L’energia è valore noto, con certezza, alla scienza del diritto poiché ricompresa, sul piano positivo, dall’art. 814, c.c. nella categoria dei beni giuridici propriamente intesi, collocandosi, in teoria generale del diritto civile, nell’area delle cd. cose “corporali” (suscettibili cioè di essere percepite da parte dei sensi dell’uomo, indi distinguendosi dai beni cd. “immateriali[1]”).
Pertanto detto bene, in ragione della relativa ‘accessibilità’, ottiene pieno riconoscimento giuridico sotto il profilo statico di “res” mobile, connotata dai requisiti della consumabilità e, di regola, della fungibilità. Ciò si spiega in dipendenza delle utilità economiche che da essa l’uomo è in grado di trarre, in via immediata e definitiva, dopo averla quantitativamente isolata in guisa da consentirne svariate forme di (esclusivo) godimento autonomo (fatta eccezione, ma è ovvio, per le energie lavorative, in quanto ontologicamente inscindibili dalla medesima fonte che le origina – ossia dall’uomo[2] -).
Cionondimeno la stessa ‘energia’ merita considerazione (ora sotto un profilo squisitamente ‘dinamico’) anche nella sua mera essenza, in sé considerata, di entità ‘naturale’ non padroneggiata dall’uomo, quando le irrazionali modalità di relativo sfruttamento determinano l’insorgere diffuso, in molteplici settori della vita, di svariate esigenze di tutela di interessi superiori schiettamente pubblicistici[3] (nelle ipotesi in cui non è stata appieno assolta, per qualsiasi motivo, quella finalità di esclusiva ‘utilità generale’ che la suddetta entità, di principio, è idonea a garantire: cfr. artt. 117, co. 3° e, benché indirettamente, 43, Cost.). In altri termini l’energia può venire in considerazione anche per la idoneità ad incidere negativamente su interessi meritevoli di tutela conseguentemente al facere dell’uomo che “la scopre, […] la imprigiona e la utilizza[4]” senza tuttavia curare di dominarla in modo pieno.
E così l’energia, valutata ‘in natura’, funge talora da ‘occasione’ per suggerire – o, talvolta, imporre – specifici interventi legislativi tesi al completamento delle discipline di varie materie, tra le quali quella edilizia, che, di volta in volta, con la prima rinvengono implicazioni, quand’anche accidentali o solo indirette, meritevoli di attenzione.
Tanto rilevato giova ai presenti fini evidenziare che, nello specifico comparto occupato dal settore edilizio, la rilevanza giuridica del rendimento energetico si conforma funzionalmente con il perseguimento dei moderni obbiettivi di politica comunitaria (v. Direttiva 2002/91/CE) tendenti alla massimizzazione dell’efficienza energetica nonché con il contenimento sostanziale dei consumi (pure nel rispetto dell’art. 47, co. 1, Cost. – norma troppo spesso dimenticata dagli interpreti -), quali programmi pur sempre disposti a vantaggio della collettività dei consociati.
Lo strumento che le Istituzioni pubbliche hanno utilizzato per assicurare un regolamento giuridico al valore “energia” innestato nella materia edilizia è quello degli atti normativi ‘formalmente non legislativi’ (in quanto esulano dal peculiare procedimento genetico di matrice parlamentare).
Rispetto alle fonti di produzione nazionale viene così in rilievo il D.Lgs. 19 agosto 2005 n. 192, successivamente integrato e modificato da una copiosa (rectius: torrenziale) normativa ‘materiale’:
Gli strumenti posti a servizio del fattore “energia”, e destinati a garantire il perseguimento delle finalità avute di mira dal corpo normativo su richiamato, gravitano, nell’àmbito della materia edilizia, intorno al concetto di “certificato energetico” il quale (regolato dal prefato D.Lgs. n. 311/2006) funge tanto da mezzo di controllo del rispetto della normativa diretta al miglioramento delle prestazioni energetiche delle unità immobiliari quanto da veicolo di informazione, per le parti dell’affare (proprietario e acquirente o locatario), in ordine al rendimento energetico degli edifici, anche già esistenti, al fine di accrescere l’appetibilità del bene stesso sul mercato (pure all’esito, qualora ritenuti convenienti, di interventi strutturali di riqualificazione energetica) e, quindi, in modo da orientare la scelta degli interessati nell’acquisto o nella conduzione di immobili in base alla prestazione energetica assicurata da questi ultimi.
Differenti sono, e a distinte funzioni assolvono, il “certificato di qualificazione energetica” (confezionabile anche da parte di uno dei paciscenti, qualora professionista abilitato alla progettazione o alla realizzazione dell’edificio, potendo esso valere a semplificare il rilascio del documento sùbito appresso indicato) e lo “attestato di certificazione energetica” (predisponibile unicamente ad opera di un soggetto ‘terzo[5]’ e per il quale solo è contemplato un apposito classamento di efficienza energetica – le classi cd. energetiche sono ricomprese tra la lettera “A”, per gli immobili di ‘eccellenza energetica’, alla lettera “G”, per i beni caratterizzati dal più basso grado di rendimento termico -).
La regola è che tutti gli edifici, che fruiscono di consumo energetico, devono obbligatoriamente essere muniti di un attestato di certificazione energetica (d’ora innanzi, per brevità, indicato con l’acronimo “A.C.E.”):
Per i due surriferiti tipi di edifici la certificazione energetica è, con decorrenza dal 1 gennaio 2008, condizione per il rilascio del certificato di agibilità (cfr. art. 2, co. 282, L. n. 244/2007): pertanto le parti non possono efficacemente pattuire di non dotare l’immobile della documentazione in oggetto (si precisa all’uopo che, per il preferibile orientamento sposato dalla Suprema Corte, il mancato rilascio del certificato di agibilità, senza incidere sulla validità del contratto, non rende il rapporto negoziale per ciò solo risolubile de plano – potendosi indi versare nell’area di un inadempimento dell’alienante di scarsa importanza per l’effetto di cui all’art. 1455 c.c. – essendo piuttosto consentito all’acquirente, nel minimo, di agire in giudizio per ottenere tutela delle conseguenti difficoltà pratiche di una commerciabilità attualmente ridotta[6]);
In tal’ultimo caso la certificazione energetica è, con decorrenza dal 1 gennaio 2008, condizione per fruire delle agevolazioni richieste;
Interessato dalla prescrizione è inoltre il patto di famiglia, quantomeno qualora si aderisca a quell’autorevole tesi di dottrina che riconduce l’istituto nell’area delle fattispecie corrispettive, le sole idonee a sopportare la clausola di deviazione di cui all’art. 1411 c.c.([7]).
Considerate le finalità informative della normativa di riferimento si ritiene, per debita coerenza, che l’obbligo della certificazione energetica acceda pure alla eventuale fase di procedimentalizzazione formativa della fattispecie finale (il riferimento corre al contratto preliminare, impregiudicata l’esperibilità dell’art. 2932, c.c., nonché alle altre ipotesi negoziali di diritti al contratto previste dagli artt. 1329 e 1331, c.c.; non escluso il patto di preferenza, la cui meritevolezza è positivamente riconosciuta dal cod. civ. all’art. 1556);
l’obbligo in oggetto, per gli edifici “preesistenti”, non è derogabile dai contraenti (pena nullità del patto ex art. 1419, c.c.) in quanto sancito da una legge, il D.Lgs. n. 192/2005, posta a presidio dell’interesse generale dei consociati.
Sono invece esclusi dall’obbligo di dotazione dell’A.C.E.: i fabbricati cd. ‘isolati’ (con superficie utile inferiore a 50 mq: cfr. art. 3, u. co., lett. c), D.Lgs. n. 192/2005); i fabbricati industriali, artigiani e agricoli non residenziali qualora gli ambienti siano riscaldati in diretta ed esclusiva funzione del processo produttivo dell’attività d’impresa ivi esercitata (cfr. art. 3, u. co., lett. b), D.Lgs. n. 192/2005).
Gli edifici cd. “marginali”, e cioè che non comportano un consumo (per es.: legnaie, portici, ecc.), sono altresì esclusi dall’obbligo dell’A.C.E.
Identicamente dicasi per gli edifici inagibili o comunque non utilizzabili (nessun consumo, difatti, è qui rilevante agli effetti di legge).
E così, ancòra, per i “manufatti” non ricompresi nella categoria degli edifici di cui all’art. 2, lett. a), D.Lgs. n. 192/2005 (verbicausa: piscine, serre, etc.).
Sono ulteriormente interessati gli edifici allo stato “grezzo” (l’obbligo di dotazione riguarda solo infatti le costruzioni già ultimate, complete degli impianti e di quelle finiture idonee ad incidere sulle prestazioni energetiche dell’immobile); peraltro, in riferimento agli edifici di nuova costruzione rispetto al 1 gennaio 2009, il rilascio del permesso di costruire è subordinato alla certificazione energetica dell’edificio, dovendo quindi essa venire predisposta, in un primo momento, sulla semplice base del progetto edificatorio (v. art. 1, co. 288, L. 24 dicembre 2007, n. 244).
Nessuna incidenza ha sull’obbligo in esame l’eventuale esistenza di vincoli culturali o paesaggistici insistenti sulla res immobile (cfr. art. 3, u. co., lett. a), D.Lgs. n. 192/2005).
Cantine, box, parcheggi multipiano, autorimesse, depositi, strutture stagionali a protezione di impianti sportivi, etc. (quando alienati tanto autonomamente quanto in qualità di pertinenze di una res principale) richiedono l’A.C.E. per le sole porzioni adibite ad uffici e simili, purché scorporabili ai fini dell’isolamento energetico (cfr. D.M. dello Sviluppo Economico 26 giugno 2009).
La certificazione energetica è surrogabile da una “autodichiarazione” del venditore che attesti la pessima tenuta termica dell’immobile “preesistente” e di superficie utile inferiore o pari a 1.000 mq (è così possibile ricorrere all’autodichiarazione unicamente nel caso in cui l’edificio, magari perché vetusto, viene espressamente inquadrato dal venditore nella classe “G”).
Entro quindici giorni dal rilascio della dichiarazione de qua il proprietario deve trasmetterne copia all’ufficio della Regione o della Provincia autonoma territorialmente competente.
L’autodichiarazione: i) può essere resa dalla parte venditrice direttamente in atto (e una copia dovrà poi essere inviata all’ufficio della Regione o della Provincia autonoma territorialmente competente) ovvero ii) potrà essere riprodotta separatamente in doppio originale: uno da allegare all’atto ed uno da inviare all’ufficio del surriferito ente pubblico territoriale.
In ordine ai requisiti formali dell’atto di trasferimento oneroso dell’immobile, deve evidenziarsi, in limine, che è stato abolito l’obbligo di allegazione dell’A.C.E. originariamente previsto, a pena di nullità relativa dell’atto medesimo, dal D.Lgs. n. 192/2005.
Attualmente si richiede, a mente dell’art. 6, co. 2-ter, D.Lgs. n. 192/2005, il solo requisito formale, per i contratti di compravendita e di locazione, della menzione della dichiarazione (a natura ‘partecipativa’ e non negoziale) resa dall’acquirente o dal conduttore, risultante da apposita clausola contrattuale, attraverso cui si dà espressamente atto di aver ricevuto specifiche informazioni nonché apposita documentazione (A.C.E. o “autodichiarazione”) relative al rendimento ed alla certificazione energetica.
La dottrina notarile che si è cimentata nella disamina della citata norma estende l’àmbito applicativo della disposizione, nella parte che contiene un richiamo letterale alla sola compravendita, certamente al contratto di permuta (in considerazione della relatio disposta dall’art. 1555, c.c.) e, al fine di tutelare quanto più possibile la sfera giuridico-patrimoniale dei contraenti, anche ad ogni altro atto traslativo oneroso (naturalmente nei soli casi in cui ricorrano i presupposti di legge che impongono di dotare il bene del certificato energetico).
In caso di locazione (e, si aggiunge, di affitto – se del caso: anche d’azienda -) l’obbligo della dichiarazione ricorre unicamente nell’ipotesi in cui l’immobile è già provvisto della certificazione energetica: esso è dunque escluso solo per i fabbricati “preesistenti” non ancòra muniti della certificazione de qua per i quali l’obbligo di dotazione dell’A.C.E. sorge solo in occasione di un trasferimento oneroso (e non pure di un contratto obbligatorio di mera locazione).
La dichiarazione di parte non dev’essere rivestita dalla forma delle dichiarazioni sostitutive dell’atto di notorietà: tanto si desume, con facilità, dal silenzio della legge.
Per il caso di menzione omessa, parziale o di falsa dichiarazione dell’acquirente: l’art. 6, co. 2-ter, D.Lgs. n. 192/2005 non programma alcuna conseguenza sanzionatoria a carico di alcun soggetto coinvolto.
Chi assegna alla surriferita norma carattere (non imperativo bensì) cogente (in considerazione del carattere del precetto) ed indisponibile (in considerazione dell’interesse protetto) ritiene inapplicabile l’art. 1418, co. 1, c.c. (nullità virtuale ed assoluta del contratto)[8], non essendo perciò integrati, a carico del notaio incaricato dell’atto, i presupposti di operatività dell’art. 28 della legge professionale (cfr. L. 16 febbraio 1913, n. 89).
La norma, difatti:
Il contratto, orbene, è in ogni caso valido ed efficace: l’art. 6, co. 2- ter, D.Lgs. n. 192/2005, difatti, concorre con il potere di iniziativa privata a determinare il contenuto oggettivo del rapporto che si instaura inter partes coinvolgendo la sola dimensione occupata dalle cd. doverosità informative (la citata disposizione, in altri termini, specifica direttamente concretizzandoli, nel settore del rendimento energetico immobiliare, taluni obblighi di correttezza e buona fede oggettiva, pure in attuazione dell’art. 2 Cost.).
La norma, or dunque, pone una prescrizione meramente formale che si dimostra: i) funzionale ad “anticipare” e, comunque, a rendere indisponibile, alla volontà privata, l’obbligazione accessoria di consegna dell’A.C.E. prevista dall’art. 1477, co. 3, c.c.; ii) idonea, se del caso, ad incidere, per gli effetti processuali di cui all’art. 2697, c.c., sui profili della imputabilità dell’inadempimento dannoso a carico dell’alienante.
La vagliata disposizione, imponendo di trasfondere sul piano documentale il risultato delle doverosità sostanziali, tende di fatto a sollecitare le parti a confrontarsi, sullo specifico punto, nella dimensione dialogica e rende quest’ultima propedeutica all’esercizio negoziale del potere di autonomia privata. Tale ‘trasferimento’ di informazioni viene ampiamente assicurato dall’intervento notarile, in dipendenza dello svolgimento dell’attività di consulenza prestata da questo professionista (infatti il piano dell’esecuzione dell’obbligo accessorio di consulenza professionale notarile risulterebbe infirmato da una menzione omessa o ingiustificatamente parziale).
La sanzione dunque, riguardo all’alienante, rileva sotto l’aspetto della responsabilità civile (lato sensu intesa), per violazione di una norma inderogabile in senso stretto (fermo restando che l’attivazione del rimedio patrimoniale è nella piena ed esclusiva disponibilità della controparte acquirente, incondizionatamente libera di valutare la convenienza e l’opportunità dell’iniziativa giudiziale).
Se il Pubblico Ufficiale rispetta quanto formalmente prescritto dall’art. 6, co. 2-ter, D.Lgs. n. 192/2005 di certo egli non incorre, ad alcun titolo[9], in alcuna responsabilità per il caso di dichiarazioni false della parte (fatta ovviamente salva la responsabilità contrattuale del P.U. verso l’acquirente per il caso di A.C.E. inidonea ratione temporis – ossia per scadenza del termine di efficacia – o manifestamente contraffatta). Il notaio dovrà altresì informare il cliente della durata decennale di efficacia dell’A.C.E. nonché della necessità di un aggiornamento del documento in esame ad ogni intervento strutturale sulla res che ne modifichi il rendimento stesso.
Differente è l’ipotesi in cui la menzione della dichiarazione stessa, non avendo il Pubblico Ufficiale ottemperato al requisito formale imposto dalla disposizione de qua, risulti parziale o del tutto omessa.
In tale evenienza il notaio sarà assoggettato, per mera ‘irregolarità’ del “negozio notarile”, alla sanzione disciplinare, “generale”, di cui all’art. 135 L. Not. Non sarà però imputabile alcunché al P.U., a titolo contrattuale, nel caso in cui le informazioni e la documentazione de quibus siano state in concreto effettivamente rese all’acquirente.
Pur tuttavia non incorre in responsabilità disciplinare il notaio che, vincolato al ricevimento dell’atto a norma dell’art. 27, co. 1, L.N., menzioni la dichiarazione dell’alienante il quale ultimo, reso previamente edotto dal professionista intellettuale sulle possibili conseguenze giuridiche (magari documentate in un “caveat” appositamente inserito in atto), si sia espresso nel senso di non essere in condizione di informare l’altro contraente, in tutto o in parte, circa gli aspetti energetici inerenti la res immobile e non sia altresì in grado, al riguardo, di consegnare all’acquirente alcuna documentazione.
Inoltre, la precisazione è assolutamente opportuna, ogni patto volto ex ante ad esonerare o limitare la responsabilità dell’alienante per le conseguenze potenzialmente derivanti dal mancato rispetto delle “doverosità energetiche” (intese a consentire al privato di effettuare una scelta che privilegia il risparmio) è irricevibile in quanto causalmente viziato da nullità assoluta, operando in proposito il divieto sancito dall’art. 1229, co. 2°, c.c. (invero qui si versa in una materia ispirata a valori di ordine pubblico di politica economica – anche alla luce dell’art. 41, co. 3°, Cost. -). In ogni caso la nullità della clausola esoneratrice, è certo, non è capace di travolgere l’intero contratto, all’effetto di cui all’art. 1419, co. 1, 1a parte, c.c.
Inidoneo al fine istituzionale che lo connota è, altresì, lo strumento di cui all’art. 1382, c.c. (clausola penale), pure in ipotesi di quantificazione preventiva del danno non irrisoria.
Chiarita la funzione delle menzioni e delle presupposte doverosità ‘energetiche’ si deve ora individuare in quale fase, nell’àmbito della relazione instauratasi tra i contraenti, queste ultime debbono darsi.
È di certo ragionevole ritenere, come avanzato dalla migliore dottrina notarile, che l’obbligo di consegnare all’acquirente il certificato energetico (non ‘dispensabile’, pena attivazione dell’art. 1419, c.c.) incombe a carico dell’alienante inderogabilmente prima della stipulazione dell’atto traslativo oneroso (cotale documentazione coinvolge il solo rapporto interno tra le parti poiché la decretata disciplina si ripropone di assicurare che ciascun successivo acquirente vanti un diritto, indisponibile, a ricevere in consegna, da parte del correlativo autore, l’attestato di certificazione energetica).
Ne discende che i contraenti non possono validamente pattuire una modalità temporale della consegna che consenta all’alienante di spostare la traditio del certificato al momento dell’esecuzione del rapporto negoziale (siffatto accordo sarebbe infatti nullo ex art. 1419, c.c., per frustrazione della ratio della norma che obbliga l’alienante a mettere la controparte in condizione di esprimere un consenso esaustivamente informato).
Stesse considerazioni valgono per gli obblighi informativi (la cui attuazione è da richiamare in atto con apposita formula) che cedono in testa all’alienante stesso, da adempiersi nella fase prenegoziale di formazione della fattispecie contrattuale.
Nell’eventualità di inadempimento dell’alienante, verificandosi rispetto a fatti prodromici rispetto all’incipit del rapporto propriamente contrattuale, la conseguente fattispecie di responsabilità dovrà essere qualificata (non sulla base degli artt. 1218 e 1375, c.c. ma[10]) a norma degli artt. 1337 e 1175, c.c.
È così evidente, a fronte della ritenuta natura aquiliana della responsabilità precontrattuale[11], che le menzioni richieste in atto possono incidere, in prospettiva giudiziale, sulla assolvibilità del carico della prova gravante in testa all’acquirente, semplificando la posizione processuale del creditore danneggiato qualora non rispondenti a verità.
Né è di ostacolo, al fine della collocazione della responsabilità in esame nell’àmbito formativo della fattispecie contrattuale (ovvero, il che è lo stesso, nell’àmbito prenegoziale), il successivo perfezionamento del negozio: è infatti riconosciuta la figura del contratto cd. “sconveniente” attraverso il quale la civilistica[12], argomentando dall’art. 1440, c.c., e la giurisprudenza (tanto di merito quanto di legittimità[13]) riconosce al contraente, nonostante l’intervenuta conclusione del contratto, la risarcibilità del danno per lesione dell’autonomia negoziale in pregiudizio dell’autonomo e distinto interesse precontrattuale a non essere coinvolto nel conchiuso contratto.
Nella ipotesi di inadempimento del trasferente, salvo probabilmente il caso in cui questi abbia promesso uno specifico rendimento energetico (cfr. art. 1497, c.c.), non si ravvisa la certa risolubilità del contratto[14] ma certamente è risarcibile il danno eventualmente patito dall’acquirente (fermo il fatto che quest’ultimo è comunque in facoltà di procurarsi ex post, autonomamente, la certificazione energetica non fornitagli dall’alienante, con diritto di regresso per ogni ‘onere’ all’occorrenza sostenuto).
Inoltre, quanto agli edifici di nuova realizzazione, il costruttore (alienante) è assoggettato a sanzione amministrativa per la mancata dotazione dell’attestato di certificazione energetica (v. art. 15, co. 7, D.Lgs. n. 192/2005).
I profili redazionali e contenutistici dell’attestato di certificazione energetica sono stabiliti dal D.M. dello Sviluppo Economico del 26 giugno 2009. Tale certificazione, con marcata funzione cognitizia, attesta la prestazione energetica dell’immobile e, sulla base dell’efficienza energetica del bene, indica gli interventi economicamente più convenienti secondo il parametro ‘costi-benefici’. L’obbligo di dotazione riguarda, tra gli altri, gli edifici adibiti a residenza o ad ufficio, ad attività commerciali ed artigianali, ad ospedale, ad attività ricreative, scolastiche e di culto, etc.
Quanto all’ipotesi di appartamento in condomìnio la certificazione ottiene una semplificazione (cfr. art. 6, cpv., D.Lgs. n. 192/2005) in quanto essa può essere ‘comune’ se riferita all’intero edificio (solo laddove vi sia un impianto termico comune) ovvero può riguardare un altro appartamento inserito nel medesimo stabile quando rappresentativo del tipo di appartamento al quale si vuole riferire, de relato, la certificazione stessa. Mentre è necessario un certificato per ciascuna unità immobiliare nell’ipotesi di impianti termici autonomi o centralizzati con contabilizzazione del calore (cfr. il D.M. dello Sviluppo Economico, 26 giugno 2009).
L’efficacia dell’attestato di certificazione energetica ha durata decennale decorrente dal tempo del rilascio (cfr. l’art. 6, co. 5, D.Lgs. n. 192/2005).
L’attestato dev’essere aggiornato ad ogni intervento di ristrutturazione, edilizio e impiantistico che modifica la prestazione energetica originaria (v. l’art. 6, Decreto Ministeriale 26 giugno 2009).
L’attestato di qualificazione energetica, diretto a controllare che l’opera sia conforme al progetto nel corso della fase di costruzione o di ristrutturazione, dev’essere presentato al Comune territorialmente competente, insieme alla dichiarazione di fine lavori, e costituisce condizione di efficacia di quest’ultima (v. art. 8, cpv., D.Lgs. n. 192/2005).
Tale documentazione, asseverata dal Direttore dei lavori (a carico del quale può essere irrogata la sanzione amministrativa prevista dall’art. 15, co. 3, D.Lgs. n. 192/2005), è confezionata secondo i contenuti minimi imposti dal D.M. 26 giugno 2009.
Al di fuori di quanto previsto dall’art. 8, cpv., D.Lgs. n. 192/2005 l’attestato in oggetto ha natura facoltativa (secondo il tipo di cui all’art. 6, co. 2-bis, D.Lgs. n. 192/2005) e può essere predisposto dall’interessato al mero scopo di semplificare il successivo rilascio della certificazione energetica (in quanto strumento che consente di verificare ex post il rispetto delle prescrizioni funzionali a produrre il risultato del miglioramento delle prestazioni energetiche del bene immobile).
Al fine di stabilire, con un apprezzabile margine di certezza, a quale Istituzione pubblica, ed entro quali limiti, spetti la potestà legislativa a norma dell’art. 117, Cost. l’interprete è tenuto preliminarmente ad individuare quale sia la materia dedotta ad oggetto della legislazione che regolamenta il “rendimento energetico nell’edilizia”.
Sebbene la normativa de qua regoli l’impiego del bene-energia nel settore edilizio (che funge, come chiarito, da mera occasio dell’intervento precettivo in esame) a tutela dei superiori valori dell’ambiente (con rifluenza indiretta pure sul fondamentale valore della salute) nonché dell’ecosistema e del risparmio, si deve riconoscere peso assorbente alla considerazione per cui assai difficilmente l’energia è fenomeno in grado di costituire una materia (‘atipica’) a sé stante, capace di azionare il residuale potere legislativo primario delle Regioni ex art. 117, co. 4, Cost.
Ciò perché, considerata la indeterminatezza dei confini all’interno dei quali sarebbe possibile racchiudere l’àmbito di autonoma rilevanza giuridica del concetto “energia”, è assolutamente illusoria l’idea – e vano sarebbe al fine ogni sforzo – di far assurgere la prima, categorizzandola, a materia in senso tecnico: invero la multiforme dimensione valoristica espressa dal concetto di “energia” è idonea a toccare trasversalmente un fascio eterogeneo e magmatico di interessi rispetto ai quali non potrebbero che darsi equivoche competenze legislative, con buona pace per ogni elementare esigenza di certezza del diritto.
Or dunque si conclude che, per valutare la materia cui fare riferimento al fine di una corretta indagine condotta sul dettato di cui all’art. 117, Cost., la legislazione in tema di energia si caratterizza per ricevere colore dal settore in seno al quale tale entità viene regolata, adottandosi un criterio discretivo di stampo prettamente ‘formale’.
Da tanto discende che il “rendimento energetico nell’edilizia” dev’essere ascritto alla materia del “governo del territorio” (composto dai settori, rispettivamente, dell’urbanistica e dell’edilizia), osservato, in ispecie, sotto il profilo dei bisogni energetici.
Sembra quindi corretto ricondurre la materia in tal modo individuata (non certo per amore di “tipizzazione[15]”) nell’alveo della cd. potestà ripartita, tra Stato e Regione, di cui al co. 3 dell’art. 117 Cost.
Sempre in via preliminare, si osserva, le Regioni sono investite, a mente dell’art. 117, co. 5, Cost., di un potere attuativo diretto, nelle materie di relativa spettanza, degli atti dell’U.E.
Ai sensi dell’art. 10, co. 3 della L. n. 11/2005 lo Stato può inoltre ‘surrogare’ le Regioni nel dare attuazione agli atti dell’U.E. per il caso di inerzia o ritardo delle seconde: nasce così il D.Lgs. n. 192/2005 (v. l’art. 17 che pone la cd. “clausola di cedevolezza”).
Perciò il D.Lgs. n. 192/2005, onde evitare lacune normative, è integralmente applicabile alle sole Regioni (e alle Province autonome) che non abbiano ancòra emanato una puntuale disciplina giuridica di dettaglio, ispirata ratione loci e tesa a recepire la direttiva comunitaria 2002/91/CE. Detta applicazione opera fino al momento in cui la normativa di attuazione regionale, una volta emanata, è entrata in vigore.
Le Regioni, nell’esercizio del potere legislativo di relativo appannaggio, devono osservare i valori fondamentali espressi tanto dall’ordinamento comunitario quanto dal D.Lgs. n. 192/2005 nonché dalla medesima Direttiva 2002/91/CE.
Entrata in vigore la legislazione regionale in tema di “rendimento energetico nell’edilizia” le relative disposizioni, valutate alla luce dell’art. 117 Cost. (senza che entri minimamente in gioco l’art. 1 delle “preleggi”), devono poi essere coordinate e, all’occorrenza, integrate con la disciplina del surriferito Decreto legislativo.
Il rapporto tra D.Lgs. e Legge Regionale deve quindi essere risolto, si è chiarito, in base al criterio della distribuzione delle competenze.
Ciò premesso ci si deve chiedere quid iuris qualora una data Regione, nell’approntare una disciplina integrale in tema di certificazione energetica, pubblichi una normativa che sancisce l’obbligo di allegazione della certificazione energetica agli atti di trasferimento oneroso (v., per es., Regione Lombardia: art. 25, co. 4-bis, L.R. 11 dic. 2006 n. 24 – dietro delibera della Giunta regionale 22 dic. 2998, n. 8745 -, successivamente modificata dalla L.R. 29 giu. 2009 n. 10).
In tale ipotesi evidenti imbarazzi agitano gli studiosi di settore poiché il D.Lgs. n. 192/2005 non prevede alcun obbligo di allegazione mentre, tal’ultimo, è prescritto, in ipotesi, dalla legislazione regionale.
Dev’essere sin d’ora stigmatizzato che l’obbligo di allegazione imposto dalla normativa regionale, pur non costituendo formulazione di un principio di legge, trasgredisce l’àmbito della relativa competenza concorrente nell’invadere quello occupato in via esclusiva dalla potestà legislativa dello Stato. Infatti detta ipotetica censurabile norma, nel prescrivere tale doverosità, lede le distinte attribuzioni legislative statali poiché dispone in materia di ordinamento civile, ingerendosi illegittimamente nell’area contrattuale (si versa in un caso non tanto di eccesso quanto, segnatamente, di abuso nell’esercizio della potestà legislativa, che pur non si disconosce per altro verso alla Regione in via secondaria).
L’obbligo di allegazione è infatti prescrizione che richiede l’intervento del legislatore statuale in quanto trae fondamento nei titoli “trasversali” di cui al cpv. dell’art. 117 della Carta fondamentale.
Tuttavia le conclusioni non mutano di segno nemmeno applicando l’istituto costituzionale del riparto di funzioni perché iI principio che governa il concorso della potestà legislativa concorrente della Regione con quella dello Stato impone di ritenere che spettano allo Stato le determinazioni rispondenti ad esigenze meritevoli di ricevere una disciplina omogenea ed uniforme su tutto il territorio della Repubblica mentre è compito della potestà legislativa secondaria della Regione la cura particolare del piano “attuativo” di dettaglio per la tutela di interessi funzionalmente connessi con quelli strettamente energetici (art. 117, co. 3, u.p., Cost.).
Difficile contrastare che l’allegato ad un contratto integra una formalità teleologicamente idonea a soddisfare primarie esigenze pubblicitarie, unitarie e generali di tutti i consociati, in conseguenza della intervenuta trascrizione del titolo riprodotto in copia conforme; non sarebbe perciò verosimile abbozzare che si tratti di una prescrizione in grado di soddisfare interessi meramente circoscritti alla realtà del territorio di una piuttosto che di un’altra Regione. L’evidenza pubblicitaria della circolazione dei diritti è valore di ordine pubblico interno necessariamente inscindibile se con la prima s’intende assicurare il più elevato grado possibile di razionalità al sistema giuridico nazionale nel rispetto degli interessi generalmente consegnati alle negoziazioni di diritto privato.
Detta allegazione è, di per sé, assolutamente inidonea a garantire con certezza che l’acquirente abbia avuto, nella sostanza, piena e corretta cognizione delle informazioni tecniche rappresentate da quel medesimo documento accessorio annesso all’atto principale (conformemente v. la Relazione illustrativa del D.Lgs. n. 122/2005 in ordine all’art. 6, co. 1, lett. d). Essa pertanto assolve a funzioni prettamente di evidenza circolatoria (assolutamente slegate da quelle, statiche, relative agli elementi essenziali della struttura della fattispecie), con aperta funzione di orientamento delle negoziazioni di mercato (avente rilievo di pubblicità-notizia: cfr. Trib. Napoli 21 dicembre 2006, App. Milano, sez. II civile, 22 novembre 2006 e App. Firenze 16 gennaio 1956).
La circostanza poi che il notaio dà atto che di tale allegato (sottoscritto ed approvato dalle parti) ne viene data lettura ai comparenti (quale attività non dispensabile, ex art. 51, co. 2, n. 8, u.p., L. Not., per volere dei contraenti – stante l’essenziale principio di informazione contenuto nel D.Lgs. n. 192/2005 -) è fatto rilevante a livello meramente negoziale (ciò interessando il piano del contratto inteso come ‘autoregolamento’), con prospettica incidenza nella dimensione processuale (quali àmbiti riconducibili, entrambi, al potere legislativo esclusivo dello Stato).
Ciò a significare che la previsione da parte della Regione dell’obbligo di allegazione della certificazione energetica ai negozi di diritto privato, pur non pregiudicando gli obiettivi perseguiti dal D.Lgs. n. 192/2005 e pur non contraddicendo i principi espressi dal riferito provvedimento materiale, di certo interferisce illegittimamente con la sfera di competenza costituzionalmente ‘riservata’, in materia, alla potestà statuale per interessare, in via diretta ed immediata, l’ordine del diritto civile (e dunque di quello processuale, per stessa necessità logica al primo conseguente).
Tale prescrizione, orbene, non è affatto armonizzabile, giusta una lettura costituzionalmente orientata, con il silenzio che sul punto ha inteso tenere il D.Lgs. n. 192/2005.
Infine qualora la Regione escluda l’allegazione della certificazione energetica per i trasferimenti del diritto pro quota indivisa (cfr., per es., l’art. 9, punto 9.5, della citata delibera della Giunta regionale 22 dic. 2008, n. 8745). Il punto non appare di grande momento, sotto l’aspetto pratico, in quanto lo stesso D.Lgs. n. 192/2005 nulla impone in termini di allegazione.
Tuttavia la disposizione regionale, benché di dettaglio, pare in tal modo ingerirsi in una materia assegnata alla competenza legislativa statuale esclusiva (art. 117, co. 2, lett. l), Cost.) e sembra altresì in contrasto con l’obbligo di dotazione presupposto alla consegna del documento (art. 6, co. 2-ter, D.Lgs. n. 192/2005), pro manibus, in favore dell’acquirente (l’obbligo di dotazione dell’A.C.E., infatti, rientra nelle competenze legislative regionali solo quando esso viene previsto od escluso – alla luce di valutazioni di “amministrazione, in senso lato, dell’edilizia” – unicamente in ragione delle specifiche caratteristiche tecnico-conformative di una data categoria di immobili e non anche, è intuitivo, in considerazione dell’esercizio privato del potere di godimento indiretto, ossia del potere di autonomia dispositiva).
Devono dunque restare invariate, pure per quest’ipotesi, le necessarie menzioni di cui all’art. 6, co. 2-ter del D.Lgs. n. 192/2005.
Il notaio, quale tutore della legalità, dovrà adoperarsi, ottemperando alla funzione cd. ‘antiprocessuale’ che tradizionalmente ne contraddistingue l’operato, affinché i contraenti siano informati, in modo esaustivo, delle regole vigenti in tema di certificazione energetica (in ordine ai diritti e agli obblighi dei contraenti), facendo emergere dall’atto che l’obbligo di dotazione è stato attuato dal disponente e menzionando la dichiarazione dell’acquirente di aver ricevuto specifiche informazioni nonché consegna di apposita documentazione (A.C.E.) relative alla certificazione energetica.
Quanto ai Pubblici Ufficiali che prestano ministero nell’àmbito territoriale di una Regione che prescrive l’obbligo di allegazione dell’A.C.E., sin tanto che la legge regionale non venga invalidata da una pronuncia di incostituzionalità, il notaio è obbligato, de iure condito, ad allegare quanto imposto dalla relativa normativa (ad integrazione del D.Lgs. n. 192/2005), essendo in facoltà, qualora la legge regionale lo consenta, di non ammettere l’A.C.E. al titolo quando quest’ultimo importi un trasferimento pro quota indivisa.
Questi, di fondo, i ‘costi’ del metodo di distribuzione delle competenze legislative disposto dall’ordinamento costituzionale italiano.
Avv. Luca Crotti
[1] Ricondotti, questi ultimi, dalla migliore dottrina civilistica nell’alveo delle mere entità ideologiche (cfr. M. ALLARA, Dei beni, Milano, 1984, 68) tra le quali sono ricompresi, benché, per una parte della dottrina, solo in taluni casi (per es.: nell’àmbito delle obbligazioni di dare in senso stretto o, il che è lo stesso, di trasferire), pure gli stessi diritti soggettivi (v. M. ALLARA, Le nozioni fondamentali di diritto civile, Torino, 1958, 280 e ss.).
[2] Contra, tuttavia, F. CARNELUTTI, Studi sulle energie come oggetto di rapporti giuridici, in Riv. dir. comm., 1913, 354 e ss.
In dogmatica non si è ancòra costituito un orientamento consolidato se possa essere considerata “bene” l’energia ‘genetica’ degli animali (con riguardo a quelli suscettibili, per loro natura, di un particolare utilizzo) in quanto questa sembra non potersi concepire come autonoma rispetto all’animale medesimo: la difficoltà consiste, in altri termini, nell’individuare una energia separatamente dall’azione che la produce.
In questo caso, or dunque, la sola “res” ravvisabile è rappresentata dall’animale stesso (cfr. C. MAIORCA, La cosa in senso giuridico, Napoli, 1937, 21, nota 2; per una moderna corrente di pensiero cfr. F. RESCIGNO, I diritti degli animali. Da res a soggetti, Torino, 2005 e G. BONFIGLIO, Il condominio e la colonia dei gatti randagi. Tasselli per un quadro dei diritti degli animali, in Studium Juris, 5, 2008; in giurisprudenza, v. Trib. Bologna 13.04.2011, SC n. 17991/2007, SC n. 21805/2007, Cass. pen. Sez. III, 21/09/2005, n. 35645, Cass. pen. Sez. III, 20/05/2004, Cass. pen. Sez. III, 26/11/2003, n. 977, Cass. pen. Sez. III, 16/10/2003, n. 46291 e Trib. Terni (Ord.), 29/06/2002; cfr. però le massime di Trib. Napoli, 21/05/1986, Cass. civ. Sez. III, 27/09/2004, n. 19318, Cass. civ. Sez. III, 29/10/2003, n. 16226, CC n. 14846/2007 e Trib. Sant’Angelo dei Lombardi, 12/01/2011).
[3] Si considerino, in proposito, le fondamentali necessità collegate alla tutela dell’ambiente (portanti ripercussioni, è sicuro, sul valore della salute – garantito, quest’ultimo, dall’art. 32, co. 1 della Carta Fondamentale -) capaci di stimolare la promozione di forme di esercizio “sostenibile” dell’agricoltura nonché idonee ad incentivare peculiari tecniche di sviluppo di fonti di energia rinnovabili, al fine di ottenere una riduzione delle emissioni di gas ad effetto cd. ‘serra’.
Con riferimento ai recenti mutamenti climatici causati, su scala planetaria, dal fenomeno degenerativo del cd. “riscaldamento globale” si rimanda al cd. “Protocollo di Kyoto” (adottato in Giappone in data 11 dicembre 1997 e in vigore con decorrenza dal 16 febbraio 2005), reso vincolante per gli Stati industrializzati appartenenti alla U.E. con determinazione del Consiglio dell’Unione Europea del 25 aprile 2002/358/CE (cfr. in G.U. n. 130, pubblicata il 15 maggio 2002) e ratificato dall’Italia con Legge 1 giugno 2002, n. 120.
[4] Cfr. CARNELUTTI, op. cit., 355.
[5] A riguardo, per l’individuazione dei soggetti certificatori, si rinvia alla disciplina transitoria prevista dal paragrafo 2 dell’allegato III del D.Lgs. n. 115/2008.
[6] Nella prospettiva della ‘garanzia’ formulata dall’art. 1381, c.c., cfr. Cass. civ. Sez. II, 12/12/2006, n. 26509, Cass. civ. Sez. II, 22/09/2000, n. 12556, Cass. civ. Sez. II, 17/12/1993, n. 12507, Cass. civ. Sez. II, 25/02/1987, n. 1991 nonché App. Firenze, 24/05/1991. Più netto l’orientamento espresso da Cass. civ. Sez. II, 29/08/2011, n. 17707, Cass. civ. Sez. II, 18/03/2010, n. 6548, Cass. civ. Sez. II, 27/11/2009, n. 25040, Cass. civ. Sez. III, 23/01/2009, n. 1701, Cass. civ. Sez. II, 04/12/2006, n. 25703 e Cass. civ. Sez. II, 26/01/2006, n. 1514. Relativistica la posizione assunta da Cass. civ. Sez. II, 31/05/2010, n. 13231, Cass. civ. Sez. II, 07/10/2008, n. 24729, Cass. civ. Sez. II Sent., 15/02/2008, n. 3851, Cass. civ. Sez. II, 22/11/2006, n. 24786, Cass. civ. Sez. II, 20/04/2006, n. 9253, Cass. civ. Sez. II, 29/03/1995, n. 3687 e Cass. civ. Sez. II, 23/02/1994, n. 1781. Oscillanti le soluzioni offerte in proposito dalla giurisprudenza di merito: v. Trib. Nuoro, 10/03/2011, Trib. Novara, 30/11/2010, Trib. Lodi, 22/07/2010, App. Roma Sez. II, 01/04/2010; Trib. Roma Sez. X, 06/07/2010, Trib. Bassano del Grappa, 26/06/2010, Trib. Monza Sez. IV, 17/05/2010, App. Potenza, 23/04/2010, Trib. Trieste, 25/01/2010, Trib. Salerno, 02/05/2009, Trib. Gela, 18/11/2008, Trib. Cagliari Sent., 15/02/2008, App. Napoli Sez. IV, 03/05/2007, App. Genova Sez. III, 18/06/2005, Trib. Ivrea, 01/06/2001 e Trib. Terni, 30/12/1999.
[7] Cfr. il cristallino pensiero del Prof. U. LA PORTA, Il patto di famiglia, Torino, 2007, 10 e ss.
[8] Cfr. Cass. civ. Sez. VI, 14/12/2010, n. 25222 (conforme alla pregressa Cass. civ. Sez. Unite Sent., 19/12/2007, n. 26724). Si richiama altresì l’articolo di R. ROMOLI, Brevi considerazioni in tema di certificazione energetica degli edifici – normativa nazionale, in Vita not., I, 2011, 160 e 161. Tuttavia in ordine allo scritto da ultimo citato si esprime più di una riserva sull’asserita “applicabilità” dell’art. 483, c.c. all’ipotesi di dichiarazione “non veritiera” resa dall’acquirente: la norma si limita ad escludere dalla accettazione della delazione – quale negozio (benché l’istituto sia più prossimo al mero atto giuridico) unilaterale inter vivos a contenuto patrimoniale (R. SCOGNAMIGLIO, Contratti in generale, Comm. Scialoja-Branca, artt. 1321-1352, Bologna-Roma, 1970, 58) – la rilevanza patologica dell’errore–vizio, destituendolo del requisito dell’essenzialità (mentre la riconoscibilità dell’errore è requisito di per sé escluso – giusta l’art. 1324, c.c. – dal carattere non recettizio dell’atto di accettazione ereditaria); tanto in ossequio al principio per cui “semel heres sempre heres” (che non viene invece vanificato da un eventuale errore-ostativo, rilevante in quanto non inerisce al procedimento di formazione del volere: G. GROSSO E A. BURDESE, Le successioni, Tratt. Vassalli, Torino, 1977, 296), ricavato dal combinato disposto che la norma in esame (art. 483, c.c.) forma con l’art. 475 c.c. In verità per sostenere che l’acquirente non è ammesso a far valere, nei confronti della controparte alienante, la falsità della dichiarazione resa in atto non è affatto conferente il richiamo alla suindicata disposizione dettata nella sedes materiae del mortis causa in quanto tale conseguenza discende, ex se, dai principi generali che conferiscono coerenza intrinseca all’intero sistema giuridico e che sono contenuti negli artt. 2, Cost., 1175, c.c. e 96, cod. di rito civ., quali norme espressive anche del principio di non contraddizione racchiuso nella massima del non ire contra factum proprium (arg. ex art. 12 preleggi: L. FERRI, Nozione giuridica di autonomia privata, in R.T.D.P.C., 1957, 189, nota 201); essendo comunque in facoltà dell’alienante, qualora maliziosamente aggredito in giudizio, opporre non solo, ricorrendone i presupposti (ex art. 1375, c.c.), una exceptio doli generalis seu praesenti al limitato fine di ottenere il rigetto dell’altrui proditoria pretesa (cfr., sul tema, L. NANNI, L’uso giurisprudenziale dell’exceptio doli generalis, in Contr. e impr., 1986, I, 197 e ss.; F. GAZZONI, Manuale di diritto privato, Napoli, 2006, 796 ed A. TRABUCCHI, Il dolo nella teoria dei vizi del volere, Napoli, 1937, 204 e 344 alla nota n. 3 – si consideri, per ogni debita proporzione, che l’a. scrive e professa sotto la vigenza del cod. civ. 1865 -) ma anche intentare simultaneamente una apposita causa, titolata ai sensi dell’art. 96, cod. di rito civ., per il ristoro dei sofferti eventuali danni, dipendenti e conseguenti (cfr. A. GUALANDI, Spese e danni nel processo civile, Milano, 1962, 301). Del resto è esatto, molto più frequentemente di quanto si possa prima facie ritenere, che “Per risolvere un problema giuridico basta la fisica e la logica di un ignorante”: CARNELUTTI, op. cit., 355.
[9] Si rimanda, in parte qua, al contributo monografico di U. LA PORTA, La responsabilità professionale del notaio, Torino, 2003.
[10] Cfr. A. MORANO – G. ALTAMURA, La certificazione energetica tra autonomia privata e ordine pubblico, in Riv. not., 2010, 77 nonché 83-87.
[11] Cfr., da ultimi, Trib. Milano Sez. X, 16/05/2011, Trib. Monza Sez. II, 05/05/2011, Cass. civ. Sez. I, 11/06/2010, n. 14056, Trib. Milano Sez. VII, 13/07/2010, Trib. Trapani Sez. lavoro Sent., 30/09/2009, Trib. Roma Sez. VIII Sent., 07/04/2009, Trib. Bologna Sez. II Sent., 03/11/2008, Trib. Milano Sez. X Sent., 12/06/2008, App. Napoli Sez. III, 03/04/2008 nonché Cass. civ. Sez. I, 18/06/2005, n. 13164, Cass. civ. Sez. III, 05/08/2004, n. 15040, Cass. civ. Sez. lavoro, 07/05/2004, n. 8723, Cass. civ. Sez. III, 10/10/2003, n. 15172, Cass. civ. Sez. Unite, 26/06/2003, n. 10160, Cass. civ. Sez. Unite (Ord.), 19/11/2002, n. 16319, Cass. civ. Sez. III, 04/03/2002, n. 3103, Cass. civ. Sez. Unite, 16/07/2001, n. 9645, Cass. civ. Sez. I, 29/04/1999, n. 4299, Cass. civ. Sez. I, 11/05/1990, n. 4051 e App. Firenze, 11/07/1988. Contra: Trib. Vicenza, 29/01/2009, Trib. Vicenza Sent., 15/06/2007, Trib. Arezzo, 26/03/2007, Trib. Genova Sez. VI, 22/03/2007, Trib. Padova, 30/03/2006, Cass. civ. Sez. I, 30/08/1995, n. 9157 e Trib. Milano, 06/11/1987.
[12] Cfr., per tutti, A. RICCIO, Culpa in contraendo e pactum de tractando: rimedio risarcitorio contro l’ingiustizia contrattuale, in Contr. e impr., 2006, 1448 ss. e R. PARDOLESI, I rimedi, Lezioni sul contratto, Torino, 2009, 123.
[13] In giurisprudenza, v. SC Sez. III 29 marzo 1999, n. 2956, CC Sez. I 29 settembre 2005, n. 19024, SC Sez. I 19 settembre 2006, n. 20260, Trib. Salerno 26/02/2011, Trib. Milano 11 gennaio 1988, App. Milano 2 febbraio 1990 e Trib. Ferrara 15 maggio 2006, n. 603.
[14] Cfr. M. GIORGIANNI, L’inadempimento, Milano, 1975, 39 e ss.
[15] Detto ‘metodo’ empirico (di “pronta liquidazione”) è stato riscontrato e denunziato, da parte della dottrina, nell’àmbito dell’esercizio delle funzioni ‘decidenti’: G. DE NOVA, Il tipo contrattuale, Padova, 1974, 3 e ss.