Sommario: 1. Introduzione. 2. La pendente vicenda dell’antitrust. 3. L’uso dello strumento disciplinare e il corretto approccio dell’avvocato. 4. I cinque grandi settori di attuale interesse deontologico. 5. Un excursus sulle più recenti pronunce giurisprudenziali.
Il titolo della relazione a me assegnata, “gli attuali e più discussi” profili della deontologia notarile, imporrebbe una relazione ad amplissimo spettro che, naturalmente, non potrebbe essere esaurita in questo contesto, nel quale pertanto, nei minuti disponibili, non potrò che limitarmi ad un’analisi solo di talune questioni, corredando l’intervento con l’illustrazione delle pronunce giudiziali più recenti.
La materia deontologica, ingenerosamente etichettata da taluni come ‘priva di qualsiasi valore scientifico’ (anche se, sul punto, non sarei così tranchant con i giudizi[2]), certamente riveste un ruolo di rilievo nell’agevolare l’individuazione delle più frequenti e importanti regole di etica professionale che, formalizzate all’interno di un codice speciale (allo stato, risalente all’anno 2008)[3], devono guidare l’agire quotidiano di chi esercita il difficile ministero notarile.
E La regola deontologica più importante, oggi più che mai, credo che sia, tra tutte, quella dell’autonomia[4] o, meglio, dell’indipendenza del professionista, tanto più fondamentale quanto più collegata ad un servizio di pubblica utilità.
Indipendenza, prerogativa invero di tutte le libere professioni, che viene messa sempre più alla corda dal legislatore moderno, il quale, se da un lato abolisce i minimi tariffari (appiattendo le differenze di intelligenza tra operatori giuridici ed aprendo ad un volgare mercimonio delle idee), dall’altro prescrive però lo “equo compenso”, imponendo ai clienti cd. “forti” (ossia a quelli che predispongono unilateralmente la convenzione che disciplina la relazione con il professionista[5]) di tener conto dei parametri ministeriali (sanzionando con la nullità il patto che non li rispetti).
Professione notarile che, anche al di là di queste considerazioni, versa oggi, storicamente, in una condizione di transizione e in uno stato di profondo mutamento, che, in realtà, scontenta tutti gli appartenenti alla categoria: i conservatori (nella veste dei “retrogradi”) e i pionieri (nella veste dei “guastatori”). E, probabilmente, la ragione più plausibile di malcontento e d’inquietudine che oggi affligge la categoria (oltre alla crisi economica che non ha risparmiato alcun settore della produzione dei servizi, tantomeno del notariato) credo risieda proprio nel fatto che si è consapevoli da dove si è partiti, ma non si conosce ancora quale potrà essere il ‘punto di caduta’.
La verità è che l’economia, con i “principi” che la governano, sta avendo ancora la meglio sui valori espressi dalle professioni intellettuali (racchiusi nel pregio concettuale dell’idea), che sfociano in prestazioni da sempre difficilmente stimabili sul piano economico proprio per la natura immateriale del pensiero: noi tutti svolgiamo un lavoro che vale, intrinsecamente, per l’intangibile opera di “creazione mentale”[6].
D’altronde – proprio perché “il mestiere più resistente ai cambiamenti” è “quello di sacerdote” e, al secondo posto, “quello di avvocato[7]” – le sfide che il Notariato è chiamato ad affrontare, soprattutto quando impegnative come quella in atto, devono essere utilmente lette come stimolo per gestire nel miglior modo possibile la ‘transizione verso il nuovo’. Ma per far questo occorre una grande duttilità, ciò che forse oggi si stenta a raggiungere.
Figlia dei nostri tempi, è la recente vicenda che ha visto protagonista l’Antitrust contrapposto ai Consigli notarili (in particolare, a quello di Milano)[8].
L’Autorità italiana Garante della Concorrenza e del Mercato (A.G.C.M.), in una recente relazione istruttoria[9] (C.R.I.[10] poi circolata presso gli studi professionali), ha espresso un orientamento che ha destato un grande scalpore nell’àmbito notarile, affermando l’Antitrust, all’esito della propria indagine, che i Consigli notarili, nello svolgimento dell’attività di vigilanza, non sono facoltizzati a richiedere, ai propri iscritti, informazioni di ampiezza significativa, indirizzando l’attività di “monitoraggio” su dati (concorrenzialmente) sensibili relativi al professionista (nell’effettuare, per es., un controllo dell’organizzazione di studio ovvero sull’attività economica per individuare i notai “maggiormente produttivi ed economicamente performanti”), come non sono legittimati ad assumere condotte ispirate da scopi dissuasivi o disincentivanti le condotte competitive dei P.U. (che, a livello europeo, sono diventati “imprese”)[11] in quanto i Consigli, nello svolgimento delle proprie indagini, devono perseguire concreti e dichiarati interessi di carattere generale (in primis: la tutela della qualità della prestazione notarile a protezione della collettività degli utenti), da cui esulerebbe il potere di restrizione della concorrenza tra i notai del Distretto (ossia l’intento anticompetitivo a protezione della categoria) poiché attività che l’Antitrust ha accertato essere stata svolta in violazione dell’art. 2, co. 2, l. n. 287/1990 (“Norme sulle intese, sull’abuso di posizione dominante e sulle operazioni di concentrazione”). In altri termini, i Consigli notarili sarebbero ‘associazioni di imprese’ e ad essi sarebbe vietato assumere decisioni restrittive della concorrenza, perché ciò sarebbe in contrasto con la legge antitrust.
Il Consiglio notarile di Milano, di contro, ha sostenuto che le “quote di mercato” non possono né debbono essere conquistate in conseguenza della “incapacità di ottenere il giusto corrispettivo per una prestazione di qualità ad alto valore aggiunto”. Il Consiglio notarile, sostiene che, nell’assumere un’iniziativa disciplinare, tutela un interesse di carattere generale e non regola servizi offerti sul mercato e quindi, a tale organismo, non può essere applicata la disciplina di garanzia del mercato.
Sul punto l’art. 93 ter, co. 1 bis della legge professionale (introdotto dal 01 gennaio 2018 con la modifica alla L. n. 205/2017) recita che “Agli atti funzionali al promovimento del procedimento disciplinare si applica l’art. 8, comma 2 della legge 10.10.1990, n. 287” (sulla cui base la disciplina antitrust, posta a tutela della concorrenza, non si applica ad alcune tipologie di imprese, in particolare a quelle che “che gestiscono i servizi di interesse economico generale[12]”, sottratte al potere di intervento sanzionatorio dell’A.G.C.M.)[13]. La norma, come pare evidente, tende ad escludere le azioni disciplinari dei Consigli dai possibili rilievi dell’Antitrust.
Invece, per l’Antitrust italiano, si tratta di una disposizione, ai fini in esame, “irrilevante”, in quanto dev’essere interpretata alla luce del dettato costituzionale e della vigente disciplina antitrust di matrice comunitaria (normativa e giurisprudenziale – Corte di Giustizia della U.E. -). Quindi i Consigli non devono, né possono, adottare condotte e/o imporre regole antitrust, che limitino la concorrenza tra notai.
Nell’acceso dibattito sul tema, si è detto che l’esenzione in favore dei Consiglio notarili sarebbe “antistorica”, “frutto di una bieca operazione di lobbying a protezione di antichi privilegi non più giustificati nel mondo economico moderno e che generano un costo inefficiente per imprese e consumatori”.
Una recente ordinanza di Corte d’appello (App. Milano, 14/03/2018) ha affermato, nell’esame dei rapporti tra Notariato e Antitrust, che “i principi della concorrenza e del mercato […] devono ritenersi inapplicabili agli organi del Consiglio notarile, che, quando esercitano la funzione disciplinare, non regolano l’attività economica svolta dai notai nell’offrire servizi sul mercato, ma, con prerogative tipiche dei pubblici poteri[14], adempiono, in sostanza, ad una funzione sociale fondata sul principio di solidarietà”. La Corte conclude che “le norme di tutela della concorrenza e del mercato non si applicano, ai sensi dell’art. 8, co. 2, l. n. 287 del 1990, ai Consigli notarili distrettuali che assumono l’iniziativa disciplinare, atteso che, limitatamente all’esercizio della vigilanza, essi non regolano i servizi offerti dai notai sul mercato, ma esercitano prerogative tipiche dei pubblici poteri”. Perciò, con la recente modifica normativa, il legislatore “ha inteso emanare una norma di interpretazione autentica di una previsione già vigente” e per questo applicabile anche al periodo anteriore alla sua stessa entrata in vigore.
Corte d’appello, quindi, che, in definitiva, di fronte al tentativo del ricorrente P.U. di fermare la decisione giurisdizionale, ha stabilito che il procedimento disciplinare non può essere intaccato dalle decisioni dell’Antitrust.
È notizia di ieri che l’Agcm ha predisposto un’ordinanza con cui l’ente ha proposto direttamente ricorso incidentale alla Consulta, ed è la prima volta per le Authority, contro il cit. art. 93 ter, co. 1 bis, L.N., ritenendola norma costituzionalmente illegittima per violazione dell’art. 41, Cost. (libertà di iniziativa economica).
A me pare, prima di tutto, che vi possa essere un problema di legittimazione, se è vero che la Q.L.C. può essere sollevata da un “giudice nell’àmbito di un giudizio” (l’Agcm afferma in proposito, facendosi forte di talune pregresse interpretazioni largheggianti della Consulta, di essere soggetto indipendente ed imparziale, che opera nell’àmbito di un procedimento assistito dalle garanzie del contraddittorio).
Allo stato non è dato sapere quale sarà l’esito finale di questa querelle – assai delicata, perché capace di influenzare il ruolo stesso dei notai all’interno della società – e non è certo improbabile che, a tal fine, dovrà attendersi l’esito di una coda giurisdizionale di una lite che si preannuncia come condotta ‘allo scontro totale’ (secondo il consueto iter: T.A.R., Consiglio di Stato e Cass.)[15].
Certo è che, se nella netta prevalenza dei casi i Consigli esercitano in modo cristallino il mezzo disciplinare, talvolta, soprattutto con taluni iscritti particolarmente “scomodi”, è anche capitato che le iniziative disciplinari siano state utilizzate in modo strumentale[16] (ma non ci si deve per questo indignare o stupire … le istituzioni sono formate da uomini, che operano con tutti i pregi e i difetti che l’essere umano concentra).
Se ne ravvisano, nella recente casistica, ipotesi piuttosto eclatanti, come ad esempio:
Certo è che i procedimenti disciplinari in Co.Re.Di. sono tutto tranne che una forma di giustizia “addomesticata” (d’altronde, quantomeno a monte, un dato è certo: il Consiglio è organo composto da notai che operano in diretta concorrenza con gli iscritti soggetti al loro controllo[17]).
Questo, tuttavia, non deve incentivare gli avvocati, quando incaricati da un cliente del notaio di contestare l’operato di quest’ultimo, ad entrare ‘a gamba tesa’ nei confronti del P.U.
Infatti, la fase dialogica tra avvocato (legale del supposto danneggiato) e notaio (presunto danneggiante) conserva le sue regole di ingaggio e cadrebbe in gravissimo errore il Collega che scrivesse al P.U., come mi è anche capitato di assistere nella pratica professionale, contestandogli l’inadempimento, invitandolo ad avvisare l’assicurazione e minacciandolo, in caso contrario, di depositare un esposto disciplinare presso il Consiglio di appartenenza (cfr. art. 9, co. 1, cod. deont. forense).
L’avvocato deve avvisare il notaio, se possibile prima a voce, del danno che lamenta il cliente, riferire se l’episodio è ritenuto rilevante anche sul piano deontologico e lasciare all’iniziativa del P.U. l’espletamento degli gli incombenti assicurativi (al creditore, certamente in questi casi, non deve interessare da quale soggetto provenga in concreto la provvista necessaria al ristoro della lesione).
Sapete tutti, del resto, che il piano della responsabilità professionale è distinto e autonomo da quello della responsabilità deontologica, anche se, a volte, le due dimensioni possono anche viaggiare all’unisono (Trib. Milano, 25/04/2014: in cui il Giudice, nel valutare la condotta del P.U. convenuto in giudizio, ha affermato che “si ritiene provato che il notaio abbia violato gli obblighi professionali imposti dalla legge oltre che dal suo codice deontologico e ciò abbia fatto quantomeno con colpa grave […] anzi inducendo il sospetto di dolo”).
Le aree maggiormente coinvolte dalle questioni disciplinari notarili, riguardano i seguenti aspetti:
Al di là delle specifiche ipotesi che si rinvengono, in tema di lealtà fiscale, nell’esperienza giudiziale[21], la spersonalizzazione della prestazione[22] (art. 2232, c.c.) è spesso collegata al procacciamento d’affari e ai cd. “attifici” (termine che evoca l’idea della fabbrica di atti, e dunque di una catena di montaggio[23]).
Il tema è a voi tutti, certamente, più che noto, e non è perciò il caso di soffermarci sul punto (sappiamo che il procacciamento, nelle sue versioni più spinte, arriva a rendere dominus, ossia ‘notaio di fatto’, il procacciatore, quantomeno a livello economico, mentre il notaio perde indipendenza e onore economico, mantenendo però ogni responsabilità – si consideri, tuttavia, che per la prova del reclutamento della clientela la più autorevole dottrina notarile richiede la dimostrazione di un preciso mandato conferito dal P.U. al procacciatore: P. BOERO, La legge notarile commentata, II, 1993, Torino, 147 -)[24].
In proposito mi limito solamente a segnalare, in questa sede, che per una Corte d’appello (App. Palermo, 15/12/1978) “L’espressione “ricevere un atto”, usata dalla legge notarile, va intesa non nel senso di accettare materialmente un documento, bensì in quello di indagare la volontà delle parti, interpretarla ed esprimerla in forma giuridica in modo che possa conseguire gli effetti voluti dalle parti stesse”. La massima pare ovvia, ma la fantasia dei legali, a volte, si spinge oltre ogni più fervida immaginazione.
Quanto alla gestione del denaro altrui viene oggi in rilievo il “deposito prezzo” (l. 4 agosto 2017, n. 124), previsto a tutela (prevalentemente) di chi compera (l’acquirente ha la facoltà di chiedere di effettuare presso il notaio il deposito del prezzo sino ad avvenuta trascrizione dell’atto di compravendita[25]) e il “conto corrente dedicato” (oltre a quello ‘ordinario’ di studio) in cui confluiscono i tributi dei clienti da versare all’AdE. Si tratta di somme (non tanto “separate” dal patrimonio generale del notaio quanto) gravate, a certi effetti (successori, familiari ed esecutivi[26]), da un vincolo di indisponibilità ex lege (dove peraltro la traditio del denaro è collegata con la funzione pubblica)[27].
In ordine alla “sede[28]”, vi sono casi in cui la Co.Re.Di. Piemonte e Valle d’Aosta (con la decisione n. 7/2016) ha sanzionato il notaio, a fronte di una medesima condotta, per violazione dell’art. 26, co. 2, L.N. e poi, dopo l’oblazione (ex art. 145 bis, L.N.), per la violazione dell’art. 147, co. 1, lett. c), L.N. sull’assunto che le due norme tutelino differenti beni (l’interesse generale al regolare funzionamento dell’ufficio notarile, la prima, e la concorrenza, la seconda).
In realtà si è in presenza di un bis in idem pieno in quanto l’art. 26, co. 2, L.N. dev’essere letto in stretta connessione sistematica, non con gli altri commi della medesima disposizione (unificati sotto uno medesimo articolo solo in quanto dedicato agli uffici), ma con gli artt. 82 e 27, co. 2, L.N. in quanto la ratio che unifica queste norme è quella di definire i limiti di liceità della concorrenza tra Notai, sanzionandone gli abusi per sconfinamento territoriale.
Solo come effetto indiretto, le norme in esame, possono concorrere (con gli altri commi dell’art. 26, L.N.) a tendere vincolato il notaio al proprio studio principale.
Nel medesimo senso depone anche la recente l. n. 124/2017 che con l’art. 1, co. 144, lett. d), nel novellare l’art. 82, L.N., ha inserito, al co. 3 di tal ultima disposizione, un espresso richiamo al cpv. dell’art. 26, L.N.
Esiste perciò tra le due disposizioni a raffronto, a mente dell’art. 9, l. n. 689/1981, un concorso formale per cui la sanzione comminata dalla norma speciale (art. 26, cpv.) esaurisce i profili di punibilità assorbendo quelli prescritti dalla norma generale (cit. art. 147).
A mio parere, una delle più rilevanti sentenze emesse di recente in materia deontologica è stata Cass. Sez. Un., 26/10/2017, n. 25457 sulla cui scorta: “Secondo una lettura sistematica, l’art. 147 l. not., che è posto a chiusura del Capo 2 della Legge Notarile, ha la funzione di definire i comportamenti sanzionabili, identificando i precetti la cui violazione determina una inesatta esplicazione della funzione notarile. L’art. 136 l. not. (come modificato dal D.Lgs. n. 249 del 2006), invece, definisce le due sanzioni meno gravi. In particolare, la sanzione dell’avvertimento è posta a tutela dei medesimi beni giuridici garantiti dall’art. 147 l. not., ma per fattispecie meno gravi, come per i comportamenti occasionali o isolati di cui alla lettera b) della disposizione citata, ovvero per condotte che riconducibili alle lettere a) e c) della medesima norma, siano caratterizzate dalla lievità. Né il disposto dell’art. 136 l. not. può essere letto come limitato alla sfera di operatività dell’art. 144 l. not., perché il concetto di maggiore levità del fatto è ontologicamente diverso dall’ipotesi attenuata dell’illecito.”. In altri termini “L’art. 136, legge n. 89/1913, non si applica solo quale sanzione minore per gli illeciti per la cui violazione siano riconosciuta, rispetto alla sanzione edittale della censura, le attenuanti generiche di cui all’art. 144”.
Perciò avvertimento e censura sono sanzioni tra loro perfettamente autonome che si applicano in considerazione della maggiore o minore lievità dell’infrazione commessa, pur se a mente dell’art. 147, L. Prof.
Ci sarebbe poi da discutere sulla correttezza di quanto recentemente sancito da Cass. civ. Sez. II Sent., 03/02/2017, n. 2927 per cui alla “sanzione disciplinare […] non può attribuirsi natura sostanzialmente penale”, e questo, evidentemente, per disapplicare la pronuncia C.E.D.U. emessa nel caso “Grande Stevens” ai fini del riconoscimento in favore del notaio del ne bis in idem e per disattendere la pronuncia C.E.D.U. relativa al caso “Scoppola” alla luce dalla quale si può sostenere l’estensione in favore del notaio del cd. favor rei[29].
Per me la destituzione è e resta, nella sostanza, una ‘condanna a morte’ professionale, ma evidentemente in Cassazione non la pensano così.
Tende ad evitare odiosi paternalismi Cass. sez. III civ., 24/10/2017, n. 2511 nella parte in cui afferma che “Non sussiste la responsabilità professionale del notaio che abbia omesso di indicare la presenza di vincoli limitativi della proprietà su immobili trasferiti mediante atto da lui rogato quando sia provato che il contraente interessato a tale informazione conosceva certamente dell’esistenza di quei vincoli (nella specie per averli costituiti), non ravvisandosi in tale ipotesi né la violazione del dovere di diligenza qualificata previsto dall’art. 1176, c.c., da doversi comunque interpretare alla stregua del canone generale di buona fede, né il nesso di causalità tra l’omessa informazione e la stipulazione dell’atto traslativo”.
Meno rigido è l’ultimo orientamento dei giudici di legittimità in tema di responsabilità professionale del P.U. quanto all’accertamento dell’identità personale del comparente: la Cass. sez. I civ., 30/11/2017, n. 28823 ha ammesso che il notaio possa maturare la propria certezza su tale requisito sulla scorta di ‘plurimi elementi’, pur senza che al professionista sia stato esibito direttamente l’originale del documento di identità del comparente (ma contra: Cass. sez. III civ., 12/05/2017, n. 11767).
Sulla non necessità di sottoscrizione, ex art. 51, n. 12, L.N., degli attestati di prestazione/certificazione energetica: Co.Re.Di. Trentino-Alto Adige, Friuli-Venezia Giulia e Veneto, n. 83/2016.
In tema di abitabilità dell’immobile, Cass. civ. Sez. III, 13/06/2017, n. 14618 sancisce che: “Deve essere esclusa la responsabilità del notaio per non aver verificato la veridicità della dichiarazione di abitabilità dell’immobile compravenduto nel caso in cui l’acquirente, successivamente al perfezionamento del negozio di compravendita, si avveda della parziale non abitabilità dello stesso. Il dovere di consiglio che incombe sul professionista non si estende sino all’esame di questioni tecniche, differenti dalle questioni di natura giuridica, che richiederebbero delle competenze ingegneristiche in capo al notaio stipulante tali da consentirgli di valutare autonomamente se l’immobile compravenduto sia o meno effettivamente abitabile.”.
Si richiama Cass. sez. III civ., 25/10/2017, n. 25357 per cui “In tema di responsabilità professionale, va sospeso dall’esercizio della professione il notaio che menziona come atto di provenienza di una donazione un verbale di deposito di testamento olografo in fotocopia. Il professionista, infatti, ha violato il dovere di verifica preventiva della sostanziale sussistenza o meno della legittimazione a disporre di un bene. L’attività è stata quindi svolta senza fornire le indicazioni necessarie per l’inquadramento dell’atto nella vicenda giuridico-temporale, avendo del tutto omesso di inquadrare la fattispecie alla luce dell’assenza di un titolo di acquisto”.
Nel panorama delle massime edite, si trovano inoltre, tra le altre, le seguenti pronunce:
la violazione di questo precetto, peraltro, si rivela particolarmente grave poiché risulta in aperto contrasto con la fondamentale prerogativa di giurisdizione preventiva che connota il ministero notarile (il richiamo è alla cd. funzione anti-processuale che è chiamato ad assolvere il P.U.);
Non mi risulta che sia configurabile un illecito disciplinare a sé stante rappresentato dall’abuso del diritto all’esposto, anche se credo che il tema meriterebbe una più attenta valutazione.
Ma prima di chiudere, mi sia consentita solo un’ultima considerazione, sempre sul tema – a me particolarmente caro – dell’indipendenza del professionista.
Nell’esercizio della professione mi è capitato di imbattermi in un atto di autentica notarile nel corpo del quale il P.U. ha scritto quanto segue: “Prima delle sottoscrizioni” i comparenti “hanno dichiarato di aver fatto redigere l’intero documento così autenticato da operatori del diritto di loro fiducia, di averlo letto dispensandone me notaio e di accettarlo integralmente con tutti gli errori, incongruenze, omissioni e imprecisioni che io stesso ho fatto loro notare”.
Ebbene è sufficiente in proposito rammentare (al di là dell’abuso delle clausole di esonero da responsabilità) che, per Cass. civ. Sez. III, 03/03/2010, n. 5065, “Incorre nella violazione dell’art. 147, comma 1, lett. a) e b), l. not. (in relazione agli artt. 1, comma 2, 22, 27, 41, 42 e 49 Codice deontologico) il notaio che […] immette nell’ordinamento un atto privo di completezza e chiarezza e inidoneo a regolare efficacemente i rapporti fra le parti, che restano, conseguentemente, esposte a molteplici rischi giuridici.”.
Luca Crotti, Avvocato in Milano
[1] Il presente contributo riassume una relazione svolta l’8 maggio 2018, in Milano, presso l’Aula Magna del Palazzo di Giustizia, in un convegno intitolato “Riflessioni deontologiche e disciplinari nelle professioni giuridiche”, organizzato dall’Ordine degli avvocati di Milano e dal Consiglio notarile dei Distretti Riuniti di Novara, Vercelli e Casale Monferrato.
[2] Ritengo che la scientificità della materia, quando si verte in materia di diritto, derivi dal metodo con cui la si approccia, e non dai contenuti in sé della disciplina che l’operatore giuridico è chiamato ad applicare (è infatti possibile confezionare un’opposizione a contravvenzione stradale argomentando dalla teoria del procedimento amministrativo di Sandulli).
[3] Anche se già esiste, in proposito, un progetto di riforma.
[4] Nel senso di “assenza di vincolo di subordinazione” (d’altronde il termine “intellettuale” si riferisce, tradizionalmente, alle professioni “liberali”).
[5] E solo per questo oggi, di fatto, la questione non riguarda ancora i Notai.
[6] Oggi non è più in dubbio, per faticosa conquista del codice civile del 1942, che il lavoro intellettuale sia suscettibile di valutazione economica (ex art. 1174, c.c.) e che possa essere dedotto ad oggetto di un contratto sinallagmatico (essendo certo che la gratuità della prestazione può derivare solo da una espressa rinuncia al compenso da parte del professionista, che vive del suo lavoro).
Ma un tempo, nel diritto romano, le operae liberales erano ‘rapporti atipici non patrimoniali’ al punto che si riteneva intercorresse, tra professionista e cliente, un mandato gratuito e il compenso si leggeva come un regalo del cliente (compiuto in segno di onore e gratitudine: honorarium). Da qui l’idea, malsana, che il professionista intellettuale operava, in modo disinteressato, per meri fini altruistici. Addirittura, sotto il c.c. del 1865, vi è stato chi, rifiutando di ravvisare la ricorrenza di un contratto (pur se gratuito), ha risolto le due prestazioni (del professionista e del cliente) a due autonome obbligazioni naturali (art. 2034, c.c.).
[7] Cfr. “Il Sole 24 ore” del 7 maggio 2018, pag. 9.
Del resto, anche la posizione di avvocato sta transitando verso una figura a metà tra il principe del foro (sempre più virtuale) e un ingegnere informatico e gestionale (con competenze tutte ancora da apprendere): Richard Susskind (futurologo statunitense).
È notizia recente che in Canada, da circa un anno, si stanno sperimentando i tribunali online, con buona pace di chi apprezza ancora l’intelligenza naturale e fatica ad interfacciarsi con quella invece artificiale.
[8] Vicenda in cui si è verificato di tutto: dalle denunce anonime all’Authority, all’usurpazione di nomi, senza esclusione di colpi.
[9] Avviata dall’Agcm nel gennaio del 2017.
[10] Acronimo con cui si indica la “Comunicazione delle Risultanze Istruttorie”.
[11] T.A.R. Lazio Roma Sez. I, 01/04/2015, n. 4943: “Sono considerate imprese, ai fini specifici della tutela della libera concorrenza, (anche) gli esercenti le professioni intellettuali che offrono sul mercato, dietro corrispettivo, prestazioni suscettibili di valutazione economica (L. n. 287/1990, legge antitrust).”; T.A.R. Lazio Roma Sez. I, 16/02/2015, n. 2688: “Ai fini specifici della tutela della libera concorrenza la nozione di “impresa”, alla quale occorre fare riferimento per l’applicazione della L. n. 287/1990 (legge antitrust), è quella risultante dal diritto comunitario e si riferisce a tutti i soggetti che svolgono un’attività economica e, quindi, siano “attivi” in uno specifico mercato. Per questo sono ormai considerate “imprese”, ai fini specifici della tutela della libera concorrenza, anche gli esercenti le professioni intellettuali che offrono sul mercato, dietro corrispettivo, prestazioni suscettibili di valutazione economica.”; T.A.R. Lazio Roma Sez. I, 25/02/2011, n. 1757: “La nozione di impresa ai fini antitrust può essere integrata anche da enti che, secondo gli altri rami del diritto, non configurerebbero delle imprese dal punto di vista giuridico-formale, essendo la nozione di impresa cui occorre fare riferimento per l’applicazione della legge n. 287 del 1990 quella risultante dal diritto comunitario, che si riferisce a tutti i soggetti che svolgano un’attività economica e, quindi, siano attivi su un determinato mercato, dovendo per l’effetto essere quindi considerati imprese ai fini specifici della tutela della libera concorrenza anche gli esercenti le professioni intellettuali, dal momento che la loro attività consiste nell’offerta sul mercato dietro corrispettivo di prestazioni suscettibili di valutazione economica.” ovvero “Nell’ambito della nozione di impresa cui occorre fare riferimento per l’applicazione della legge n. 287 del 1990 – risultante dal diritto comunitario e riferita a tutti i soggetti che svolgono un’attività economica, come tali attivi su un determinato mercato – anche gli esercenti le professioni intellettuali devono essere considerati imprese ai fini specifici della tutela della libera concorrenza, dal momento che la loro attività consiste nell’offerta sul mercato dietro corrispettivo di prestazioni suscettibili di valutazione economica, mentre i relativi ordini professionali devono essere ritenuti associazioni di imprese, direttamente contemplate dall’art. 2, comma 1, della legge n. 287 del 1990 tra i soggetti destinatari dei divieti, da tale legge previsti, di accordi o pratiche restrittive della concorrenza.”; App. Milano, 29/09/1999: “La disciplina antitrust riguarda anche gli esercenti professionali intellettuali , cui va applicata la nozione di impresa ai sensi dell’art. 85 del trattato Ce. Inoltre, lo svolgimento di funzioni pubblicistiche da parte degli enti professionali non vale a sottrarne l’operato al vaglio delle regole sulla concorrenza.”.
[12] E sia consentita la provocazione: solo per gli “atti funzionali” all’azione disciplinare (come prevede la legge) e non anche per quelli (postumi) “esecutivi” dei provvedimenti disciplinari (rispetto ai quali ultimi risorgerebbe dunque il potere dell’AGCM di aprire un procedimento per infrazione delle regole della concorrenza o di impugnare direttamente gli atti esecutivi ex art. 21-bis l. n. 287/1990) ?
[13] Anche se, prima del Legislatore, già i giudici di legittimità erano giunti ad affermare, in via interpretativa (e quindi anche per il passato), che l’attività disciplinare dei Consigli distrettuali notarili rientrava nelle funzioni di cui all’art. 8, co. 2, l. antitrust: “Le norme in tema di tutela della concorrenza e del mercato non si applicano, ai sensi dell’art. 8, comma 2, della l. n. 287 del 1990, ai Consigli notarili distrettuali che assumano l’iniziativa del procedimento disciplinare, atteso che, limitatamente all’esercizio della vigilanza, essi non regolano i servizi offerti dai notai sul mercato, ma adempiono una funzione sociale fondata su un principio di solidarietà, affidatagli dalla legge, ed esercitano prerogative tipiche dei pubblici poteri.” (Cass. civ. Sez. II, 05/05/2016, n. 9041).
[14] Corte di Giust., 19/02/2002, causa C-309/99 Wouters e altri v. Algemene Raad va de Nederlandse Orde van Advocaten.
[15] Già si registra, in proposito, una prima pronuncia emessa il 01 giugno scorso dal T.A.R. Lazio (sentenza n. 6105/2018) con cui i Giudici togati hanno confermato la linea adottata dall’antitrust, determinando la soccombenza del Consiglio notarile dei distretti riuniti di Roma, Velletri e Civitavecchia in conseguenza di un contegno, pesantemente anticoncorrenziale, adottato nei confronti di un iscritto.
[16] Dissente sul punto G. Sicchiero, Il procedimento disciplinare notarile, Torino, 2017, 83 (nel commentare quanto da me già in precedenza segnalato: L. Crotti, I temi deontologici più attuali analizzati alla luce delle più recenti pronunce emesse in materia notarile, in questa Rivista, I, 2017, 507).
[17] Si consideri poi, a valle, che la Co.Re.Di. è composta, in maggioranza, dagli stessi notai, pur se appartenenti allo stesso Distretto del notaio incolpato (art. 151, co. 1, L.N.): Cass. sez. II civ., 31/01/2017, n, 2526 prevede che “La natura amministrativa e non giurisdizionale della Co.Re.Di. esclude l’applicabilità dei principi di imparzialità e terzietà per la costituzione degli organismi investiti dell’attività giurisdizionale […]”.
[18] Mero disordine contabile del notaio.
[19] Il cd. scolonnamento.
[20] Il reiterato omesso o tardivo versamento delle imposte dovute.
[21] Si ricorda, in tema di lealtà fiscale, Cass. sez. II civ., 31/01/2017, n. 2526: “In tema di sanzioni disciplinari dei notai, la condotta consistita nella reiterata emissione di fatture irregolari a fronte di anticipazioni di spese inesistenti integra solo la fattispecie di illecita concorrenza di cui all’art. 147, lettera c), della l. notarile, in relazione all’art. 14 del codice deontologico – che include la suddetta condotta tra le ipotesi tipiche di illecita concorrenza – mentre resta assorbita, sulla base del concorso apparente di norme, quella di cui all’art. 147 lettera b), della l. cit., consistente nella non occasionale, ma ripetuta, violazione delle norme deontologiche elaborate dal Consiglio nazionale del notariato, sempre in relazione al medesimo art. 14 cod. deontologico, giacché le disposizioni, di legge e deontologiche, hanno ad oggetto il medesimo fatto”.
App. Milano, 01/08/2017: “L’esposizione in numerose fatture di anticipazioni esenti IVA non documentate, a fronte di compensi estremamente ridotti e talvolta pari a zero, costituisce violazione dell’art. 14, lett. a), codice deontologico e dell’art. 147, lett. a), b) e c), l. not. (nella formulazione antecedente alle modifiche introdotte con L. n. 124/2017).”.
[22] Che riguarda il divieto, o meglio, l’eccesso di delega delle funzioni notarili ai collaboratori di studio pur se relativa ad attività di carattere routinario o seriale.
[23] È di oggi, trovandosi pubblicata su “Il sole 24 ore” (pag. 26), la notizia che Cass. n. 10872/2018 ha sospeso per 7 mesi un notaio per eccessivo carico di lavoro, con conseguente spersonalizzazione della prestazione (in ispecie: 3.489 atti nell’anno 2014, con una media di 16 atti al giorno, conteggiando anche il tempo di redazione delle postille).
[24] Sia consentito il rinvio a L. Crotti, op. cit., in questa Rivista, I, 2017, 499, ss.
[25] Ma il “deposito prezzo” può essere utile anche qualora il bene sia gravato da una formalità pregiudizievole (pignoramento o ipoteca pregressa) o in caso di bene soggetto a prelazione legale o in caso di immobile non agibile ovvero in ipotesi di immobile non libero da persone o cose o anche in caso di debiti del venditore (per es.: oneri condominiali).
[26] Impignorabili, anche da parte dei creditori del venditore.
[27] Sia consentito il richiamo a L. Crotti, L’accusa e la difesa del notaio sottoposto a procedimento disciplinare, in questa Rivista, III, 2017, 1543, ss.
[28] Sul tema della sede si richiama App. Milano, 24/05/2017, per il quale “La stipula di numerosi atti in un luogo diverso dalla sede e dall’ufficio secondario equivale ad apertura di un (ulteriore) ufficio secondario, la cui omessa comunicazione al Consiglio Notarile costituisce violazione dell’art. 147, lett. b), l. not. e dell’art. 12 codice deontologico, nella quale resta assorbita la violazione dell’art. 26 l. not. L’art. 147, lett. b), l. not. è, infatti, norma speciale rispetto all’art. 26 l. not., sia perché prevede sanzioni (censura, sospensione, destituzione) maggiormente afflittive rispetto alla seconda (sanzione pecuniaria da euro 30 ad euro 240), sia perché punisce infrazioni non occasionali.”.
[29] Ricordiamo che l’art. 147, co. 1, lett. c), L.N. è stato parzialmente abrogato (nella parte in cui incolpava il notaio per aver fatto illecita concorrenza servendosi “di qualunque altro mezzo non confacente al decoro e al prestigio della classe notarile”) dall’ art. 1, co. 144, lett. f), l. n. 124/2017 (e si è in presenza di una vera e propria abolitio criminis da cui può discendere, in favore di un notaio che si trovasse nelle more del disciplinare, l’applicazione dell’art. 2, c.p. in quanto “nessuno può essere punito per un fatto che, secondo una legge posteriore, non costituisce violazione punibile”).
[30] In materia di impresa, il cd. storno è fatto illecito ex art. 2598, n. 3, c.c.