite ad arbitri.

È anche ritenuto ammissibile, in dottrina, che il legato di arbitrato riguardi (non) le liti che derivano (dal testamento, ma) da un contratto che il testatore ha legato (in tal caso si ha un doppio legato: di contratto e di clausola arbitrale).

Per rafforzare l’adempimento della disposizione arbitrale si può prevedere, oltre ad un meccanismo condizionale o risolutorio, una penale (individuando il soggetto a cui vantaggio debba andare la penale stessa), potendosi anche designare un esecutore testamentario legittimato ad agire per il rispetto della disposizione testamentaria[143] (restando da verificare, in ipotesi di violazione dell’obbligo di contrarre, l’applicabilità al caso in esame l’esecuzione in forma specifica prevista dall’art. 2932, c.c.[144]).

Arbitrato di fonte testamentaria che si lascia apprezzare anche in quanto l’arbitro potrà tener conto con maggior facilità delle valutazioni di ordine etico e morale, che possono sfuggire al magistrato, tratte dalle carte domestiche spesso contenenti desideri, consigli, notizie familiari[145], etc.

Avv. Luca Crotti

 

[1] Il presente contributo riprende gli atti del convegno organizzato dalla Commissione Giustizia Civile dell’Ordine degli Avvocati di Milano, dal titolo “L’arbitrato e le procedure di a.d.r. in materia bancaria e finanziaria”, tenutosi presso l’aula magna del Palazzo di Giustizia in data 17 novembre 2017.

[2] Ordinamento giuridico nel quale l’arbitrato era considerato come un “modo di liquidazione di una controversia in atto”, reso possibile attraverso il ricorso “all’intervento di parenti o di amici”, in funzione, più che di rendere giustizia, di “composizione amichevole della vicenda”.

[3] Cfr. L. Ferri, La funzione dell’arbitro nella società moderna, in Riv. dir. comm., 1974, 64.

[4] Forse per la minor vincolatività che si riteneva avesse il lodo, rispetto alla pronuncia dei giudici statali, prima del suo pieno riconoscimento legislativo.

[5] Per l’illustre Maestro l’arbitrato rituale avrebbe “il contenuto logico di una sentenza alla cui efficacia occorre il concorso dell’autorità giurisdizionale”: il lodo implica una attività di giudizio (accertativa) e non di volontà (dispositiva). Solo eccezionalmente i privati potevano svolgere attività di accertamento, attraverso atti giuridici in senso stretto (così erano ritenuti il riconoscimento di figlio naturale e la confessione stragiudiziale).

Sul tema si rinvia al saggio di F. Santoro Passarelli, Negozio e giudizio, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1956, pag. 1157, ss.

[6] Oltre a G.B. Ferri (per il quale ogni atto di disposizione presuppone una propedeutica attività di accertamento, pur se minima quale quella che conduce alla maturazione del convincimento sulla stessa convenienza dell’affare: tra accertamento e disposizione non vi è incompatibilità ma complementarietà in quanto “per disporre bisogna aver conosciuto”, trattandosi di due distinte fasi, anche se inconsapevolmente, sempre presenti), così anche M. Giorgianni, Accertamento (negozio di), ora in Scritti minori, Napoli, 1988,336, ss. e, per i processualcivilisti, S. Satta, Comm. al cod. proc. civ., I, Milano, 1959, 37 (per l’a. con l’arbitrato le parti “vogliono il giudizio di un terzo che non è il giudice”, essendo preconcetta l’idea che “il giudizio sia esclusiva funzione del giudice”) nonché E. Fazzalari, Arbitrato (teoria generale e diritto processuale civile), in Digesto delle discipline privatistiche – Sez. civile, I, Torino, 1987, 400.

E che l’accertamento sia espressione dell’autonomia negoziale è altresì dimostrato dal fatto che “accertare […] significa voler trasformare una situazione in un’altra […] definitiva” in quanto tale attività assolve alla funzione di “dare certezza ad una situazione incerta” (Ferri, op. cit., 10).

Invero i civilisti hanno soffermato la loro attenzione sulla transazione, trascurando gli arbitrati che sono stati portati dagli studiosi del diritto processuale a ridosso del tema della giurisdizione.

Sull’argomento toccato in narrativa si veda F. Sangermano, Autonomia negoziale e giustizia arbitrale, in Dir. e giur., III, Napoli, 2005, pag. 335, ss.

[7] Ha evidenziato l’efficacia preclusiva del negozio di accertamento: A. Falzea, Accertamento (teoria generale), E.D., I, Milano, 1958, pagg. 216 e 217. Ma così, nella sostanza, già E. Betti, Teoria generale del negozio giuridico, in Trattato dir. civ. Vassalli, Torino, 1952, 263.

[8] Cfr. Cass. civ. Sez. I, 27/02/2004, n. 3975.

[9] Tuttavia non si nascondono, a tutt’oggi, notevoli perplessità sul potere di accertamento dei privati, quantomeno in tema di arbitrato irrituale (conforme è Cass. civ., 02/07/1981, n. 4279), quando la questione attiene alla nullità del contratto, non dipendente da evidenze formali, con cui sono stati negoziati diritti immobiliari: è manifesto il rischio di creare gravi incertezze nel sistema della circolazione della ricchezza.

Si segnala che, in materia di “mediazione” ex d.lgs. n. 28/2010, un analogo problema, in tema di usucapione, è stato espressamente risulto dal legislatore nel senso della ricorrenza del potere di accertamento dei privati: cfr. art. 2643, co. 1, n. 12 bis), c.c. In ordine alla estrema delicatezza dell’affidamento ai privati dell’attività di accertamento in materia di usucapione si segnala la recente Cass. sez. II civ., 30/08/2017, n. 20539 per la quale: “In tema di usucapione, l’esigenza di un attento bilanciamento dei valori in conflitto, tutelati dall’art. 1 del Protocollo Addizionale n. 1 alla CEDU, come interpretato dalla Corte Europea dei diritti dell’uomo, impone al giudice nazionale l’impegno di un particolare rigore nell’apprezzamento – anche sul piano probatorio – della sussistenza dei presupposti per l’acquisto a titolo originario della proprietà, prevalente sul precedente titolo dominicale”.

Taluna giurisprudenza ha affermato, in àmbito di arbitrato rituale, che “Il ricorso all’arbitrato non è escluso, in linea di principio, per le questioni attinenti alla nullità dei contratti, vertendosi in materia di diritti disponibili.”: Cass. civ. Sez. III, 19/12/2000, n. 15941. Cfr. l’art. 2653, ult. co., c.c.

[10] L’arbitrato (previsto anche dal codice di diritto canonico della Chiesa Romana: canone 1713) è la prima forma di civile risoluzione dei conflitti tra consociati, basata su un concetto etico di giustizia (che non è quindi più quella imposta dal più forte, come avveniva nelle primitive forme di autotutela privata), ed è fenomeno temporalmente anteriore alle forme pubbliche (statali) di amministrazione della giustizia.

Se ne rinviene testimonianza (‘epitrépontes’) anche nella narrativa ellenica, nel mito del “giudizio di Paride” principe di Troia (terzo imparziale, designato per la sua particolare competenza da Zeus in quanto ritenuto ‘il più bello dei mortali’, per decidere chi fosse ‘la più bella’ dea dell’Olimpo tra Era, Atena e Afrodite e a quale di esse, di conseguenza, spettasse il pomo d’oro regalato da Eris dea della discordia in occasione del banchetto per il matrimonio di Peleo e Teti, futuri genitori di Achille, al quale la stessa non era stata invitata. Si aggiudicò il giudizio Afrodite che promise di ricompensare Paride con Elena, la più bella delle donne, moglie di Menelao re di Sparta – che fu poi rapita, con le conseguenze che tutti voi conoscete -).

[11] Si era in presenza di forme di coercizione mediata in quanto come la convenzione arbitrale, per non essere di per sé fonte di obbligazioni, non godeva di azione diretta ai fini di una sua esecuzione in forma specifica, così la decisione dell’arbitro non era esecutiva (oltre ad essere inappellabile) e l’arbitro (che svolgeva la propria attività gratuitamente) non poteva essere obbligato a pronunciare la decisione se non per evitare la comminatoria di una sanzione.

[12] Cfr. F.P. Luiso, Le differenti forme di a.d.r. e l’arbitrato (artt. 9, 13, 14 e 15), in Lodd.it, II, 2015, pagg. 17, ss. (pubblicazione conseguente al convegno svoltosi, in tema di ‘negoziazione assistita’, in data 26 marzo 2015 presso l’Aula Magna della Corte d’appello del Palazzo di Giustizia di Milano).

[13] Ed è per questo che, strutturalmente, la procedura arbitrale (ossia gli atti del processo) non è esercizio, e il lodo non è frutto, di attività giurisdizionale (riservata, come tale, al giudice dalla Costituzione: art. 102): la giurisdizione consiste nella “attuazione della legge mediante la sostituzione dell’attività di organi pubblici all’attività altrui” (G. Chiovenda, Principi di diritto processuale civile, Napoli, 1928, pag. 301).

Lo stesso art. 25, Cost. non è violato dall’istituto arbitrale, in quanto la norma ultima citata, nell’assicurare a ciascuna parte il giudice naturale precostituito per legge, ha senso unicamente per la tutela autoritativa (ossia quando non c’è il consenso delle parti).

[14] Oramai si può ritenere che si sia raggiunta una sostanziale fungibilità tra il processo arbitrale e quello statale (analoghe garanzie del “giusto processo” ex art. 111, co. 1, Cost.), pur con i noti vantaggi riconosciuti alla giustizia arbitrale (P. Perlingieri, Lectio magistralis. La sfera di operatività della giustizia arbitrale, in La giustizia arbitrale, Napoli, 2015, pag. 3) tra i quali si riportano i seguenti: a) celerità; b) professionalità adeguata al caso concreto; c) responsabilità professionale; d) snellezza e flessibilità della procedura; e) autoregolamentazione delle regole processuali; f) superamento di qualsiasi filtro preclusivo; g) determinazione più elastica del chiesto; ecc. Resta, almeno di regola, lo svantaggio del costo, ma questo aspetto può essere superato sin dall’inizio della procedura con apposito accordo.

[15] Cfr. C. Punzi, Arbitrato, Enc. Giur. Trec., 1988, pag. 7.

[16] Anche quando irrituale: Cass. civ. Sez. I, 17/01/2007, n. 1042.

[17] Come correttamente evidenzia anche Trib. Bari Sez. IV, 11/12/2007.

[18] Senza rinunce, che evocano un concetto di privazione.

[19] Cfr. M. Giorgetti, I principi generali e la fase antecedente al procedimento, in Manuale sintetico dell’arbitrato, Pisa, 2017, pag. 17. L’autrice afferma che “il vero […] vantaggio dell’arbitrato sta nella celerità del procedimento, nella riservatezza che lo connota e nella migliore organizzazione pratica da parte degli arbitri, che non soltanto hanno normalmente un tempo maggiore per dedicarsi allo studio della controversia, ma possono avvalersi di spazi e di personale autonomo per la gestione delle incombenze pratiche, senza appoggiarsi alle strutture della giustizia ordinaria” (id., op. cit., 21).

[20] L’arbitrato è uno strumento formidabile in quanto consente al privato di avvalersi di un sistema di giustizia alternativo a quello statuale (privato che si affida, in una posizione di assoluta parità con la controparte, al “suo” giudice, tale in quanto appartiene al suo “gruppo” o al suo “ordinamento”), in un periodo storico caratterizzato, duole il rilievo, dal desolante panorama offerto dalla magistratura italiana che, con crescente evidenza, sta mostrando la corda in conseguenza di un reclutamento di personale sempre meno all’altezza del ruolo e regolarmente irresponsabile per i danni procurati dai relativi pronunciamenti.

Oggi pertanto, anche alla luce del “proliferare di leggi disordinate e confuse”, è divenuta manifesta la necessità, a fronte della attuale e ciclica crisi del diritto vivente e della legge, di superare la concezione statalista della giurisdizione e del diritto: autorevole dottrina da oltre un secolo ha rimarcato i vantaggi che deriverebbero dallo “sgombrare le aule della giustizia” e dallo “affidare le ragioni […] al giudizio di esperti” (P. Bonfante, Dei compromessi e lodi stabiliti fra industriali come vincolativi dei loro rapporti ma non esecutivi nel senso e nelle forme dei giudizi, in Riv. dir. comm., II, 1905, pag. 51), surrogandosi in tal modo i privati al giudice.

Purtroppo meramente di principio sono le pagine da tributare a nota dottrina nelle quali si affermava che “la giustizia è creazione che sgorga da una coscienza viva, sensibile, vigilante, umana” (P. Calamandrei, Processo e democrazia, in Opere giuridiche, I, Napoli, 1965, pag. 648).

D’altronde non è di questo periodo l’affermazione per cui “la giustizia dinanzi ai Tribunali […] risulta inadeguata e insufficiente” e per cui “l’arbitrato si presenta […] frequentemente […] come il mezzo per ottenere una vera giustizia fondata sulla vera obiettività e atto ad eliminare, almeno nella intenzione delle parti, tutti gli inconvenienti e i pericoli che il ricorso al giudice presenta”: Ferri, La funzione, op. cit., 66.

[21] La funzione decisoria è quella che prevede la posizione di un comando (vincolo) fondato, secondo la visione tradizionale, su una volontà non libera (disposizione) ma vincolata al giudizio (accertamento) in ordine ad una lite.

[22] Cfr. Salvaneschi, Dell’arbitrato, op. cit., pag. 129.

[23] E il compromesso (da intendersi in senso tecnico e quindi da non confondere con il contratto preliminare di cui all’art. 1351, c.c.) esaurisce i suoi effetti con la pronuncia del lodo di merito (arg. ex art. 808 quinquies, c.p.c.).

[24] Che “può essere contenuta anche in un patto integrativo del contratto, non occorrendo che la volontà negoziale sia manifestata in un unico documento”: Cass. civ. Sez. VI, 05/04/2011, n. 7839; Cass. civ. Sez. I, 30/09/2010, n. 20504; Cass. civ. Sez. I, 24/07/2007, n. 16332 e Cass. civ. Sez. III, 19/12/2000, n. 15941.

[25] Se è determinato il contratto al quale si riferisce la clausola compromissoria, quest’ultima può essere pattuita anche prima della stipulazione del contratto stesso e anche se non è ancora individuata la controparte contrattuale (come ad esempio avviene in caso di clausola compromissoria convenuta in esito ad una offerta al pubblico ex art. 1336, c.c.).

[26] Non è quindi ammissibile, e se conclusa sarebbe nulla, una convenzione arbitrale omnibus per liti future non contrattuali.

Ebbene la norma in esame può trovare applicazione, e il patto può essere concluso, verosimilmente (con maggior facilità per i diritti autodeterminati):

  1. tra due titolari di diritti reali, per es. tra proprietari di fondi confinanti o tra comproprietari anche se in condominio (è più difficile configurare la convenzione tra il titolare di un diritto reale e un qualsiasi terzo che potrebbe ledere la posizione assoluta);
  2. per i fatti illeciti è verosimile ipotizzare che la convenzione si possa chiudere per le controversie di diritto pubblico che riguardano diritti soggettivi;

più difficile immaginare che due estranei prevedano oggi un arbitrato su un rapporto aquiliano determinato che deriverà da un fatto generatore futuro, potendosi tuttavia immaginare i rapporti di concorrenza tra imprenditori quali possibili fonte di responsabilità ex art. 2598, c.c. ovvero i rapporti di carattere precontrattuale ex art. 1337, c.c. (Cass. civ. Sez. Unite, 19/12/2007, n. 26725) o ipotizzabili in materia di proprietà industriale (titolarità e uso di segni distintivi: marchi, brevetti, diritti d’autore) o anche in tema di negotiorum gestio (art. 2028, ss., c.c.);

  1. per liti (tra eredi e/o legatari) derivanti da determinati rapporti successori (in quanto, anch’essi, “non contrattuali”).

Parte della dottrina ritiene che la determinatezza possa essere raggiunta anche per relationem ed ammette anche (ex art. 1346, c.c.) la semplice determinabilità dei rapporti in esame (“potendo quindi la convenzione limitarsi a specificare i criteri da utilizzarsi a questo fine”): Salvaneschi, Dell’arbitrato, op. cit., pag. 140. Il rapporto (determinato o determinabile) potrà poi essere anche solo futuro (id., op. cit., pag. 140).

[27] La norma per la introduzione o la eliminazione della clausola compromissoria prevede maggioranze qualificate (laddove per le società di persone è prescritta l’unanimità), stabilendo che i soci dissenzienti o assenti possono recedere dalla società ex art. 2437, c.c.

[28] Anche se, sul punto, illustre dottrina è possibilista, de iure condendo (F.P. Luiso, Diritto processuale civile, V, Milano, 2015, 113).

È inoltre opportuno ricordare che non si ha ‘arbitrato obbligatorio’, e non si incorre nella violazione dell’art. 24 Cost., se, per esempio, una legge prevede che determinate liti vegano decise da arbitri e che, come l’attore può proporre la domanda in sede giurisdizionale, così il convenuto può esercitare la ‘declinatoria’ (rifiutando il processo arbitrale avvalendosi di quello giurisdizionale): in tal caso, infatti, si rientra pur sempre nell’area dell’arbitrato fondato sulla volontà delle parti, pur se non consacrata nella forma dell’accordo.

[29] Infatti “l’istituto dell’arbitrato obbligatorio si configura solo in presenza di una disposizione di legge che imponga il ricorso all’arbitrato quale strumento necessario ed indefettibile per la risoluzione di particolari controversie, e non anche quando siano le parti stesse a scegliere negozialmente un metodo di risoluzione delle liti diverso dalla giurisdizione ordinaria”: Cass. civ. Sez. I, 16/03/2000, n. 3044.

[30] Si consideri che la autonomia della convenzione arbitrale viene riferita solo all’arbitrato rituale e non anche a quello irrituale. Infatti, per Cass. civ., 02/07/1981, n. 4279, quella per arbitrato libero è “clausola, rivolta a porre in essere un negozio di secondo grado, che trae la sua ragione e funzione da quello nel cui contesto viene inserita, non può sopravvivere, a differenza di quella per arbitrato rituale, alle indicate cause di nullità, le quali implicano il venir meno della stessa fonte del potere degli arbitri”.

[31] Il problema dell’autonomia serve ad individuare il tipo negoziale e la disciplina applicabile (siccome contratto e clausola arbitrale corrispondono a tipi diversi, hanno anche disciplina diversa): A. Marini, Nota in tema di autonomia della clausola compromissoria, in Riv. arb., 1993, pag. 409, ss.

Autonomia significa che l’arbitrato non inerisce alla causa del negozio cui è collegato: una delle parti, se vuole che sia prevista la convenzione, la deve comperare! Vi è oggettiva autonomia tra patto e contratto: infatti “la causa” della clausola compromissoria è “del tutto indipendente dalla funzione […] del contratto che si vuol designare come principale” (L. Mortara, Commentario del codice e delle leggi di procedura civile, Milano, 1989, pag. 88). Come a dire che “la clausola compromissoria non regola una modalità del rapporto contrattuale nel quale è inserita, ma istituisce tra le parti un diverso rapporto, autonomo rispetto a quello che con il contratto stesso le parti hanno inteso disciplinare” (v. Giacobbe, op. cit., pag. 29). La peculiare funzione della convenzione, diversa da quella del contratto al quale risulta collegata, è quella di “deferire le controversie scaturenti dal contratto al giudizio di arbitri privati” (Bernardini, op. cit., 49). Così anche Salvaneschi, Dell’arbitrato, op. cit., pagg. 78 e 79.

[32] Si pensi alla sorte della clausola compromissoria contenuta in un contratto preliminare poi superato, senza ripetizione del patto collegato, da un successivo contratto definitivo: proprio l’autonomia funzionale che intercorre tra clausola compromissoria e fattispecie preliminare ha consentito alla giurisprudenza di affermare la ultrattività della convenzione arbitrale anche per il rapporto scaturito dal contratto definitivo (Cass. civ. Sez. I, 31/10/2011, n. 22608).

Naturalmente l’autonomia della clausola compromissoria non le consente di resistere alla inesistenza dell’accordo cui la stessa afferisce (Cass. civ. Sez. I, 06/08/2014, n. 17711).

[33] Perché l’autonomia non è mai indice di insensibilità assoluta e, sotto certi aspetti, il contratto principale risente dei fatti relativi al contratto ‘accessorio’: il vizio del contratto può coinvolgere la clausola compromissoria in ipotesi, per es., di incapacità di una delle parti o di clausola che riguarda diritti indisponibili (casi in cui le ragioni di invalidità del contratto sono comuni anche alla stessa clausola: Cass. civ. 8/02/2005, n. 2529): in questi casi si evidenzia un rapporto di dipendenza funzionale (la possibilità di postulare un’assoluta indipendenza è in contrasto con il collegamento che esiste tra contratto e patto arbitrale) e il principio di autonomia non può essere invocato per sostenere la validità della clausola compromissoria – e quindi non sussiste la competenza arbitrale per decidere della questione – (D. Giacobbe, L’arbitrato, Milano, 1999, pag. 30).

[34] Si rinvia, in proposito, a P. Bernardini, Il diritto dell’arbitrato, Roma-Bari, 1998, pag. 48.

[35] Si consideri infatti che “il potere di stipulare il contratto comprende quello di convenire la clausola” (art. 808, co. 2, ult. p., c.p.c.), ciò attestando la neutralità della convenzione rispetto al contratto di riferimento (Salvaneschi, op. cit., pag. 121).

[36] Non nel senso che si usa per i negozi di garanzia, e tradizionalmente in tema di fideiussione (artt. 1939, 1941 e 1945, c.c.), che serve unicamente a dar conto della solidarietà dell’obbligazione del garante (N. Gasperoni, Collegamento e connessione tra negozi, in Riv. dir. comm., 1955, pag. 374).

[37] Quello di “autonomia” è concetto che non riveste alcuna valenza rispetto al compromesso (G. Verde, Convenzione di arbitrato, Torino, 1997, pag. 59).

[38] Cfr. D. Giacobbe, L’arbitrato, Milano, 1999, 18.

[39] Infatti l’art. 816 bis, co. 1, c.p.c. prevede la fattispecie ma non detta alcun elemento contenutistico della convenzione atto regolare la struttura del procedimento arbitrale (che quindi, di per sé, è un processo a forma libera).

[40] Liti che vengono poi a loro volta individuate o in via diretta (con il compromesso) o per relationem (con la clausola compromissoria).

[41] V. Cass. civ. Sez. I, 26/07/2013, n. 18134; Cass. civ. Sez. I, 31/10/2011, n. 22608; Cass. civ. Sez. III, 14/04/2000, n. 4842.

Carnelutti, nel trattare la convenzione arbitrale, discorreva invece in termini di “accordo a contenuto processuale”.

[42] È infatti pienamente ammissibile una convenzione d’arbitrato “unilaterale” quale accordo con cui si riserva ad uno solo dei contraenti la facoltà di scelta tra autorità giudiziaria e arbitri (“doppia tutela alternativa”), essendo tuttavia essenziale cha la devoluzione della lite agli arbitri debba poter essere esercitata entro un termine finale che decorre a far tempo dall’insorgenza della controversia. L’ipotesi in esame può integrare, a seconda che l’attribuzione del diritto potestativo d’arbitrato sia stato concesso in via gratuita od onerosa, rispettivamente una proposta irrevocabile o un patto d’opzione (per l’ammissibilità di un negozio unilaterale inter vivos quale fonte genetica dell’arbitrato: P. Perlingieri, op. cit., 8).

Discussa inoltre è l’ammissibilità dell’arbitrato cd. “facoltativo”, ossia quello derivante da una convenzione arbitrale in cui i contraenti stabiliscono che le relative liti “potranno” essere decise da un organo arbitrale (prevedendosi, in caso, anche la competenza alternativa del giudice ordinario). Si conviene, in altri termini, la facoltà, per entrambi i contraenti, di ricorrere agli arbitri in alternativa alla giurisdizione ordinaria.

Se il significato della pattuizione in esame fosse quello, per le parti, di darsi reciprocamente atto del rispettivo generico potere (esistente anche in assenza della clausola) di pattuire in futuro una convenzione arbitrale, si sarebbe in presenza di una previsione che, mancando un impegno attuale dei contraenti di devolvere liti alla cognizione degli arbitri (Cass. civ. Sez. I, 18/06/1991, n. 6857), non potrebbe in alcun modo integrare una vera clausola arbitrale (invero, in ispecie, del tutto inesistente) risolvendosi, al più, in una dichiarazione di scienza (altrimenti riducendosi la proposizione nell’area del giuridicamente irrilevante).

Ciononostante, in proposito, per App. Bologna, 12/11/2015 “La clausola è priva di immediata cogenza e ha contenuto meramente programmatico volto a rendere lecito un futuro accordo tra le parti per deferire la risoluzione ad una controversia”.

Ammette, ancora, la mera facoltatività dell’arbitrato (riducendosi invero a descrivere le conseguenze del rifiuto opposto all’altrui proposta di convenzione arbitrale) Trib. Milano, 19/12/2015, per il quale “le parti hanno la facoltà di adire gli arbitri, ma se una dissente rimane obbligata la scelta della giurisdizione ordinaria”.

Escludono l’arbitrato ‘puramente facoltativo’: Cass. civ. 28/10/2015, n. 22039 e Cass. civ. Sez. I, 08/04/2004, n. 6947.

Invero con la pattuizione in esame, da leggersi anche alla luce dell’art. 1367, c.c. (Cass. civ. Sez. Unite, 03/07/1989, n. 3189 e Cass. civ., 07/07/1981, n. 4425), i contraenti si attribuiscono reciprocamente il diritto di deferire la lite ad arbitri, pur conservando ciascuna il concorrente potere di adire in alternativa l’autorità giudiziaria ordinaria: la competenza a decidere sulla lite si stabilisce con il criterio della “prevenzione”, in quanto è la parte prima istante che determinerà, con dichiarazione potestativa di volontà, la sede in cui risolvere la contesa.

D’altronde “Il fatto che l’arbitrato, ai fini della sua legittimità, debba essere previsto come facoltativo, cioè debba essere lasciato in facoltà delle parti il ricorrervi o meno, non significa che esso non debba essere vincolante tra le parti, ossia obbligatorio per esse, una volta che gli stessi contraenti abbiano liberamente deciso di adottarlo come regola specifica di un loro rapporto concreto”: Coll. Arbitrale, 01/06/1984.

[43] Nei primi tentativi ricostruttivi della figura, in dottrina (Chiovenda), si è anche parlato di un contratto che ha per oggetto una obbligazione di non facere processuale (rientrando perciò tale tesi nell’area della rinuncia alla giurisdizione dello Stato: cfr., ex permultis, Cass. civ. Sez. III, 14/07/2011, n. 15474 e Cass. civ. Sez. I, 01/02/2001, n. 1403 la quale ultima discorre del patto compromissorio in termini di “patto in deroga alla giurisdizione”); critica: il fatto che i contraenti non adiscano la giurisdizione ordinaria è solo una conseguenza dell’attuazione del patto (scopo del patto non è quello di evitare che le liti derivanti da un dato contratto siano decise in sede di cognizione ordinaria, in quanto questo alle parti non basta: esse vogliono di più, intendono vincolarsi ad una specifica modalità della decisione altrui).

Ha collocato la convenzione arbitrale sempre nell’area degli effetti obbligatori anche Giacobbe, op. cit., 17; critica: la legge, affermando che le parti vogliono “stabilire” che la lite sia decisa da arbitri (art. 808, co. 1, c.p.c.), intende evidentemente impedire che, in seguito al semplice inadempimento del patto ad opera di uno dei contraenti, possa ritornare in gioco la competenza del giudice ordinario.

Altro poi, rispetto all’accordo compromissorio, è il “contratto di arbitrato”, che intercorre tra le parti compromittenti e i nominati arbitri.

La fattispecie, messa in luce per la prima volta da illustre dottrina (F. Carnelutti, Istituz. del nuovo proc. civ. it., Roma, 1951, 70), è stata tradizionalmente inquadrata nell’area del mandato o del contratto d’opera intellettuale oppure del contratto misto.

Invero si è in presenza di un contratto plurilaterale (anche se per un’altra tesi il fenomeno si sostanzia in un fascio di contratti bilaterali), a titolo oneroso (tant’è che la rinunzia al compenso deve rivestire forma scritta: art. 814, co. 1, c.p.c.), formale, di durata e socialmente tipico che presuppone una convenzione d’arbitrato di cui rappresenta la prima fase di esecuzione (accessorietà). Il contratto di arbitrato, quindi, è fattispecie accessoria avvinta all’accordo compromissorio da un collegamento funzionale e necessario.

Da tale contratto nascono rispettivamente obblighi e diritti correlativi, tra tutti: per le parti di pagare il compenso e per gli arbitri di decidere tempestivamente la lite.

Una illustre dottrina processualistica (teoria unitaria) ha ricostruito la convenzione arbitrale come un unico contratto plurilaterale intercorrente tra parti e arbitri (quale negozio pertanto “composito” in cui confluivano anche gli elementi del contratto di arbitrato) suscettibile di concludersi, in caso, pure alla stregua di una fattispecie a formazione successiva (E. Redenti, Compromesso, in Noviss. dig. it., III, Torino, 1997, pag. 788, ss.). In quest’ottica risulterebbe certamente più agevole rintracciare, nel contratto in esame, i profili della corrispettività della fattispecie (ravvisandosi lo scambio nelle contrapposte prestazioni gravanti, rispettivamente, parti e arbitri).

[44] In altri termini le parti (si ripete: soprattutto per il lodo irrituale) stipulano un negozio con cui vengono predeterminate, con efficacia impegnativa e programmatica, le fasi del processo arbitrale individuando ex ante i comportamenti che devono essere tenuti per la soddisfazione degli interessi coinvolti nella contesa e per la corretta formazione di un futuro contratto (lodo).

Il negozio di configurazione, la convenzione d’arbitrato irrituale, ha l’esclusiva causa di assegnare preventivamente una particolare funzione procedimentale ad una serie di comportamenti successivi, anche di terzi, dalla cui combinazione si fa dipendere il perfezionamento di una composizione negoziale con cui si risolve una lite.

Del resto, in teoria generale del diritto civile, è lo stesso art. 1352, c.c. che, prevedendo il patto sulla forma, riconosce ai privati la facoltà di incidere sulle forme (per la rilevanza funzionale di queste), intese come modalità attraverso cui un futuro contratto dovrà essere concluso (forma quindi intesa non come alternativa tra orale e scritta ex art. 1350, c.c. ma, più in generale, come modalità espressiva della volontà).

I privati possono quindi incidere sulla struttura, cioè sulle modalità di conclusione di un contratto, stabilendo le regole della sua formazione e ciò tramite i negozi procedimentali (negozi di configurazione) che non hanno effetto né obbligatorio né reale, ma conformano il procedimento di formazione del contratto.

Ebbene tale fattispecie impegna le parti a rimanere vincolate a quanto stabilito dagli arbitri nel risolvere la lite.

La tutela garantita ai contraenti non è obbligatoria ma reale, come anche testimoniato dall’art. 808 ter, co. 2, n. 4), c.p.c.: il lodo (che è l’atto finale del procedimento) è vincolante perché c’è stata perfetta corrispondenza tra l’esatta sequenza di tali atti e quanto previsto configurativamente dalla convenzione arbitrale.

[45] La funzione decisoria assolta dalla fattispecie arbitrale non vale di per sé ad escluderne la valenza negoziale in quanto il fatto che tutti i modelli di arbitrato previsti in astratto (rituale e irrituale) debbano in concreto rispettare i principi costituzionali del giudizio (difesa, contraddittorio e terzietà) è espressione dei normali limiti esterni ai quali sono assoggettati l’autonomia contrattuale delle parti e, in ispecie, il potere di decisione degli arbitri: ordine pubblico, norme imperative e buon costume.

[46] Anche in virtù del principio di “rapidità e immediatezza” che deve caratterizzare il procedimento di formazione del contratto finale (lodo), in dottrina sono stati sollevati dubbi sulla liceità di pervenire al perfezionamento di una convenzione d’arbitrato per il medio di un cd. “contratto preparatorio”:

  1. un contratto preliminare di convenzione arbitrale, fattispecie che non pare meritevole di tutela a norma dell’art. 1322, c.c. (infatti i contraenti, obbligandosi a stipulare una futura convenzione arbitrale, non rafforzano il vincolo giuridico nella direzione del contratto finale, rendendone più rapida e certa la sua conclusione, ma lo attenuano: dal diritto potestativo, che deriverebbe dalla convenzione arbitrale, al diritto di credito derivante dal preliminare – visto che le parti possono creare procedimenti atipici di conclusione del contratto finale solo se viene rispettato il principio inderogabile di rafforzamento del vincolo negoziale: il preliminare di compromesso deve ritenersi nullo -);

per l’inammissibilità di tale fattispecie (pur se per differenti motivi): L. Biamonti, Arbitrato, II, E.D., Milano, 1958, pag. 912. Per la validità di tale fattispecie: v. Salvaneschi, Dell’arbitrato, op. cit., pag. 71;

  1. una opzione di convenzione arbitrale (già supra contemplata alla nota 41), fattispecie che pare non porre alcun problema di meritevolezza (si resta sempre nell’area del diritto potestativo, attribuendosi ad un solo contraente la facoltà di concludere una convenzione arbitrale).

[47] Cfr. E. Zucconi Galli Fonseca, Diritto dell’arbitrato, Bologna, 2016, 121 nonché S. Vanoni, La convenzione arbitrale e il contratto di arbitrato, in La prassi dell’arbitrato rituale, Torino, 2012, pag. 83.

La convenzione esprimerebbe la “volontà di intraprendere una determinata via per la soluzione del conflitto”: E. Zucconi Galli Fonseca, La convenzione arbitrale rituale rispetto ai terzi, Milano, 2004, pag. 22.

I contratti con comunione di scopo (o di collaborazione), che possono essere anche solo bilaterali, sono quelli che si caratterizzano causalmente per concorrere tutte prestazioni alla realizzazione dell’interesse comune (qualsiasi esso sia: l’elemento causale dev’essere svuotato da ogni riferimento contenutistico capace di incidere solo sulla disciplina applicabile). Nella causa lato sensu associativa lo scambio non sussiste: le prestazioni non si incrociano, ma mirano al perseguimento di uno scopo comune ai contraenti.

[48] Sul piano poi della onerosità o della gratuità del contratto con comunione di scopo, si tratta di valutare il peso economico che, per ciascuna parte, ha la singola partecipazione al contratto.

[49] Con la convenzione arbitrale le parti non dispongono immediatamente di diritti patrimoniali, non risolvendo alcun conflitto di interessi, ma “regolano il modo di definizione delle controversie” (Carnelutti, op. cit., pag. 129).

Lo stesso termine “convenzione”, utilizzato dal legislatore del 2006, evidenzia (non tanto “i profili processuali del patto” quanto) che l’accordo arbitrale non è funzionalmente diretto a regolare in via immediata i rapporti patrimoniali controversi che ne formano oggetto (non si condivide l’assunto per cui l’uso di detto sostantivo esprimerebbe la “volontà” legislativa “di conformarsi alle convenzioni internazionali, nell’ottica di una crescente armonizzazione dell’istituto”: Zucconi Galli Fonseca, Diritto, op. cit., pag. 9).

[50] G. Verde, Lineamenti di diritti dell’arbitrato, Torino, 2015, pag. 63.

[51] Persona fisica (privata o imprenditore individuale), persona giuridica o ente del primo libro del cod. civ.

[52] Sul piano della legittimazione del rappresentante (sebbene sia sempre consigliabile prevedere espressamente il potere di compromettere in arbitri le liti tra rappresentato e terzo) si rammenta che “il potere di stipulare il contratto comprende il potere di convenire la clausola compromissoria” (art. 808, co. 2, c.c.).

In caso di imprenditore fallito la legittimazione a compromettere spetta al curatore, previa autorizzazione del comitato dei creditori, informando altresì previamente il giudice delegato se la lite è di valore superiore ad euro 50.000,00 (art. 35, l. fall.).

[53] La cui carenza in uno dei contraenti, che vizia la convenzione arbitrale, non può essere rilevata d’ufficio (arg. ex artt. 817 e 829, co. 1, c.p.c.).

[54] Tradizionalmente si afferma la coincidenza tra diritti disponibili (solitamente quelli a contenuto patrimoniale) e compromettibili (mutuando gli studi svolti in tema di transazione: art. 1966, co. 2, c.c.) e si afferma, anche da parte delle Corti di legittimità (Cass. civ. Sez. VI – 1, 30/10/2012, n. 18671), una piena coincidenza tra indisponibilità del diritto e inderogabilità della norma che lo prevede (la presenza di una norma inderogabile implicherebbe in automatico la indisponibilità della materia trattata).

E tra i diritti indisponibili “per legge” (ex art. 1966, co. 2, c.c.), si distingue tra quelli a contenuto patrimoniale, arbitrabili (per es.: gli alimenti – ma, contra, App. Brescia Sez. I, 25/06/1952-); e quelli a contenuto non patrimoniale (i cd. diritti personali o personalissimi), non arbitrabili (al pari degli status e delle capacità che sfuggono, tecnicamente, alla disponibilità dei privati) in quanto costituiscono indici formali di individuazione giuridica della persona.

Per altra dottrina non c’è coincidenza tra area della compromettibilità e area della disponibilità dei diritti (P. Perlingieri, Lectio, op. cit., 13, ss.), e la prima è più ampia della seconda.

L’assunto parte dalla premessa per cui se la funzione decisoria dell’arbitrato rituale ne esclude il carattere negoziale, è inappropriato, per individuare i confini dell’istituto, il richiamo ai ‘diritti disponibili’.

Per tale teorica la valutazione di giustiziabilità del diritto è più complessa e coinvolge anche l’esame di profili di politica del diritto (nel caso di locazione immobiliare ad uso commerciale è possibile un compromesso ma non una clausola arbitrale; l’arbitrato speciale amministrativo può derivare da una clausola arbitrale ma non da un compromesso) e non è preclusa dalla inderogabilità delle norme da applicare (la norma può essere inderogabile e il diritto disponibile: l’inderogabilità impone l’applicazione della norma, ma non impone anche che questo avvenga in sede giurisdizionale).

Del resto, per l’opinione che si esamina, il confine tra disponibile e indisponibile è assai ambiguo già sul piano ermeneutico. Infatti l’indisponibilità non sempre è assoluta ma talvolta è anche relativa (si pensi al diritto di partecipazione all’impresa famigliare ex art. 230 bis, co. 4, c.c.: inalienabile erga omnes ma trasferibile ad alcuni soggetti; il diritto sui beni del fondo patrimoniale in presenza di minori: alienabile solo con l’autorizzazione del giudice ex art. 169, c.c.; il diritto al risarcimento del danno per responsabilità contrattuale da dolo o colpa grave: irrinunciabile solo finché non è divenuto attuale ex art. 1129, c.c.; i beni convenzionalmente dedotti ad oggetto di patrimoni destinati sono solo parzialmente disponibili ma non per questo non arbitrabili).

La tendenza dev’essere quella di ritenere arbitrabili tutte le situazioni giuridiche, soprattutto quelle patrimoniali (P. Perlingieri, Lectio, op. cit., pag. 18).

Pertanto, in conclusione, rapporti giustiziabili o arbitrabili sono quelli nei quali manca un interesse generale qualificato (segnalato dalla presenza del p.m.) o vi è una espressa riserva di esclusiva giurisdizione statale (artt. 69 e 70, c.p.c.). In nuce: la presenza del p.m. è l’unico reale limite all’arbitrabilità della lite.

[55] Dubbi, anche se infondati, si sono sollevati per le cd. obbligazioni naturali (art. 2034, c.c.).

Certamente arbitrabili sono le controversie condominiali e il relativo regolamento, ma solo se contrattuale, può prevedere, per es., di deferire a giudici privati le impugnative delle delibere assembleari viziate da nullità o annullabilità (Trib. Taranto Sez. II, 30/01/2014; Trib. Roma Sez. V, 24/02/2009; Cass. civ., 05/06/1984, n. 3406; contra Trib. Milano, 01/06/1987).

Come altrettanto certamente non arbitrabili, perché relative a diritti indisponibili, sono le vicende relative a “fatti costituenti reato o, comunque, penalmente rilevanti” pur potendo “per contro gli arbitri giudicare sugli effetti patrimoniali che da tali fatti derivano, attenendo essi a diritti di cui le parti possono liberamente disporre” (Giacobbe, op. cit., pag. 41).

Limiti alla compromettibilità della questione derivano anche dal tipo di pronuncia che gli arbitri possono emettere (e quindi dalla natura del giudizio): è escluso che siano deferibili questioni relative a procedimenti di esecuzione (in cui “il diritto sostanziale non è più controverso ma attuato”), come non compromettibili si ritengono i procedimenti di volontaria giurisdizione (in cui il giudice “non decide ma costituisce rapporti giuridici”) oltre ai procedimenti cautelari (in cui “non di diritti attualmente si controverte ma di cautela, impregiudicata ogni decisione sulla loro esistenza”); identicamente dicasi per la procedura monitoria e per quella di convalida di sfratto oltre a quella possessoria relativa alle azioni di reintegrazione e di manutenzione (Giacobbe, op. cit., pagg. 42 e 43). Non è inoltre ritenuto ammissibile proporre un autonomo giudizio per ottenere una sentenza di accertamento della validità o meno del patto compromissorio: Cass. civ. Sez. I, 28/03/1991, n. 3361 (“L’azione di mero accertamento della nullità di una clausola compromissoria, senza la contemporanea proposizione di una controversia concernente situazioni soggettive di natura sostanziale, si risolve in un’indagine che involge una questione di competenza ed è, pertanto, improponibile per difetto di interesse, in quanto condurrebbe ad una generica affermazione di competenza insuscettibile di acquistare autorità di giudicato e priva di efficacia preclusiva per il giudice che fosse chiamato successivamente a provvedere su una domanda determinata”).

[56] Dall’arbitrato sono esclude le controversie relative a interessi legittimi (Cass. 31.01.2014, n. 2126).

[57] Cfr. Cass. 30.11.2006, n. 25508.

[58] E ciò in quanto tale inderogabilità non riguarda la funzione del giudice ma la rigidità che assiste il criterio di ripartizione della competenza.

[59] Come correttamente evidenziato da Trib. Bari Sez. IV, 02/11/2006.

[60] Si tratta dell’opinione largamente prevalente: cfr., in tal senso, L. Salvaneschi, Dell’arbitrato, in Comm. dir. proc. civ. a cura di S. Chiarloni, Bologna, 2014, pagg. 66, 86, 87 e 88.

Sebbene in dottrina sia discusso, la convenzione (in quanto atto rigidamente a forma scritta ad substantiam) non è perfezionabile per fatti concludenti.

I casi presi in considerazione sono i seguenti: a) una parte propone una domanda d’arbitrato e la controparte non contesta la carenza della convenzione (e si veda inoltre Cass. civ., 03/04/1989, n. 1585 per cui: “La produzione in giudizio di una convenzione arbitrale, sottoscritta solo dalla controparte, è da ritenere prova di valida accettazione della clausola stessa ad opera della parte che la produce”); b) le parti nominano direttamente gli arbitri (l’ipotesi suscita perplessità anche in quanto la convenzione arbitrale e il contratto di arbitrato svolgono funzioni diverse e intercorrono tra soggetti diversi); c) le parti si scambiano per iscritto una “richiesta di costituzione di un collegio arbitrale e la relativa accettazione”: tale vicenda è stata interpretata come espressiva di una presupposta “concorde volontà di compromettere la lite in arbitri” (Cass. civ. Sez. I, 02/02/2007, n. 2256).

In ogni caso il rigore di tale prescrizione formale è attenuato dall’art. 807, c.p.c. nella parte in cui si prevede la decadenza dall’impugnazione in caso di non tempestiva eccezione di incompetenza (nella prima difesa successiva all’accettazione degli arbitri) conseguente alla “inesistenza, invalidità o inefficacia della convenzione”.

[61] A norma dell’art. 1326, c.c. (Cass. civ. Sez. I, 11/07/2014, n. 15993; Cass. civ. Sez. I, 14/05/2014, n. 10451; Cass. civ. Sez. I, 02/02/2007, n. 2256; Cass. civ. Sez. I, 22/02/2000, n. 1389; Cass. civ. Sez. I, 22/02/2000, n. 1989; Cass. civ. Sez. I, 03/01/1986, n. 22).

Il requisito di forma deve ritenersi rispettato anche in caso di clausola compromissoria scritta stipulata per relationem ad altro contratto che la prescriva (versandosi in una ipotesi di relatio formale): Cass. civ. Sez. I, 24/09/1996, n. 8407; Cass. civ. Sez. Unite, 12/06/1997, n. 5292 e Cass. civ. Sez. Unite, 19/05/2009, n. 11529.

Tuttavia la convenzione arbitrale, essendo fattispecie formale, non può essere conclusa a norma dell’art. 1333, c.c. (proposta e accettazione, in quanto dirette a concludere tale patto, devono essere altrettanto formali) e lo stesso dicasi per l’altra struttura unilaterale prevista dall’art. 1327, c.c. (sempre per il principio di conformità tra la forma dei due atti prenegoziali e la forma del contratto che nascerà dalla loro fusione).

In tema di forma della convenzione per arbitrato estero si rimanda a Cass. civ. Sez. Unite, 10/03/2000, n. 58.

[62] E, in particolare, della clausola d’arbitrato (nel compromesso, essendo già in atto la contestazione, non c’è incertezza sulla riconducibilità dell’arbitrato alla pretesa fatta valere).

[63] Per la necessaria specifica identificazione delle future liti cui la clausola attiene: Cass. civ. Sez. Unite, 28/07/1998, n. 7398.

[64] Pertanto quando la clausola arbitrale viene riferita generalmente alle liti nascenti dal contratto cui la stessa inerisce, l’arbitrato deve intendersi stipulato per tutte le liti relative a pretese aventi la loro causa petendi nel contratto medesimo.

Per alcuni la norma, quando si riferisce alle liti “che derivano […] dal rapporto cui la convenzione si riferisce”, prevede una estensione della competenza arbitrale anche nelle ipotesi di responsabilità extracontrattuale (Giorgetti, op. cit., pag. 19).

Si rinvia inoltre a Cass. civ. 20/11/1979, n. 6054 e a Cass. civ. Sez. II, 20/02/1997, n. 1559. Si consideri inoltre che, per Cass. civ. Sez. I, 22/02/1993, n. 2177, “Qualora una clausola compromissoria devolva al collegio arbitrale la cognizione delle controversie attinenti all’esecuzione ed alla interpretazione di un contratto, il predetto collegio è competente a conoscere anche delle controversie sull’inadempimento e la risoluzione del contratto medesimo, perché anche queste attengono al suo aspetto esecutivo”.

[65] Quanto agli effetti prescrittivi, per una dottrina la stipulazione del compromesso (diversamente da quanto accade per la clausola arbitrale che, avendo portata generale, necessita della successiva comunicazione della domanda di arbitrato) sarebbe atto di per sé idoneo ad interrompere la prescrizione in quanto con esso si manifesta la volontà di azionare il diritto (G. Verde, Diritto dell’arbitrato rituale, Torino, 1997, pag. 39).

Non distingue Trib. Cassino, 08/09/2015 che riallaccia l’effetto interruttivo del termine di prescrizione alla notificazione della domanda di arbitrato. Anche per il caso di arbitrato libero si afferma rilevante, per la produzione dell’effetto interruttivo della prescrizione, la domanda di arbitrato poiché in essa sarebbe “insita la richiesta di adempimento idonea a costituire in mora il debitore”: Cass. civ., 17/11/1981, n. 6102.

[66] Pena nullità del patto: App. Bologna, 23/03/1998. Contra: App. Milano, 5/03/2008 per cui, in caso di clausola arbitrale “in bianco” (che non contenga la previsione del numero degli arbitri e/o delle modalità di scelta), soccorre quanto contemplato in via sussidiaria dallo stesso art. 809, c.p.c.

[67] La clausola binaria (per cui ogni parte nomina un arbitro e gli arbitri così nominati nominano a loro volta, di comune accordo, il presidente del collegio) funziona solo quando il numero delle parti è pari, altrimenti si formerebbe un organo giudicante in violazione dell’art. 809, co. 1, c.p.c. (cfr. Cass. n. 1900/1983).

[68] Quasi che le parti preferiscano ritenere che il giudizio di prime cure non abbia avuto luogo e che di questo non se ne possa tenere alcun conto (non meritando una mera correzione).

[69] Quando le parti, in un arbitrato ad hoc, si limitano a richiamare le regole previste da una data istituzione arbitrale, senza tuttavia chiedere a quest’ultima di gestire l’arbitrato.

[70] In dottrina si afferma che non sarebbe ammissibile concedere ad uno dei due contraenti il diritto di recesso ex art. 1373, c.c. in quanto, in tal modo, il patto sarebbe vincolante per una sola delle parti, ciò contrastando con “la ratio stessa della convenzione arbitrale” (Giacobbe, op. cit., 53).

L’assunto invero non è condivisibile in ragione, anche a voler tacere d’altro, del co. 3 dell’art. 1373, c.c. (onerosità dello ius poenitendi in virtù di una caparra penitenziale).

[71] Rinuncia comunque che deve intendersi limitata alla sola specifica controversia pendente: Cass. civ. Sez. II, 20/02/2015, n. 3464.

[72] Cfr. Giacobbe, op. cit., pag. 54.

L’opinione, espressa in modo così tranchant, non è condivisibile, essendo per esempio necessario verificare se il termine in questione era di natura essenziale o meno ex art. 1457, c.c.

[73] Invece taluna dottrina ritiene che il contrarius consensus debba necessariamente rivestire forma scritta: G. Schizzerotto, Dell’arbitrato, Milano, 1988, pag. 200.

[74] In caso di arbitrato irrituale: “La clausola compromissoria per arbitrato irrituale, non implicando deroga alla competenza dell’autorità giudiziaria, non necessita della specifica approvazione per iscritto richiesta dagli artt. 1341 e 1342 c.c.” (Trib. Ascoli Piceno San Benedetto del Tronto, 07/04/2010; Trib. Torino Sez. I, 24/11/2008; Trib. Torino Moncalieri, 24/10/2006; Trib. Monza Sez. I, 20/06/2005; Cass. civ. Sez. III, 04/11/2004, n. 21139; Trib. Genova, 18/02/2004; Trib. Brescia Sez. III, 27/10/2003; Trib. Roma, 28/10/2000; Trib. Santa Maria Capua Vetere, 20/10/1999; Trib. Milano, 21/11/1994; Trib. Ascoli Piceno, 11/06/1990; Trib. Torino, 23/01/1986. Contra, per l’abusività della clausola compromissoria in arbitrato libero, Trib. Roma, 05/10/2000.

[75] Ritiene che l’assoggettamento della convenzione arbitrale all’art. 1341, co. 2, c.c. lasci “ampi margini di opinabilità”: Salvaneschi, Dell’arbitrato, op. cit., 91.

[76] Richiesta anche in caso di artt. 1341 e 1342, c.c. da Trib. Monza Sez. IV, 28/06/2007 e da Trib. Monza Sez. IV, 22/05/2007.

[77] Nell’area dei rapporti tra professionista e consumatore, quindi, la convenzione d’arbitrato è intrinsecamente pregiudizievole per quest’ultimo.

[78] Contrariamente a quanto riportato nel testo si è espressa una dottrina secondo la quale collegata alla convenzione arbitrale può essere collegata una penale per l’eventuale inadempimento di un contraente (G. De Nova, Contratti dimezzati, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2013, pag. 449, ss.).

[79] La conseguenza pratica dell’assunto risiede nel fatto che “l’amministratore (o lo stesso direttore generale) della società deve ritenersi legittimato alla stipulazione della clausola predetta non soltanto per effetto di una specifica attribuzione di potere in tal senso (da parte dell’assemblea o per disposizione dell’atto costitutivo) ma anche se detto potere inerisca alla stessa natura dei compiti affidatigli (come nel caso di autorizzazione alla conclusione di determinati contratti in nome e per conto della società)”: Cass. civ. Sez. I, 18/10/1997, n. 10229.

[80] Sul tema evidenziato in narrativa si rinvia alla pregevole opera monografica di F. Corsi, Il concetto di amministrazione nel diritto privato, Milano, 1974.

[81] Il lodo è sempre opponibile al fallimento se l’atto ha data certa anteriore (deposito ai fini esecutivi o sua notificazione) rispetto alla dichiarazione di fallimento ed è passato in giudicato (decorsi 90 gg. dalla notifica o entro l’anno dalla data della sua ultima sottoscrizione senza che sia intervenuta una impugnazione per nullità – mezzo di gravame ordinario).

[82] Non sono comunque arbitrabili le liti nascenti dal fallimento e legate alla sua natura e funzione (per es.: inerenti alla procedura di verifica dei crediti), che rimangono attratte nella sfera di competenza del Tribunale fallimentare.

[83] Conformemente: Cass. civ. Sez. I, 04/09/2004, n. 17891 e Coll. Arbitrale, 29/01/1998.

Non rientrano invece in tale art. 83 bis, l. fall. i casi di pendenza di un arbitrato relativo ad una lite derivante da un contratto già interamente eseguito: in ipotesi di ‘crediti vantati da terzi’ è pacifico che l’arbitrato non può proseguire (improcedibilità) e l’azione è attratta nella sfera della procedura fallimentare mentre in ipotesi di ‘iniziative recuperatorie in favore della massa’ (essendo cioè in discussione un diritto del fallito) è dubbio se il curatore possa subentrare nell’arbitrato in luogo del debitore fallito.

[84] E questo dicasi se l’arbitrato ha ad oggetto diritti del fallito; se invece ha per oggetto diritti vantati dall’altro contraente, l’arbitrato potrà proseguire solo se la domanda non indice sul passivo.

[85] V. Cass. civ. Sez. I, 28/10/2011, n. 22522; Cass., 28 marzo 2007, n. 7652; Cass. civ. Sez. II, 21/11/2006, n. 24681; Cass., 21 giugno 1996, n. 5761; Trib. Milano, 19 dicembre 1996; Cass., 16 febbraio 1993, n. 1930; Cass. civ., 14/02/1979, n. 965. Contra, per la non automatica successione nella clausola arbitrale in caso di cessione del contratto, Trib. Genova Sez. III, 25/01/2006; Cass. civ. Sez. I, 22/12/2005, n. 28497; App. Salerno, 31/12/1990; Cass. civ., 03/06/1985, n. 3285 (l’orientamento iniziale era nel senso che la clausola compromissoria, per essere efficace nei confronti del cessionario, doveva essere oggetto di specifico richiamo nella scrittura di cessione). Una soluzione variabile, a seconda del singolo caso concreto, è stata adottata da Cass. civ. Sez. II, 16/02/1993, n. 1930.

[86] V. Cass. civ. Sez. I, 28/03/2007, n. 7652 e Cass. civ. Sez. II, 16/02/1993, n. 1930.

[87] Tale ultima pronuncia richiama anche l’opinione secondo cui la nomina dell’arbitro o la formulazione dei quesiti possono valere a perfezionare l’accordo, superando così la necessità della forma scritta per la conclusione dell’accordo compromissorio.

[88] In tal senso già V. Mariconda, Cessione del credito e clausola compromissoria: le inaccettabili conclusioni della Cassazione, in Corr. giur., 2004, pag. 1585, ss. nonché L. Salvaneschi, La cessione del credito trasferisce al cessionario anche la clausola compromissoria che accede al credito stesso, in Riv. arb., 2001, pag. 519.

[89] L’autonomia della convenzione arbitrale viene letta come prerogativa funzionale unicamente ad assicurare che il vincolo conservi la propria efficacia anche se contenuto in un contratto invalido, in modo che sia garantito, pure in tal caso, il ricorso all’arbitrato (a tal fine si presume, quanto alla volontà delle parti, che se le stesse hanno inteso derogare alla competenza del giudice statale ciò deve valere anche per le liti relative alla validità e all’efficacia del contratto stesso per le quali è competente l’arbitro).

E ciò dicasi anche se, per taluna dottrina (cfr. Giacobbe, op. cit., pag. 31), dal principio di autonomia della clausola compromissoria dovrebbe derivare anche la inapplicabilità, in sede di interpretazione del patto, dell’art. 1363, c.c. (per cui le clausole del contratto si interpretano le une per mezzo delle altre) oltre alla inapplicabilità dell’art. 1419, c.c. (per cui la nullità parziale del contratto non si estende alla clausola compromissoria); si esclude anche che la convalida del contratto annullabile (o la rinnovazione di esso) importino automatica convalida (o rinnovazione) della clausola compromissoria, occorrendo in proposito una specifica manifestazione di volontà delle parti.

[90] L. V. Moscarini, I negozi a favore di terzo, Milano, 1970, pag. 119 in nota n. 263.

[91] Si versa in tema di contratto di trasporto di cose (dove si ha un soggetto, il mittente, che stipula con il vettore e un altro soggetto, che non è parte, ma che, nella veste di terzo destinatario, subisce gli effetti del contratto). Sul tema cfr. Moscarini, op. cit., pagg. 114, ss.

[92] Il “peso” della soggezione ad una convenzione arbitrale, pertanto, trasformerebbe strutturalmente la stipulazione prevista dall’art. 1411, c.c. (che si caratterizza per l’attribuzione al beneficiario di una o più situazioni giuridiche attive) in una fattispecie ad efficacia sospesa, sino all’adesione del beneficiario.

Contrario è V. Putortì, Il trasferimento e l’opponibilità della clausola compromissoria, in La giustizia arbitrale, Napoli, 2015, pag. 75 (per l’a. la clausola compromissoria è “un normale patto che non comporta, per nessuno dei contraenti, situazioni svantaggiose per la loro sfera personale o patrimoniale”).

[93] Cfr. C. Punti, Disegno sistematico dell’arbitrato, I, Padova, 2012, pag. 560.

Non è del resto un caso se la giurisprudenza, proprio per garantire inequivocità alla sussistenza della volontà dell’interessato di sottrarre la cognizione della lite al giudice statuale, ammette la relatio ma solo quando “perfecta” (contenente, cioè, una espressa volontà di compromettere e uno specifico richiamo dell’arbitrato previsto nell’atto al quale si compie il rinvio).

La stessa dottrina specialistica evidenzia che la forma vincolata della convenzione, implicando una “rinuncia alla giurisdizione ordinaria”, ha la sua ratio nell’assicurare una “maggior ponderazione” alle parti: Salvaneschi, Dell’arbitrato, op. cit., pag. 88.

[94] Contra: C. Cavallini, Il trasferimento della clausola compromissoria, Riv. dir. civ., V, 2003, pag. 489.

[95] Indipendentemente dal fatto che si ricostruisca l’operazione come successione universale simile a quella mortis causa o come vicenda modificativa dell’atto costitutivo delle società partecipanti.

[96] La giurisprudenza assimila all’arbitrato libero (rappresentato da un incarico agli arbitri di emettere il responso con proprio atto separato) il lodo emesso per bianco segno (prassi che origina dalla consegna agli arbitri di un foglio firmato in bianco dalle parti con l’autorizzazione ad effettuarne il riempimento): Cass. civ. Sez. II, 14/04/1992, n. 4528; Cass. civ. Sez. I, 08/08/1990, n. 8010; Cass. civ. Sez. I, 26/01/1988, n. 664; Cass. civ. Sez. III, 06/02/1987, n. 1209; Cass. civ., 07/07/1981, n. 4425 e Cass. civ., 21/02/1980, n. 1238. Del medesimo avviso, in dottrina, Santoro Passarelli, op. cit., pagg. 1162 e 1163.

Invero il biancosegno (disciplinato dagli artt. 14 e 102, l. camb.) può meglio essere accostato al meccanismo di relatio sostanziale previsto nell’art. 1349, co. 2, c.c. (anche se con la differenza, in caso di biancosegno, che si è in presenza di un’ipotesi di integrazione diretta – e non per relationem – del voluto da parte del terzo).

[97] Prima della riforma del 2006 (d.l. n. 40 del 2/02/2006) l’arbitrato irrituale era previsto solo in alcune leggi speciali in materia marittima, laburistica e sportiva.

[98] Intanto si sottolinea che lo strumento del lodo irrituale è tout court precluso alla P.A. in quanto per tale figura manca la preventiva individuazione legale di qualunque procedimento arbitrale e dunque non sussiste alcuna necessaria garanzia di trasparenza e pubblicità (Cass. sez. un., 16.04.2009, n. 8987).

[99] Che prevede la conclusione di un contratto di prestazione d’opera professionale (e non di un mandato, in quanto l’arbitratore non indirizza la cooperazione verso un terzo ma verso le parti).

[100] Per es.: “Ti dono tre quintali del fieno presente nel mio cascinale che verranno separati da Tizio” oppure “Io dono 10.000,00 euro a chi vince il gran premio di Agnano” (in questi casi la volontà non ha più bisogno di integrazione perché è definitivamente manifestata).

In giurisprudenza si trova affermato che “Il fondamento dell’istituto dell’arbitrato irrituale risiede nell’impegno delle parti a considerare come propria la volontà espressa dagli arbitri” (Cass. civ. Sez. I, 13/03/1998, n. 2741 e Cass. civ. Sez. I, 02/12/2015, n. 24558), sostanziandosi la figura in un “mandato conferito dalle parti all’arbitro, di integrare la volontà delle parti stesse dando vita ad un negozio di secondo grado” (Cass. civ. Sez. I, 16/06/2000, n. 8222).

Segnano la differenza tra i due istituti: Cass. civ. Sez. I, 30/01/1992, n. 952 (“Mentre con l’arbitrato rituale e con quello irrituale le parti tendono a conseguire, quali protagoniste di un conflitto, un giudizio decisorio sullo stesso, con l’arbitraggio si conferisce ad un terzo l’incarico di determinare uno degli elementi del negozio in formazione, tramite un’attività dalla quale esula qualsiasi contenuto decisorio su questioni controverse”); Cass. civ. Sez. I, 24/08/1993, n. 8910; Coll. Arbitrale, 31/07/1990 (“Mentre con l’arbitrato rituale e con quello irrituale le parti tendono a conseguire, quali protagoniste di un conflitto, un giudizio decisorio sullo stesso, con l’arbitraggio, invece, le parti conferiscono a un terzo l’incarico di determinare uno degli elementi del negozio in formazione, tramite un’attività dalla quale esula qualsiasi contenuto decisorio su questioni controverse”); Cass. civ., 29/04/1983, n. 2949 e Cass. civ., 17/02/1981, n. 949.

[101] Per es.: ““Ti vendo il bene che deciderà Tizio, entro una settimana da oggi, per il prezzo di x” (qui è necessaria un’ulteriore manifestazione di volontà integrativa di quella precedente: si è quindi in presenza di una fattispecie a formazione progressiva del voluto contrattuale, ancora incompleto sul piano contenutistico).

E lo stesso dicasi per le cd. ‘disposizioni testamentarie mistiche’, come ad es.: “Lego casa mia alla persona che mi riservo di indicare successivamente alla data di questo testamento”; dopo di che il testatore indicava la persona con un’altra scrittura olografa (che non è un secondo testamento ma una integrazione del voluto originario).

[102] Che non deve essere confuso con la perizia contrattuale: l’arbitrato irrituale è diretto alla risoluzione di un conflitto, incaricando i litiganti un terzo a provvedervi con l’impegno, da parte dei primi, di ritenersi vincolati alla determinazione resa da quest’ultimo mentre la perizia contrattuale ha un contenuto meramente tecnico descrittivo di dati oggettivi apprendibili grazie alla professionalità del perito.

Perizia contrattuale, inoltre, che differisce dall’arbitraggio (art 1349, c.c.) proprio in quanto nella prima vi è la mera constatazione di elementi di fatto oggettivi già dati (la valutazione viene condotta sulla base di un criterio tecnico, meccanico o automatico, senza alcuno spazio volitivo): non c’è alcun apprezzamento da parte del terzo, nemmeno equo (ossia manca qualsiasi valutazione discrezionale: per intenderci, si avvicina alla c.t.u.).

Il che è a dire che la perizia è una mera dichiarazione di scienza, destinata a produrre effetti essenzialmente sul piano probatorio (Cass. civ. Sez. III, 16/02/2016, n. 2996: “Con la previsione dell’arbitrato le parti demandano ai periti un atto di volizione; con la previsione della perizia contrattuale le parti demandano ai periti una dichiarazione di scienza”; conformemente: Giacobbe, op. cit., 13).

[103] E, in particolare, nell’art. 1322, co. 2, c.c. (Trib. Milano Sez. VII, 15/07/2010 e Cass. civ. Sez. I, 02/07/2007, n. 14972 che discorrono di “istituto atipico”).

“Il fondamento di qualsiasi arbitrato è da rinvenirsi nella libera scelta delle parti” (Corte cost., 14/07/1977, n. 127): “ciò corrisponde anche alla garanzia costituzionale dell’autonomia dei soggetti” (Corte cost., 12/02/1963, n. 2).

“Esiste una pluralità di modelli arbitrali, i quali, tuttavia, sono sussumibili in uno schema unitario caratterizzato da elementi comuni ed in particolare dalla libertà delle parti di optare per il giudizio arbitrale”: Cons. Stato Sez. IV, 17/10/2003, n. 6335.

Al di là degli arbitrati ‘comuni’, esistono poi quelli ‘speciali’: a) in materia di lavoro; b) in àmbito di società; c) in tema bancario e finanziario; d) l’arbitrato Consob; e) nei contratti pubblici di lavori, servizi e forniture; f) arbitrato sportivo; g) arbitrato internazionale.

[104] Cfr. Cass. civ. Sez. I, 11/06/2007, n. 13670; Trib. Chieti, 31/05/2007; App. Genova Sez. I, 08/01/2007; Trib. Genova Sez. I, 19/09/2006; Cass. civ. Sez. III, 24/05/2004, n. 9996.

Critica: ma l’arbitrato libero non comporta necessariamente sacrifici per entrambe le parti in contesa (Santoro Passarelli, op. cit., pag. 1163).

[105] Così è per Cass. civ. Sez. I, 02/12/2015, n. 24558; Cass. civ. Sez. I, 18/11/2015, n. 23629; Cass. civ. Sez. I, 31/10/2013, n. 24552; Cass. civ. Sez. lavoro, 19/08/2013, n. 19182; Trib. Milano Sez. VII, 18/06/2012; App. Catania Sez. I, 16/01/2007.

[106] Discorrono invece in termini di potere rappresentativo: Trib. Milano, 07/11/1988 e Trib. Milano, 26/09/1988.

[107] Da ciò peraltro derivandone che “la revoca può intervenire solo di comune accordo tra tutti i mandanti, salvo che ricorra una giusta causa”: Cass. civ. Sez. III, 13/04/1999, n. 3609 e Cass. civ. Sez. II, 27/09/1993, n. 9727.

[108] Discorre in termini di “mandato congiuntivo”: Cass. civ. Sez. I, 28/07/1995, n. 8243.

[109] V. Trib. Bologna Sez. II, 10/02/2015; Trib. Bari Sez. lavoro, 16/04/2014; Cass. civ. Sez. I, 24/03/2014, n. 6830; Cass. civ. Sez. I, 17/03/2014, n. 6125; Trib. Trento, 30/05/2013; Cass. civ. Sez. I, 05/07/2012, n. 11270; Cass. civ. Sez. I, 29/03/2012, n. 5111; Trib. Roma Sez. VIII, 17/03/2012 (che discorre in termini di “mandato compromissorio”); Cass. civ. Sez. lavoro, 22/11/2011, n. 24562; Trib. Vicenza, 13/10/2011; Trib. Milano Sez. XII, 06/07/2011; Cass. civ. Sez. I, 01/04/2011, n. 7574; Trib. Salerno Sez. II, 25/01/2011; Trib. Piacenza, 29/10/2010; App. Torino, 02/07/2010 (che discorre di “mandato collettivo o conferito anche nell’interesse di terzi”); Cass. civ. Sez. I, 17/02/2010, n. 3803; Trib. Bari, 03/11/2008; Trib. Venezia, 10/04/2008; Cass. civ. Sez. I, 18/02/2008, n. 3933; Trib. Bari Sez. IV, 11/12/2007; App. Genova Sez. I, 19/09/2007; Cass. civ. Sez. I, 10/05/2007, n. 10705; Trib. Bari Sez. IV, 14/03/2007; Trib. Bari, 07/02/2007; Cass. civ. Sez. I, 10/11/2006, n. 24059; Cass. civ. Sez. III, 08/09/2006, n. 19298; Cass. civ. Sez. II, 25/06/2005, n. 13701; Cass. civ. Sez. I, 22/06/2005, n. 13436.

[110] M. Curti, L’arbitrato irrituale, 2005, Torino, 18 (l’a. ravvisa un mandato iniziale agli arbitri seguito da una serie di atti quale “possibile estensione del mandato” ed il contratto – il lodo – che, perfezionando l’iter di formazione della fattispecie complessa, risolve la lite).

[111] Pronuncia pubblicata in Riv. dir. comm., 1905, II, pag. 45.

[112] Istituita dallo Statuto Albertino nel 1848 e pronunciatasi, nel caso di specie riportato in narrativa, quando ancòra l’ente operava su decentrata base regionale (si era in presenza di cinque Corti poi unificate nel 1923, dal Regime Fascista, a Roma).

[113] Pur tra loro certamente differenti, come segnato dall’art. 824, bis c.p.c. oltre che dallo stesso art. 808 ter, c.p.c.

[114] I contraenti vogliono, sulla propria lite, la decisione di un terzo, che gli stessi si impegnano a rispettare come volontà altrui senza assumerla tecnicamente come propria (come invece avviene ex art. 1349, c.c.: del resto nulla vieta alle parti di volere un arbitraggio della transazione).

Del resto “Il procedimento arbitrale ha funzione decisoria in quanto, nel rispetto del contraddittorio e con la garanzia della difesa, tende all’emanazione di un lodo con valore di sentenza impugnabile”; procedimento arbitrale dunque che, avendo natura decisoria, ha anche carattere giurisdizionale (P. Peringieri, op. cit., pagg. 6 e 7).

La funzione decisoria del lodo altro non significa che, con esso, l’arbitro si limita, come il giudice, a(d accertare e) dichiarare la situazione qual è, senza disporre di essa con atto di volontà negoziale: l’arbitro compie un giudizio.

[115] Cfr. F. Gazzoni, Manuale di diritto privato, Napoli, 2011, pag. 1279.

[116] Forse sulla scorta di quanto già avviene normativamente per la transazione alla luce dell’art. 1967, c.c.

Contra: Salvaneschi, Dell’arbitrato, op. cit., pag. 160 (per l’a. la forma scritta per l’arbitrato irrituale è richiesta ad substantiam).

[117] Che la forma della convenzione d’arbitrato libero (e di quella su rapporti non contrattuali) sia anch’essa prescritta a pena di nullità dell’atto è affermato da parte di una dottrina: Vanoni, op. cit., pag. 90.

[118] Al di là del fatto che taluna dottrina applica all’arbitrato libero l’art. 1341, c.c.: Salvaneschi, Dell’arbitrato, op. cit., pag. 162.

[119] In quanto, per tracciare il discrimen, “non è richiesta l’adozione di formule sacramentali”: Cass. civ. Sez. II, 30/10/1991, n. 11650.

Sotto il profilo della tecnica redazionale si lascia preferire l’opinione più rigorosa di chi ritiene opportuno che le parti debbano esprimersi nel senso di volere una ‘definizione della lite mediante determinazione contrattuale’ (Luiso) a quella più permissiva di chi ritiene sufficiente un mero rinvio dei contraenti all’art. 808 ter, c.p.c. o allo ‘arbitrato irrituale’ (Consolo).

[120] Cfr. App. Napoli Sez. III bis, 24/01/2013.

[121] Così è per F.P. Luiso, Diritto processuale civile, V, Milano, 2015, pag. 140.

Per altra dottrina, premesso che le norme sull’arbitrato rituale possono essere espressamente applicate per volontà delle parti all’arbitrato irrituale (nel rispetto dei limiti di compatibilità), l’arbitrato libero trova la sua disciplina innanzitutto nell’art. 808 ter, c.p.c.; in caso di lacuna, nella disciplina dei contratti; in caso di ulteriore lacuna, sussidiariamente, nell’arbitrato rituale (Salvaneschi, Dell’arbitrato, op. cit., pag. 159).

Quanto al numero degli arbitri prescelti dalle parti, ad es., la dottrina ultima citata ritiene che, nell’arbitrato libero, possano essere anche in numero pari purché si preveda contestualmente un meccanismo che consenta al collegio di giungere comunque ad emanare una determinazione come, per es., il “voto prevalente del presidente” (id., Dell’arbitrato, op. cit., pag. 171). E ancora per le questioni relative agli arbitri si applicano le norme sul mandato e non le regole proprie dell’arbitrato rituale (id., Dell’arbitrato, op. cit., pag. 171). Quanto al procedimento (domanda, trattazione e istruzione) esso è informale e perciò svincolato dagli artt. 806, ss., c.p.c. (id., Dell’arbitrato, op. cit., pag. 174). Il lodo necessita della forma scritta in quanto il legislatore prevede un controllo mediante impugnativa che presuppone la forma scritta (id., Dell’arbitrato, op. cit., pag. 176).

[122] Ritiene tassativo e testuale l’elenco delle cause di annullamento mentre reputa aperta e virtuale è la serie di cause di nullità (non regolate dalla norma): Salvaneschi, Dell’arbitrato, op. cit., pagg. 181 e 182.

[123] “Trattandosi di termine di adempimento della prestazione dell’arbitro irrituale, una pattuizione che lo facesse dipendere dalla decisione dell’arbitro stesso è affetta da nullità”: Cass. civ. Sez. I, 28/07/1995, n. 8243.

[124] Si segnala che anche per la dottrina (Salvaneschi, Dell’arbitrato, op. cit., pag. 175) il termine per la pronuncia del lodo è fissato di comune accordo dalle parti e, in mancanza, dal giudice, ex art. 1183, co. 1, su istanza di parte [laddove, tuttavia, il mancato rispetto del termine da parte degli arbitri determina la annullabilità del lodo emesso tardivamente ex art. 808 ter, co. 2, n. 4), c.p.c.].

[125] Cfr. M. Confortini, Clausola compromissoria. Nozione, in Dizionario dell’arbitrato, Torino, 1997, 191.

In realtà se l’accordo compromissorio deve consistere in un contratto, il vincolo a concluderlo non è necessario che sorga da un contratto ben potendo derivare da una fonte unilaterale.

Inoltre se è vero che il testatore in tal modo impone ai successori la procedura arbitrale è anche vero che tale modalità di soluzione delle controversie ereditarie è stata accettata dai successori stessi che sono venuti all’eredità nella disponibile.

[126] Invero la legge disciplina la “convenzione” (bilaterale) d’arbitrato solo in quanto fattispecie più frequente e non in quanto limite di struttura inderogabile: la fonte dell’arbitrato può quindi consistere anche in un negozio unilaterale (G. Perlingieri, Lectio, op. cit., pagg. 142 e 143). In realtà strutture differenti (come il contratto e il testamento), per differenti funzioni, possono conseguire i medesimi effetti.

[127] I divieti posti dagli artt. 631 e 632, c.c. (relativi alle disposizioni testamentarie rimesse all’arbitrio altrui), confermando il principio di personalità del testamento e l’eccezionalità dell’intervento del terzo, non sono di ostacolo alla ammissibilità di un arbitrato testamentario in quanto attengono al differente fenomeno dell’arbitraggio (G. Bonilini, La disposizione arbitrale, in Tratt. dir. succ. e donaz.La successione testamentaria, II, Milano, 2009, pag. 894).

[128] In proposito si veda, per tutti, Salvaneschi, Dell’arbitrato, op. cit., pag. 138.

L’obiezione non ha pregio in quanto, data la normale trasmissibilità del rapporto compromissorio, non vi è alcun principio di assoluta identità tra chi stipula la clausola arbitrale (il testatore) e coloro tra i quali potranno insorgere le controversie (i successori): P. Perlingieri, op. cit., 9.

[129] Ritenendo, in caso di convenzione stipulata del de cuius con atto inter vivos, che l’erede succeda automaticamente, oltre che nel contratto ‘fondamentale’, anche nella clausola compromissoria già in esso contenuta e ritenendo, di contro, che il legatario necessiti di una espressa volontà di accettare la convenzione d’arbitrato (Giacobbe, op. cit., 51). Tuttavia, per il caso di legato, pare non possa non operare, anche per il rapporto d’arbitrato, l’automaticità del meccanismo acquisitivo previsto dell’art. 649, c.c.

[130] Bonilini, op.cit., pagg. 896 e 902.

[131] Clausola del tipo: “Lego a Tizio la mia autovettura d’epoca a condizione che risolva in arbitrati qualsiasi lite dovesse nascere dalla mia successione” (con lo strumento più drastico della condizione e dunque con l’alternativa secca efficacia/inefficacia dell’intera disposizione).

[132] Condizione risolutiva che fungerebbe peraltro da clausola di decadenza (pena privata) dalla disposizione testamentaria.

Certamente la condizione non potrebbe essere sospensiva (per sua contrarietà a norme imperative o all’ordine pubblico) perché questo implicherebbe che il beneficiario, al solo fine di conseguire il lascito, potrebbe vedersi costretto a dover litigare (anche se temerariamente, non sussistendone ragione).

[133] La giurisprudenza non ha avuto frequenti occasioni per occuparsi della questione: sul tema si registra, favorevole, Cass. civ., 06/06/1969, n. 1989.

[134] Trattandosi di una disposizione testamentaria in base alla quale “si impone all’onerato [già erede o legatario, n.d.a.] di stipulare, con un determinato soggetto, che diviene quindi [n.d.a.: sub]legatario, un determinato contratto” tipico o atipico (G. Bonilini, I legati atipici, Milano, 1990, pag. 109), ossia, in ispecie, il compromesso.

[135] Bonilini, op. cit., pagg. 902-904.

[136] E quindi la disposizione testamentaria di arbitrato, per lo strumento che la veicola (condizione, legato, modus), rientra nel contenuto tipico del testamento (nozione che di per sé prescinde dalla patrimonialità o non della disposizione).

[137] Clausola del tipo: “Istituisco erede Tizio e gli impongo di stipulare con il legatario Caio un compromesso in caso di lite ereditaria”.

[138] Clausola del tipo: “Lego a Tizio il contratto di compravendita, onerandolo, ex art. 648, c.c., di introdurre la clausola arbitrale che soddisfa un mio interesse a non veder litigare le parti in Tribunale”.

[139] Sottolinea il carattere “fiduciario e strettamente personale della designazione degli arbitri”: Trib. Rimini, 28/03/2003 e Cass. civ. Sez. I, 25/05/1995, n. 5724.

[140] Che difatti sono persone fisiche: Cass. n. 12336/1999.

[141] Bonilini, La disposizione, op. cit., pag. 896 e riferimenti bibliografici in nota 42.

[142] In caso di disposizione arbitrale testamentaria prevista in violazione dell’art. 549, c.c. la stessa dovrà considerarsi, già sul piano materiale, come assolutamente inefficace in quanto nulla (e quindi senza che i legittimari risultino onerati di agire in riduzione): L. Mengoni, Successioni per causa di morte. Parte speciale. Successione necessaria, in Tratt. dir. civ. comm. diretto da Cicu e Messineo e continuato da Mengoni, Milano, 1982, pag. 89, ss.

Contraria, tuttavia, si registra l’opinione di altra dottrina: l’obbligo per i legittimari di devolvere le controversie ad arbitri non è infrazione al divieto di cui all’art. 549, c.c. (perché la disposizione non peggiora la sostanza della posizione di legittimario) ma è un mezzo per ottenerne l’osservanza (P. Perlingieri, op. cit., pag. 10).

[143] Si evidenzia l’incompatibilità tra esecutore testamentario e arbitro: G. Perlingieri, La disposizione, op. cit., pag. 150 (l’a. evidenzia che, in caso, l’esecutore testamentario, già titolare di un autonomo diritto d’azione ex artt. 703, co. 1 e 704, c.c., si troverebbe in conflitto d’interessi, minandosi in tal modo la terzietà della funzione arbitrale).

[144] Così Bonilini, ult. op. cit., pag. 906.

In caso contrario al legatario, frustrato nella realizzazione del suo credito, residuerebbe il solo rimedio del risarcimento del danno.

Per la facoltà degli arbitri di pronunciare un lodo costitutivo ex art. 2932, c.c.: Cass. civ. Sez. I, 08/08/2001, n. 10932; Cass. civ. Sez. II, 15/03/1995, n. 3045 (e ciò dicasi per gli arbitrari rituali, in analogia con l’art. 2908, c.c.) nonché Coll. Arbitrale, 20/06/1996; Trib. Trieste, 13/06/1992; Trib. Monza, 05/02/2001.

In caso di arbitrato irrituale invece è il lodo, al più, a costituire solo la premessa per un’azione coattiva, in sede di giudizio ordinario, ex art. 2932, c.c. (App. Milano, 07/04/1998). Ritiene invece che anche gli arbitri irrituali possano pronunciare ex art. 2932, c.c.: Cass. civ. Sez. II, 30/10/1991, n. 11650.

[145] Cfr. P. Cogliolo, La clausola arbitrale nei testamenti. Il giudice famigliare, in Scritti varii di diritto privato, II, Torino, 1917, 278 e I. Cugusi, La clausola arbitrale nel testamento, in Filangieri, 1905, 519.

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