Sommario: 1. Introduzione. 2. Il cd. “attificio” e le varie forme di rastrellamento della clientela. 3. I profili di indipendenza della professione autonoma. 4. La prescrizione (estintiva) dell’illecito disciplinare e il dies a quo. 5. Taluni aspetti processuali di rilievo. 6. I rapporti tra la normativa europea e quella interna a rilevanza disciplinare.
Buon giorno a tutti i presenti e i miei ringraziamenti all’amico Cagnacci, oltre al Presidente notaio Cafagno, per aver organizzato un convegno su un tema, quello deontologico/disciplinare, così affascinante e di così grande attualità e rilevanza.
Nella vasta materia della deontologia professionale rilevano attualmente, per il notariato, cinque grandi aree nell’àmbito delle quali, analizzando il corso delle vicende disciplinari degli ultimi anni, i Pubblici Ufficiali hanno ricevuto le più frequenti contestazioni da parte dell’organismo di vigilanza di categoria[1]:
Innanzitutto si ricorda che la materia deontologica, positivizzata dal Consiglio Nazionale del Notariato (C.N.N.) con la raccolta di disposizioni incriminatrici sfociate nel codice ultimo approvato del 5 aprile 2008, contempla delle regole di condotta che, pur se non avendo fonte in atti normativi formali, sono giuridicamente rilevanti (parla espressamente di “norme giuridiche obbligatorie”: Cass. civ. Sez. Unite, 23/03/2004, n. 5776) e rispetto alle quali[2] i profili etici della vicenda ne costituiscono il naturale substrato poiché, pur se estranei al settore dell’economia, sono, di contro, parte integrante del mondo del diritto[3].
L’illecito anche in sede disciplinare deve essere ascrivibile (almeno) a titolo di colpa all’autore del fatto (non a caso il Pubblico Ufficiale riveste il ruolo di soggetto “incolpato” dal Consiglio), con la conseguenza che, anche per il notaio, l’errore sulla liceità del fatto deve ritenersi rilevante (e scriminante) qualora esso risulti incolpevole, dovendosi tuttavia desumere il necessario profilo di non colpevolezza dell’errore stesso da elementi positivi idonei ad indurre il professionista all’illecito contestato e non ovviabile con l’uso dell’ordinaria diligenza.
E ricordiamo anche che “Gli illeciti disciplinari del notaio, se pure atipici, debbono comunque essere almeno tali da rientrare nelle previsioni di cui alle lettere a), b) o c) dell’art. 147 della legge professionale” ([4]).
Il notaio, che può costituirsi anche personalmente e svolgere le proprie difese senza l’assistenza di un avvocato (art. 156-bis, l. not.), non può trincerarsi dietro il paravento della tutela della privacy per evitare di fornire i documenti richiesti dal competente Consiglio notarile (che è organismo di natura pubblica: Cass. civ. Sez. III, 30/11/2006, n. 25504).
Procedimento disciplinare che, sulla falsariga del sistema sanzionatorio penale applicabile per analogia, è governato dal “fondamentale principio della correlazione tra l’accusa e i fatti addebitati nel provvedimento sanzionatorio” (Cass. civ. Sez. III, 29-03-2003, n. 4843)[5], risultando “quindi, preclusa al giudice disciplinare la irrogazione di una sanzione per fatti diversi da quelli contestati” (Cass. civ. Sez. III, 15-07-1998, n. 6908).
“In tema di giudizi disciplinari (in ispecie nei confronti di notaio), lo stesso fatto può essere legittimamente valutato alla luce di differenti disposizioni di legge anche in due separati e successivi giudizi, potendo costituire una pluralità di violazioni disciplinari formalmente concorrenti[6]. Unico limite è che, nel primo procedimento, non sia stata esclusa la sussistenza del fatto materiale o la partecipazione della persona imputata.”: Cass. civ., 20/04/1963, n. 977.
Naturalmente “Il collocamento a riposo del notaio (per sopraggiunto limite di età, n.d.a.) sottoposto a procedimento disciplinare, sopravvenuto prima del passaggio in giudicato della pronuncia sulla sanzione disciplinare, comporta la cessazione della materia del contendere e, quindi, l’inammissibilità, per sopravvenuto difetto di interesse, del ricorso per cassazione proposto contro la sentenza emessa in sede di reclamo dalla corte di appello, con conseguente caducazione della sentenza stessa” (così è per ripetuta massima: Cass. civ. 11/05/2015, n. 9481 e Cass. civ. 13/05/2012, n. 4001).
Taluni in particolare, tra i settori sopra richiamati, risultano maggiormente ‘caldi’: il riferimento corre, oltre alla cattiva gestione del denaro altrui[7] e tralasciando per ora i temi della ‘residenza’ del notaio (dove la sede secondaria[8], in cui magari il notaio vive, è più organizzata di quella principale assegnatagli nella quale ultima si dovrebbe registrare una prevalenza di lavoro[9] e conseguentemente di atti[10])[11] e delle possibili contestazioni di carattere fiscale (in punto di fatturazione, secondo il climax ascendente: anomala[12], irregolare[13] ed infedele[14])[15], alla necessità del requisito della “personalità della prestazione” (obbligo peraltro anche civilistico a mente dell’art. 2232, c.c.) e a quello, spesso collegato, del “procacciamento d’affari”.
Quelli sopra evidenziati, naturalmente, non escludono la ricorrenza di altri casi, talvolta anche originali, che è dato riscontrare nella pratica quotidiana, come ad es.:
Le due succitate pronunce di merito leggono, in modo condivisibile, l’inciso “non occasionale” (non tanto come nozione quantitativa in sé considerata, quanto come espressiva di habitus del notaio e quindi) come differente da “non accidentale” (espressione, quest’ultima, che renderebbe invece sanzionabile anche una violazione isolata, se compiuta in mala fede).
D’altronde l’obbligo di informativa tra colleghi, previsto dal cit. art. 20, cod. deont., “sorge solo quando tra il notaio e il collaboratore altrui si sia già formata la volontà di procedere all’assunzione o ad iniziare la collaborazione”: Cass. civ. Sez. VI, 20/12/2011, n. 27767;
“Il notaio che, a fronte delle prestazioni professionali rese, percepisce in modo costante e sistematico compensi inferiori ai minimi tariffari, secondo i criteri stabiliti dal Consiglio Notarile, incorre nella violazione dell’art. 147, comma 1, lett. c), legge 16 febbraio 1913, n. 89 (legge notarile), per aver posto in essere illecita concorrenza nei confronti degli altri Colleghi del Distretto. È priva di fondamento, infatti, la tesi secondo cui, per effetto del c.d. decreto Bersani, sarebbe stata abrogata l’obbligatorietà dei minimi della Tariffa notarile. E ciò perché l’abrogazione dell’obbligatorietà dei minimi tariffari disposta dal citato decreto Bersani, genericamente riferita alle libere professioni, non riguarda la professione notarile che si distingue da tutte le altre per la sua forte connotazione pubblica. Peraltro, sul punto, non può essere trascurato che, successivamente al decreto Bersani, è entrato in vigore l’art. 30, D.Lgs. n. 249/2006, con cui è stato riformulato l’art. 147, comma 1, lett. c), l. not., ai sensi del quale la sistematica riduzione da parte del notaio di onorari, diritti e compensi continua a costituire illecito disciplinare”: App. Bari, 31/08/2011;
“La riduzione sistematica e persistente degli onorari può costituire presupposto per l’accaparramento di clientela tale da rappresentare una violazione della deontologia professionale ed un contegno disdicevole per la professione notarile in riferimento all’attività esercitata anteriormente all’entrata in vigore delle disposizioni di cui all’art. 2 del D.L. n. 223/2006”: Cass. civ. Sez. III, 15/04/2008, n. 9878;
d’altronde “Si rende responsabile dell’illecito disciplinare previsto dall’art. 147, L. 16 febbraio 1913, n. 89, per illecita concorrenza ai colleghi, il notaio che rinunzi totalmente ai compensi per una pluralità di atti al fine di trarre maggiori vantaggi economici attraverso l’affidamento di più lucrosi incarichi professionali futuri (nella specie, il professionista aveva rinunciato totalmente al compenso per più atti posti in essere a richiesta di imprenditori edili e aveva successivamente rogato numerose compravendite di appartamenti da loro costruiti).”: Cass. civ. Sez. III, 28/07/2004, n. 14227;
Sul tema si veda anche Cass. civ. Sez. III, 06/02/1995, n. 1372 per cui “Il notaio il quale annoti atti (nella specie protesti cambiari) su un registro sfornito della prescritta vidimazione (nella specie intervenuta successivamente) incorre nella contravvenzione di cui agli art. 62, 64 e 138 della legge notarile ( l. 16 febbraio 1913 n. 89), per mancata annotazione di atti sul repertorio a norma del citato art. 62 (e non in quella di irregolare tenuta del repertorio), dato che può essere qualificato come repertorio, ai sensi della legge notarile, solo il registro che, come previsto dall’art. 64, prima di essere posto in uso sia stato numerato e firmato in ciascun foglio dal capo dell’archivio notarile competente.”;
in questi casi la difesa ha davvero pochissimo spazio di movimento, soprattutto a fronte di un ritardo sistematico nella pubblicità degli atti, potendosi limitare alle “scuse” (che sappiano essere espressione di un effettivo pentimento del P.U.) e, in caso di danno, dall’essersi operato (in funzione riparatrice) per la rimozione delle conseguenze della propria condotta ciò rilevando (cd. “ravvedimento operoso” ex art. 144, co. 1, legge notarile) ai fini della concessione del beneficio rappresentato dalle circostanze attenuanti specifiche (Cass. civ. Sez. II, 12/02/2014, n. 3203 e App. Firenze, 20/07/2012): certamente sconsigliata è una temeraria resistenza sorretta da una odiosa e cieca difesa “ad oltranza”;
la violazione di questo precetto, d’altronde, si rivela particolarmente grave poiché risulta in aperto contrasto con la fondamentale prerogativa di giurisdizione preventiva che connota il ministero notarile (il richiamo è alla cd. funzione anti-processuale che è chiamato ad assolvere il P.U.);
Tuttavia esistono anche dei casi, e sono molto più frequenti di quanto si possa pensare, in cui il Consiglio notarile calca infondatamente la mano.
Errata è quindi l’idea, che potrebbe sorgere in coloro che osservano dall’esterno, in ordine alle modalità di conduzione dei giudizi disciplinari come forme di giustizia “addomestica”.
Si danno infatti casi di formulazione degli addebiti che, per la genericità ed astrattezza, non consente di individuare specifici comportamenti disciplinarmente rilevanti.
In queste ipotesi, limitandosi l’accusa ad affermare che il notaio svolge la professione “in modo incompetente e scorretto”, “non è possibile l’applicazione dell’art. 147, lett. a) e b), Legge notarile e la richiesta di procedimento deve essere dichiarata improcedibile, con conseguente proscioglimento del notaio [ingiustamente, n.d.r.] incolpato” (Cass. civ. Sez. II, 04/04/2014, n. 8036; conforme, sulla necessaria specificità dell’addebito, è anche Cass. civ. Sez. II, 31/01/2014, n. 2145).
Tra le pronunce favorevoli al notaio merita di essere segnalato il provvedimento per cui “In tema di procedimento disciplinare a carico del notaio, in applicazione del principio fondamentale “nemo tenetur se detegere“, il notaio non può essere costretto a rendere dichiarazioni in seguito alle quali possa essere successivamente esposto a un procedimento sanzionatorio”: Cass. civ. Sez. III, 13/07/2004, n. 12906 (la sentenza afferma che, in un sistema che riconosce rilevanza alle cause di giustificazione, il rifiuto di rendere dichiarazioni, scritte od orali, “autoindizianti” è, da parte del notaio, esercizio di un diritto, sebbene richieste dal Consiglio notarile nell’ambito delle sue funzioni di vigilanza e controllo).
In proposito si ritiene che il dovere di collaborazione con il Consiglio è violato (con autonomo illecito disciplinare) solo quando il notaio, con la sua condotta, sostanzialmente ostacoli l’attività istruttoria, per es. non fornendo la documentazione richiesta genericamente dall’organismo di appartenenza, ma non anche quando si rifiuti di assecondare richieste maliziose del Consiglio il cui riscontro possa sottendere un riconoscimento di responsabilità da parte dello stesso P.U. (in questo caso, difatti, la sanzione deriverebbe dall’ammissione del notaio più che dai risultati dell’indagine del Consiglio notarile)[21].
Il tema indicato in epigrafe non interessa, direttamente, molti studi notarili ma coinvolge, in via mediata, l’intera categoria professionale.
Quello che nel settore viene comunemente marchiato, con terminologia evidentemente dispregiativa, come “attificio”, ossia come “fabbrica di atti” che poco ha da spartire con le professioni intellettuali e molto invece condivide con l’impresa e le sue logiche produttive (catene di montaggio), è un fenomeno che, almeno di regola, si collega direttamente a due specifici comportamenti illeciti: la spersonalizzazione della prestazione da parte del P.U. e il procacciamento d’affari in favore di quest’ultimo.
In proposito si ricorda, per la giurisprudenza, che:
“L’elevato numero di atti stipulati in ridotti margini di tempo non costituisce, a carico del notaio, prova dell’esecuzione delle prestazioni secondo sistematici comportamenti frettolosi o compiacenti e della conseguente violazione dell’art. 147, legge n. 89/1913, in relazione all’art. 14, comma 1, lett. b), Codice deontologico. Ed infatti, considerato che, ai fini della configurazione dell’illecito in esame, occorre fare riferimento, non soltanto alla fase della stipula del dell’atto, ma all’esecuzione della prestazione nel suo complesso, comprensiva dell’attività propedeutica alla stipula stessa, l’Organo promotore del procedimento non può limitarsi a richiamare il numero di atti ricevuti dal notaio incolpato in ridotti margini di tempo, ma ha l’onere di ancorare l’addebito a precise risultanze probatorie.”: Cass. civ. Sez. II, 24/04/2013, n. 10042 (la pronuncia, in sostanza, afferma che un elevato rendimento, se conseguenza di un’efficiente sistema di lavoro, esclude la negligenza del P.U.).
“L’elevato numero di atti stipulati in ridotti margini di tempo (nella specie, ricavabili dall’orario di sottoscrizione di un atto e l’orario di sottoscrizione dell’atto successivo) non costituisce, a carico del notaio, prova dell’inosservanza del principio di personalità della prestazione e, segnatamente, di una frettolosa indagine della volontà delle parti. Infatti, ai fini della configurazione di un simile illecito, occorre fare riferimento, non soltanto alla stipula dell’atto, ma all’esecuzione della prestazione nel suo complesso, comprensiva dell’attività propedeutica alla stipula stessa. E ciò, tanto più se si considera che, in assenza di norme che impongono comportamenti diversi, l’indagine della volontà delle parti e la redazione materiale dell’atto ben possono avvenire in un momento precedente alla stipula.”: App. Ancona, 29/05/2010.
“L’elevato numero di atti stipulati in ridotti margini di tempo non costituisce, a carico del notaio, prova dell’inosservanza del principio della personalità della prestazione e della violazione dell’art. 147, comma 1, lett. b), l. not. – legge 16 febbraio 1913, n. 89 – in relazione agli artt. 36 e 37 del Codice deontologico. E ciò in quanto, ai fini della configurazione dell’illecito, occorre fare riferimento, non soltanto alla stipula dell’atto, ma all’esecuzione della prestazione nel suo complesso, comprensiva dell’attività propedeutica alla stipula stessa, nella quale, come precisato dal Cnn nei protocolli sull’attività notarile in generale, il notaio deve effettuare gli adempimenti ricompresi nel principio della personalità della prestazione, tra cui l’indagine della volontà delle parti.”: App. Milano, 24/11/2010. E così è anche per Appello Genova, 01/04/2009.
Del resto il fenomeno degli “attifici” riguarda studi notarili nei quali, in assoluta prevalenza, vengono ricevuti atti di compravendita e mutuo, fattispecie rispetto alle quali il rigore della indagine della volontà delle parti è notevolmente attenuato dalla stessa semplicità del ‘voluto’ sotteso all’operazione (appuntandosi l’indagine notarile sull’eventuale regime coniugale delle parti, sull’applicazione delle agevolazioni “prima casa”, sull’esistenza o meno di intermediatori, sui dati edilizio-urbanistici nonché, oltre al connaturale giudizio di legalità degli atti, sul tipo di finanziamento previsto nelle bozze predisposte dalle stesse banche erogatrici del credito: tutti dati, in prevalenza documentali, relativi, per il resto, a mere dichiarazioni di scienza).
La contemporanea giurisprudenza di merito conferma il dato per cui l’odierno sistema normativo notarile “consente al P.U. […] la delega a collaboratori qualificati dell’attività preparatoria, considerando infungibile e non delegabile la sola attività di accertamento della volontà negoziale” la quale “può avvenire contestualmente al rogito” soprattutto per quegli atti non complessi, che rappresentano la quasi totalità di quelli ricevuti dal notaio, dove la causa in concreto del negozio coincide con il tipo legale del contratto: App. Genova, 03/04/2013.
Ma questo è solo il risultato di un non breve iter interpretativo che, almeno in origine, è stato assai più severo nei confronti del P.U.:
“Incorre in responsabilità professionale, con conseguente applicazione della sanzione disciplinare, il notaio che redige troppi atti se non riesce a dimostrare di aver avuto il tempo effettivo di leggerli tutti, essendo irrilevante il fatto che vi sia un ottimo supporto organizzativo del team di studio. La legge n. 89/1913, art. 47 statuisce che “il notaio indaga sulla volontà delle parti” e sotto la propria direzione e responsabilità cura “la compilazione integrale dell’atto”, cui è strettamente connessa la lettura, atteso che è in questa fase, contrassegnata dalla contemporanea presenza delle parti, che emerge il riscontro finale della corretta individuazione di tale volontà e dell’adeguata trasposizione nel testo predisposto” (…). Pertanto, la frettolosità è incompatibile con l’attività notarile ed essa è ben deducibile presuntivamente allorquando il tempo dedicato alla formazione dell’atto non sia sufficiente neppure alla lettura integrale dell’atto stesso. In questo caso è onere del notaio provare la corretta esecuzione delle varie operazioni”: Cass. civ. Sez. VI, 21/12/2011, n. 28023 (la prova della negligenza notarile può essere desunta, anche in via presuntiva, dal semplice numero degli atti rogati quando tale da far ritenere che il tempo teoricamente dedicato alla formazione di ciascun di essi non sia neppure sufficiente a darne integrale lettura).
“La vigente normativa non prescrive una sequenzialità diretta tra le fasi di indagine della volontà delle parti, di redazione dell’atto e di lettura dello stesso da parte del notaio, sicché tali adempimenti possono, in linea di principio, eseguirsi anche in modo intermittente, ossia con intervalli tra l’uno e l’altro. Tuttavia, qualora il lasso di tempo intercorrente tra l’orario di sottoscrizione di un atto e l’orario di sottoscrizione dell’atto successivo, ricevuti nella medesima giornata, sia talmente ridotto da apparire insufficiente alla lettura del secondo, si può presumere che il notaio abbia violato il principio di personalità della prestazione (artt. 47, comma 2, legge 16 febbraio 1913, n. 89 – legge notarile – e artt. 36 e 37 del Codice deontologico). Per effetto di tale presunzione, e della conseguente inversione dell’onere della prova, spetta in questo caso al notaio dare dimostrazione della correttezza deontologica del proprio operato.” (Cass. civ. Sez. VI, 13/10/2011, n. 21202).
Sempre sulla presunzione tra elevato numero di atti ricevuti giornalmente e mancata personalità della prestazione del P.U.: Cass. civ. 21/12/2011, n. 28023.
“Costituisce illecita concorrenza ai colleghi il comportamento del notaio sistematicamente frettoloso, emergente dalla inadeguatezza dei pochi minuti dedicati alla formazione di ciascuno dei verbali di assemblea dei soci di società di capitali, insufficienti anche alla lettura dei nuovi statuti approvati.”: Cass. civ. Sez. III, 10/04/2008, n. 9353.
Quanto alla spersonalizzazione della prestazione, in tema di art. 47, L. Not. (divieto, o meglio, eccesso di delega delle funzioni notarili ai collaboratori di studio pur se relativa ad attività di carattere routinario o seriale), si segnalano le seguenti pronunce:
“I doveri del notaio, di audizione delle parti, di informazione delle stesse, di imparzialità ed equidistanza dalle medesime, vanno adempiuti dal professionista sia prima che dopo la stesura dell’atto da leggere alle parti. Deve escludersi che il notaio possa sistematicamente delegare, al compimento delle suddette attività, propri collaboratori senza incorrere in responsabilità disciplinare. Invero, costituisce illecito deontologico il comportamento del professionista che proceda al mero accertamento della volontà delle parti ed alla direzione nella compilazione dell’atto, omettendo di interessarsi delle attività preparatorie e successive necessarie ad assicurare e garantire la serietà e la certezza degli effetti tipici dell’atto e del risultato pratico perseguito, incorrendo in tal caso, nella violazione dell’art. 22 del d.lgs. n. 249 del 2006”.
“Ai fini disciplinari, il notaio deve svolgere personalmente tutte le funzioni attribuitegli dall’ordinamento nel ricevimento degli atti, con specifico riguardo all’individuazione della volontà delle parti, incluse le attività preparatorie e le successive, non potendo delegare per intero ai collaboratori tali attività sulla base del loro carattere “routinario” o “seriale””: Cass. civ. Sez. II, 04/04/2014, n. 8036.
“E’ punito con la sanzione disciplinare della censura il notaio che ometta di osservare l’obbligo di indagare personalmente e direttamente la volontà delle parti, delegando tale funzione ai propri dipendenti, e dando al proprio studio un’organizzazione più simile a quella di un’impresa piuttosto che a quella che sarebbe stata consona ad uno studio notarile”: Cass. civ. Sez. III, 18/05/1994, n. 4866.
“L’espressione “ricevere un atto”, usata dalla legge notarile, va intesa non nel senso di accettare materialmente un documento, bensì in quello di indagare la volontà delle parti, interpretarla ed esprimerla in forma giuridica in modo che possa conseguire gli effetti voluti dalle parti stesse”: App. Palermo, 15/12/1978.
In ordine al procacciamento d’affari, invece, si riferiscono i seguenti provvedimenti:
ai fini di ravvisare la fattispecie illecita (per essere non occasionale) sono “indispensabili sia l’opera del terzo che indirizzi al notaio un certo numero di clienti, sia un atteggiamento attivo del notaio, sicché ne sia turbato il corretto esercizio della funzione pubblica, alterando il momento della libera scelta del professionista da parte dei potenziali clienti”: Cass. civ. Sez. III, 24/07/1996, n. 6679 (per tal ultima pronuncia, peraltro, è “del tutto irrilevante che l’opera di procacciamento sia stata svolta dal terzo anche in favore di altri notai”).
“Il contratto che intervenga fra un notaio e il titolare di un’agenzia di affari, avente ad oggetto l’apporto da parte del primo dell’attività professionale necessaria alla redazione di atti occorrenti a detta agenzia, e l’assunzione da parte del secondo, oltre che degli oneri inerenti a locali, beni strumentali e personale, anche del procacciamento stabile di clienti per il notaio medesimo, al fine di una ripartizione dei relativi proventi, è nullo, a norma dell’art. 1418 c. c., per contrasto con norme imperative di legge, atteso che esula dalla mera associazione fra professionisti, nei limiti consentiti dall’art. 82, l. 16 febbraio 1913, n. 89 sull’ordinamento del notariato, od in genere dalla disciplina della l. 23 novembre 1939, n. 1815, e si traduce nella creazione, in forma societaria, di una struttura imprenditoriale per l’esercizio della professione notarile, in violazione dell’inderogabile principio del carattere personalissimo della professione stessa, nonché dell’impossibilità di associarvi soggetti privi delle prescritte qualità ed abilitazioni.”: Cass. civ., 11/12/1985, n. 6271 (ipotesi di nullità per illiceità della causa di quel contratto stipulato tra notaio e soggetti estranei alla professione per la gestione in comune di uno studio notarile al fine di dividerne gli utili).
“Il notaio che, al fine di incrementare la propria clientela, si serve dell’opera di un procacciatore di affari (nella specie, un collega cessato dall’esercizio delle funzioni), versandogli, come corrispettivo, una percentuale sull’incasso, incorre nella violazione dell’art. 147, comma 1, lett. b), legge n. 89/1913 (legge notarile), sia in relazione all’art. 17 del previgente codice deontologico, che in relazione all’art. 31 del codice deontologico vigente. In particolare, la prova dell’accordo economico intercorso tra il notaio ed il procacciatore può considerarsi raggiunta anche in difetto dell’acquisizione delle fatture emesse dal secondo nei confronti del primo. Qualora, infatti, il notaio abbia invocato l’esame di detta documentazione, al fine di dimostrare la liceità della propria condotta, è suo onere, anche in base al c.d. principio di vicinanza della prova (ossia all’effettiva possibilità, per l’una o per l’altra parte, di offrire la prova del proprio assunto), curarne la produzione in giudizio.”: Cass. civ. Sez. VI, 23/03/2012, n. 4721.
Invero questa modalità di reclutamento della clientela, di non semplice dimostrazione, non può essere provata dal Consiglio attraverso semplici illazioni ma necessita, al fine di non sovvertire i fondamentali principi garantisti ai quali deve attenersi la commissione giudicante anche in considerazione della gravità della pena che ne discende, di una rigorosa prova in termini di certezza sulla reale esistenza di un preciso mandato conferito dal P.U. a titolo di procacciamento di affari: così è pacificamente sin da Cass. civ., 10/08/1963, n. 2274 (nonché, per la più autorevole dottrina notarile di settore, P. BOERO, La legge notarile commentata, II, 1993, Torino, 147).
Certo, gravi imbarazzi possono creare quelle situazioni in cui, da un angolo di osservazione prettamente economico, il procacciatore guadagna, pure se al lordo, più del notaio, risultando, da una analisi della situazione sul versante economico, un’inversione dei ruoli e della relazione gerarchica di studio (indi abusivo), apparendo il procacciatore una sorta di “notaio di fatto” (dominus) e il notaio relegato al ruolo di subalterno, potendone risultare addirittura minata la stessa indipendenza del P.U.
Ma anche una evidente concentrazione di designazioni verso un dato notaio, a maggior ragione in periodi di crisi economica, è (co)elemento che può condurre a ritenere consumato lo sviamento di clientela da parte di banche, intermediari o professionisti (Coredi Piemonte e Val d’Aosta, 14/01/2013, n. 10120)[22].
Accaparramento di clienti che avviene, è dato riscontrare, non solo mediante l’attività di procacciamento di affari affidata ad un terzo (è il caso, per esempio, del notaio che promette ad un’agenzia immobiliare un compenso per ogni atto destinato allo studio notarile e di consulenza gratuita per tutte le esigenze dell’agenzia: Cass. civ. Sez. III, 29/11/1991, n. 12883) ma pure in esito a (“equivalenti”) fenomeni usurpativi dell’altrui nome: “Rischia di essere sospeso il notaio che usa il nome di un vecchio studio per accaparrarsi la clientela e per poi stipulare nel suo” (Cass. civ. Sez. III, 04/01/2010, n. 3); ovvero anche mediante “la reiterata e sistematica riduzione degli onorari al di sotto del minimo tariffario”: Cass. civ. Sez. III, 18/03/2008, n. 7274 ([23]); e il procacciamento può inoltre darsi, si registra nella pratica, anche quando “Il notaio, che a titolo gratuito presta la sua opera in una fase preparatoria nella prospettiva dell’incarico per la stipula di atti successivi, pone in essere l’illecito disciplinare previsto dall’art. 147 della legge notarile che vieta al notaio di fare ai colleghi illecita concorrenza tentando di ampliare la propria clientela con riduzione di onorari o diritti accessori (nella specie, il notaio aveva redatto gratuitamente allo IACP alcuni atti al fine di procurarsi clienti nell’ambito della gestione dell’istituto).”: Cass. civ. Sez. III, 18/05/1994, n. 4866.
Si trova scritto che “È punito con la sanzione disciplinare della censura il notaio che subdolamente, con mezzi scorretti e sleali, ponga in essere manovre di accaparramento di clientela che l’iniziativa del consiglio notarile intendeva scoraggiare.”: Trib. Torino, 29/03/1993.
“In materia di responsabilità disciplinare dei notai, l’art. 147 della legge notarile individua con chiarezza l’interesse meritevole di tutela nella salvaguardia della dignità e reputazione del notaio nonché del decoro e prestigio della classe notarile, individuando altresì la condotta idonea a ledere l’interesse tutelato e, in particolare, sanzionando come illecita la concorrenza effettuata con riduzioni di onorari, diritti o compensi, o servendosi dell’opera di procacciatori di clienti, di richiami o pubblicità non consentiti dalle norme deontologiche, o di qualunque altro mezzo non confacente al decoro e al prestigio della classe notarile; quindi, la norma, rispettosa del principio di legalità, non vieta la concorrenza tra i notai (la cui liceità, anzi, implicitamente riconosce), ma ne vieta le forme illecite, perché lesive del decoro e del prestigio della classe notarile”: Cass. civ. Sez. VI, 23/03/2012, n. 4721.
Gli spesso trascurati problemi relativi alla indipendenza della professione notarile, e di quella libera intellettuale tutta, è stata messa in evidenza in un editoriale recentemente apparso sulla prima pagina del sito internet della rivista giuridica trimestrale online ‘Libero Osservatorio Del Diritto’ (lodd.it n. 4/2016).
Al di là del divieto “di ogni interferenza tra professione ed affari” posto al paragrafo 1 del vigente codice deontologico (per cui vi è incompatibilità dell’ufficio di notaio con la professione di commerciante, di mediatore, agente di cambio o sensale con conseguente impedimento di qualsiasi commistione tra l’attività notarile e quella commerciale[24]), il breve saggio stigmatizza la illegittimità del contegno del notaio che denoti, di fatto, l’elezione da parte del P.U., a proprio esclusivo interlocutore, di uno solo dei comparenti, con violazione del dovere di equidistanza, rispetto agli interessi della parti, che deve colorare l’opera del notaio permeandola ab intrinseco[25].
Inoltre lo stesso saggio compie un rinvio ad un atto di autentica notarile, che si può rinvenire allegato all’editoriale in www.lodd.it, nel corpo del quale il notaio autenticante dichiara che “Prima delle sottoscrizioni” i comparenti “hanno dichiarato di aver fatto redigere l’intero documento così autenticato da operatori del diritto di loro fiducia, di averlo letto dispensandone me notaio e di accettarlo integralmente con tutti gli errori, incongruenze, omissioni e imprecisioni che io stesso ho fatto loro notare”.
Ebbene è sufficiente in proposito rammentare (al di là dell’abuso delle clausole di esonero da responsabilità) che “Incorre nella violazione dell’art. 147, comma 1, lett. a) e b), l. not. (in relazione agli artt. 1, comma 2, 22, 27, 41, 42 e 49 Codice deontologico) il notaio che […] immette nell’ordinamento un atto privo di completezza e chiarezza e inidoneo a regolare efficacemente i rapporti fra le parti, che restano, conseguentemente, esposte a molteplici rischi giuridici.”: Cass. civ. Sez. III, 03/03/2010, n. 5065.
Alla luce di quanto sopra si auspica, per l’avvenire, di non doversi più imbattere in certi abomini giuridici come quello in commento, di modo che la dignità della professione, presso tutti gli operatori di settore, sappia recuperare quell’indipendenza, oggi soprattutto dal cliente e per esso dal relativo danaro, che istituzionalmente ne deve caratterizzare la più intima essenza.
Assai rilevante, per delimitare i contorni temporali della responsabilità deontologica del notaio, è individuare con esattezza il dies a quo cui riferire l’inizio del corso del termine prescrizionale il quale ultimo, una volta giunto a maturazione, renderebbe improcedibile l’azione disciplinare contro il P.U. (Cass. civ. Sez. Unite, 08/04/1991, n. 3658)[26].
Sul punto dispone l’art. 146, L. not. il quale afferma, al co. 1, che “L’illecito disciplinare del notaio si prescrive in cinque anni decorrenti dal giorno in cui l’infrazione è stata commessa ovvero, per le infrazioni di cui all’art. 128, co. 3, commesse nel biennio, dal primo giorno dell’anno successivo”.
Il co. 2 della citata disposizione prevede i casi di interruzione, il co. 3 disciplina la causa di sospensione e il co. 4 regola la prescrizione dell’esecuzione della condanna.
Di conseguenza il principio giurisprudenziale affermato in subiecta materia è del seguente tenore:
“Il termine di prescrizione dell’azione disciplinare nei confronti dei notai decorre dalla commissione del fatto, indipendentemente dalla sua concreta conoscibilità e conseguente pratica perseguibilità”: Cass. civ. Sez. II, 20/02/2013, n. 4275 (che non fa quindi applicazione della norma generale di cui all’art. 2935 cod. civ. ma di quella speciale prevista dall’art. 146 della legge professionale).
Pur anche se intuitivo, non è comunque inutile ricordare che “In tema di prescrizione degli illeciti disciplinari dei notai, l’art. 146 della legge 16 febbraio 1913, n. 89, nella sua formulazione originaria, continua a trovare applicazione ai fatti commessi anteriormente alla entrata in vigore (28 agosto 2006) della modifica introdotta dall’art. 29 del d.lgs. 1 agosto 2006, n. 249, in ragione di quanto stabilito dalla norma transitoria di cui all’art. 54 dello stesso d.lgs. n. 249. Infatti, il testo originario dell’art. 146 prevede una disciplina più favorevole all’incolpato, posto che le nuove disposizioni dispongono, invece, l’allungamento del termine prescrizionale dell’illecito da quattro a cinque anni e, diversamente dal regime precedente, attribuiscono efficacia interruttiva alla richiesta di apertura del procedimento disciplinare”: Cass. civ. Sez. III, 29/01/2010, n. 2031.
Di conseguenza Cass. civ. Sez. VI – 3, 14/03/2013, n. 6487 afferma che “La prescrizione dell’azione disciplinare nei confronti del notaio (che non è interrotta dalla contestazione delle infrazioni, dalla pronuncia del Consiglio notarile o da quella dell’autorità giudiziaria) può essere rilevata d’ufficio anche in sede di legittimità: in tal caso, deve essere cassata senza rinvio l’eventuale sentenza di condanna pronunciata dal giudice di merito, senza nessuna possibilità per la Corte di cassazione di esaminare i motivi di ricorso” ([27]). Così anche è per Cass. civ. 10/05/2002, n. 6732.
Certo è che, per i professionisti che si sentono sicuri della legittimità del loro operato, è anche configurabile una rinuncia alla prescrizione della violazione deontica: “In assenza di espressa previsione normativa, alla rinuncia alla prescrizione dell’illecito disciplinare notarile si applicano, per analogia, i principi della disciplina della rinuncia alla prescrizione dell’illecito penale. Di conseguenza, la prescrizione dell’illecito disciplinare può essere validamente rinunciata soltanto dopo che il relativo termine sia già maturato, con dichiarazione proveniente dalla parte” (Cass. civ. Sez. VI, 14/05/2012, n. 7484, in cui si afferma anche la rilevabilità d’ufficio della maturata prescrizione).
È tuttavia d’uopo segnalare talune risalenti pronunce che affermano un differente principio rispetto a quello richiamato in apertura del presente paragrafo:
“Il termine quadriennale di prescrizione dell’azione disciplinare contro i notai, nei casi di illecito permanente connesso al modo di gestione dello studio notarile, decorre dalla data della contestazione”: Cass. civ. Sez. III, 18/05/1994, n. 4866 (la sentenza analizza espressamente un caso di illecito permanente, connesso al modo di gestire lo studio). Conformemente: Cass. civ. Sez. III, 08/03/1993, n. 2772.
Tali massime, di dubbia legittimità per l’incertezza del diritto che creano con riguardo alla posizione del P.U., possono essere assimilate a quanto già previsto “In tema di azione risarcitoria per responsabilità professionale del notaio” per cui “il dies a quo del termine prescrizionale non decorre dalla data della stipula del rogito, bensì dal momento in cui il danno risarcibile sia divenuto oggettivamente percepibile e riconoscibile da parte del danneggiato.”: Cass. civ. Sez. III, 18/02/2016, n. 3176.
Tale orientamento, sposato in sede di legittimità per le ipotesi di responsabilità professionale, è stato di recente ribadito anche da Cass. sez. III, 22/09/2016, n. 24410: “Il termine di prescrizione del diritto al risarcimento del danno da responsabilità professionale inizia a decorrere non dal momento in cui la condotta del professionista determina l’evento dannoso, bensì da quello in cui la produzione del danno si manifesta all’esterno, divenendo oggettivamente percepibile e riconoscibile da parte del danneggiato. In tema di responsabilità professionale del notaio, si è inoltre precisato che l’azione di responsabilità contrattuale presuppone la produzione del danno, ancorché l’inadempimento sia stato posto in essere in epoca anteriore, con la conseguenza che la relativa prescrizione non può iniziare a decorrere prima del verificarsi del pregiudizio di cui si chiede il risarcimento”.
Infine meritano una sottolineatura, sebbene qui solo in punta di penna, talune questioni di ordine procedurale, in tema di sospensione del termine feriale, di pena e di distribuzione dell’onere probatorio.
Di non lieve momento è la prima di esse.
In un caso pratico a mio patrocinio, trattato avanti la Co.Re.Di. Lombardia, vi è stata la comunicazione della richiesta di apertura del procedimento disciplinare fatta al notaio il 20 agosto; il solo fatto che la Coredi Lombardia ritenga che il procedimento innanzi alla stessa, avendo natura amministrativa[28], non è soggetto alla sospensione dei termini feriali (prevista dalla L. n. 742/1969), ha imposto l’interruzione delle ferie al P.U. e, naturalmente, all’avvocato (che ha quindi dovuto depositare memoria il 6 settembre), con prima udienza fissata il 24 ottobre di quel medesimo anno.
Che necessità c’è di accanirsi in tal modo su un notaio, ragionevolmente da ritenersi nel pieno del periodo di relativa vacanza? Nel caso di specie, proprio nessuna.
Il vero problema, mi pare, è che il procedimento amministrativo in esame è funzionalmente preordinato alla successiva fase di natura giurisdizionale (ex art. 158 L. not.) in cui le parti hanno diritto di potersi confrontare all’esito di un legittimo contraddittorio (artt. 111, cpv. e 24, co. 2, Cost.) che, nel caso di specie, poteva essere sin dall’origine seriamente compromesso (per es.: qualora il notaio si trovasse a trascorrere il mese di agosto all’estero, e magari in un altro continente, senza avere la possibilità materiale di ricevere tempestiva notizia della posta nel frattempo recapitata presso la sua residenza o il suo domicilio). Del resto anche nel procedimento innanzi alla Coredi dev’essere garantito il pieno diritto di difesa al soggetto incolpato, per il quale l’esercizio della facoltà di resistere in giudizio rappresenta, allo stato, l’unica modalità per far valere i propri diritti secondo quanto previsto e riconosciuto dalla normativa speciale di riferimento: Cass. civ. Sez. III, 29/05/2003, n. 8625.
D’altronde le Co.re.di. distribuite in tutt’Italia, sul punto, non hanno un indirizzo univoco, ma ogni organismo assume una autonoma posizione a seconda (normalmente) della persona del Presidente (magistrato ordinario) che occupa il ruolo.
Meritevoli di rilevo, inoltre, talune pronunce inerenti alla pena.
A proposito della quantificazione della sanzione: “L’art. 135, quarto comma, della legge notarile, secondo il quale se il notaio, in occasione della formazione di uno stesso atto, contravviene più volte alla medesima disposizione, si applica una sola sanzione, determinata fino all’ammontare massimo previsto per tale infrazione tenendo conto del numero delle violazioni commesse, non opera in caso di plurime infrazioni identiche compiute in atti diversi, non potendo il giudice interferire nella discrezionalità del legislatore con l’estendere all’ambito degli illeciti disciplinari quanto previsto, in tema di continuazione, da altri settori dell’ordinamento” (Cass. civ. Sez. II, 16/04/2013, n. 9177, che fa riferimento all’istituto penalistico della continuazione).
In ordine alla recidiva (nozione che non deve essere confusa con quella, pur dai confini discussi, di ‘non occasionalità’: Cass. civ. Sez. II, 11/07/2016, n. 14130) si afferma che “La decorrenza del termine quinquennale previsto dall’art. 145 l. 16 febbraio 1913 n. 89 può essere ancorata solo ad una sentenza di condanna passata in giudicato e non ad una sentenza suscettibile di impugnazione e che non abbia definitivamente accertato l’infrazione”: Cass. civ. Sez. III, 20/01/1994, n. 458.
Rilevanti altresì il regime sulla corretta distribuzione del carico della prova.
Sotto il profilo processuale vige la seguente regola probatoria, ribadita di recente da Cass. civ. Sez. VI, 27/05/2011, n. 11790: “Il procedimento disciplinare si basa sul c.d. principio accusatorio, sicché l’addebito contestato deve essere provato dall’Organo che ha promosso il procedimento. Incombe, invece, sul notaio l’onere di provare il fatto allegato come esimente della sua responsabilità (nel caso di specie, il notaio, per difendersi dall’addebito di omessa assistenza alla sede, aveva allegato la circostanza di aver ricevuto gli atti fuori sede nei giorni di assistenza obbligatoria su espressa richiesta delle parti, senza tuttavia fornirne la prova).”.
“Il procedimento disciplinare relativo ai notai si fonda sul principio accusatorio dall’applicazione del quale consegue che la prova degli addebiti contestati è posta a carico dell’organo che ha promosso il procedimento, salvo che la prova investa una circostanza esimente, nel qual caso l’onere probatorio è posto a carico dell’incolpato. Ne consegue che, nell’ipotesi in cui la contestazione a carico del notaio riguardi la violazione del divieto di assistere in uffici secondari nei giorni e nell’ora di assistenza presso la sede principale (art. 9, capo II, sez. II del codice deontologico del 2 maggio 2004, pubblicato nella G.U. n. 110 del 12 maggio 2004), la scriminante, costituita dall’espressa richiesta delle parti contraenti di redigere gli atti fuori della sede principale, deve essere dimostrata dal professionista mentre la materialità del fatto addebitato è a carico dell’organo che ha promosso l’iniziativa disciplinare.”: Cass. civ. Sez. VI, 27/05/2011, n. 11790 (e si veda anche, in tema di “attificio”, Cass. civ. Sez. II, 27/04/2015, n. 8493).
Infine non è superfluo rammentare, viste le eccezioni sollevate da alcuni legali che si improvvisano difensori nelle vicende disciplinari, come, pur essendo specificato dall’art. 153, co. 2, L. not. che il soggetto dotato dell’iniziativa disciplinare deve procedere “senza indugio” (in quanto la celerità dell’accertamento disciplinare risponde ad esigenze di buona amministrazione), tutti i termini della fase amministrativa del procedimento disciplinare nei confronti dei notai sono ordinatori, in mancanza di una espressa qualificazione legislativa di perentorietà (Cass. civ. 20/07/2011, n. 15963).
In conclusione di intervento, un brevissimo cenno merita l’esame dei rapporti con l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato e quindi la precisazione per cui le prerogative di matrice disciplinare dei Consigli notarili non sono contrarie alla libertà di concorrenza (prestazione di servizi) e di stabilimento affermate a livello europeo (Cass. civ. sez. II, 5/05/2016, n. 9041).
Innanzitutto in quanto, in astratto, il Consiglio Notarile, essendo una ‘associazione di imprese’ (tale ai sensi dei principi europei antitrust[29]: Cass. civ. 30/12/2011, n. 30175), può rendersi promotore di intese restrittive della libertà di concorrenza (alterando le condotte commerciali dei notai e le regole della concorrenza) ex art. 2, co. 1, L. 10/10/1990, n. 287.
E comunque, a tutto argomentare, il problema in esame non si può proprio porre in concreto poiché il Consiglio Notarile, quando assume l’iniziativa del procedimento disciplinare, esercita, in adempimento dello specifico compito di vigilanza del decoro nella professione e nella condotta dei notai iscritti ad esso affidato dalla legge, la gestione di “servizi di interesse economico generale” ed è perciò esente dall’applicabilità delle norme in tema di tutela della concorrenza e del mercato, ai sensi dell’art. 8, co. 2, l. n. 287/1990 (cfr. anche Corte di Giustizia, 19/02/2992), essendo portatore dell’interesse all’esatta applicazione della sanzione disciplinare.
In altri termini nella delibera di esercizio della vigilanza disciplinare il Consiglio notarile adempie una funzione sociale fondata sui principi di solidarietà ed esercita prerogative tipiche dei pubblici poteri, e non regola i comportamenti economici dei notai ovvero la relativa attività economica consistente nell’offerta di servizi sul mercato.
Avv. Luca Crotti
[1] Il d.lgs. 1.08.2006, n. 249 ha aggiornato l’ordinamento disciplinare dei notai che, regolato da un ristretto numero di norme (art. 93, n. 1, l. not.; art. 127, ss., l. not. e art. 249, regolamento not.; art. 68, T.U. imposta di registro, per il controllo sul repertorio attraverso il cd. ‘visto quadrimestrale’), risaliva alla legge notarile n. 89 del 16.02.1913.
[2] Sulla cui efficacia precettiva v. Trib. Catania, 11/07/1997.
[3] Sulla essenziale integrazione tra diritto e morale si rimanda in dottrina, per tutti, a N. Lipari, Dottrina e giurisprudenza quali fonti integrate del diritto, in Lodd.it, IV, 2016, pag. 26.
La dottrina sostiene che, oltre alla figura del notaio (“di altissima coscienza civile” e di “profonda, totale dirittura morale”), più in generale “non può esservi professionista senza deontologia” la quale impone “comportamenti conformi all’etica della comunità professionale” che si sostanziano nel “virtuoso esercizio quotidiano delle competenze” tecniche di settore: A. Areniello, La matrice deontologica della funzione notarile, in Notariato, 4, 2013, pagg. 361 e 362.
[4] L’art. 147, l. not., nel sanzionare atti di concorrenza illecita, prevede quella che nel suo corpo è, per Cass. civ. Sez. III, 24/03/1995, n. 3427, “la più grave infrazione disciplinare” (nello stesso senso: Cass. civ. Sez. III, 21/06/1989, n. 2947).
[5] Che “si riferisce non ai fatti accertati nella relazione dell’organo ispettivo ma a quelli che sono stati oggetto di specifica contestazione nell’ambito del procedimento disciplinare”: Cass. civ. Sez. III, 18/05/1994, n. 4866.
[6] In ogni caso all’incolpato non viene garantito il doppio grado di giurisdizione, in quanto ritenuto regola priva di rilievo costituzionale e/o comunitario.
[7] “Costituisce illecito disciplinare il mancato apprestamento, da parte del notaio, sul conto corrente bancario a lui intestato, della provvista necessaria per il prelievo in via telematica dell’importo dell’imposta di registro autoliquidata”: Cass. civ. Sez. II, 21/01/2014, n. 1170.
“Il notaio che trattenga somme o titoli affidatigli da una banca per le attività di protesto incorre nella violazione dell’art. 147, comma 1, lett. a), l. not. compromettendo la propria dignità e reputazione, nonché il decoro e prestigio della classe notarile, ed è per ciò punibile con la sanzione della sospensione”: Cass. civ. Sez. VI, 27/05/2011, n. 11791.
“È illecita la condotta del notaio consistita nell’avere indebitamente trattenuto denaro e documenti appartenenti a terzi. Nella specie, al professionista erano stati affidati da un Istituto di credito somme e titoli per il servizio cambiario. Ne consegue che è legittimo il procedimento disciplinare a carico del notaio che con il suo comportamento ha compromesso la dignità ed il decoro della classe notarile.”: Cass. civ. Sez. VI, 27/05/2011, n. 11791.
Il notaio, come d’altronde ogni altro professionista (art. 2235, c.c.), ha diritto di ritenzione (facendone copia) solamente sui documenti occorrenti per la dimostrazione dell’opera svolta, al fine di poter fondare, nell’an e nel quantum debeatur, la propria pretesa al compenso (art. 93, n. 5, l. prof.): Cass. civ. Sez. Unite, 31/07/2012, n. 13617.
Ma si pensi anche al semplice caso di ritardo nella restituzione di un deposito fiduciario.
Gli importi che il notaio riceve in deposito devono essere annotati nel registro “somme e valori”: Trib. Foggia, 09/06/2000 (pronuncia che ravvisa, in caso contrario, la violazione dell’art. 10 della l. n. 64 del 22.01.1934).
[8] La pratica conosce poi anche casi di più (abusive) sedi secondarie: “costituisce illecito, ai sensi dell’art. 147, primo comma, lett. b), della legge 16 febbraio 1913, n. 89, la presenza sistematica ed organizzata del notaio, ai fini dell’espletamento della propria opera, presso un’ulteriore sede secondaria, non consentita dall’art. 10 del codice deontologico, che vieta l’apertura di un ufficio secondario in più di un Comune sede notarile ed equipara all’ufficio secondario la ricorrente presenza del notaio presso studi di altri professionisti od organizzazioni estranee al notariato, trattandosi di regola volta ad evitare concentrazioni di attività nocive al corretto svolgimento della professione notarile (senza che abbia rilievo scriminante il fatto che il notaio abbia continuato ad esercitare le funzioni anche nella propria sede)” (Cass. civ. Sez. II, 23/01/2014, n. 1437).
[9] Cfr. Cass. civ. Sez. II, 19/06/2015, n. 12732 per la quale: “Costituisce illecito disciplinare, da parte del notaio, invertire di fatto l’importanza tra sede di assegnazione e ufficio secondario, svolgendo nel secondo attività professionale di gran lunga maggiore che nella prima”.
[10] “La violazione del divieto di assistere nelle sedi secondarie nei giorni e negli orari fissati per la sede principale non viene meno se il calendario dei giorni d’assistenza presso la predetta sede principale non sia aggiornato in quanto, in applicazione del principio della “prorogatio”, il regime giuridico in cui si svolge un’attività amministrativa che non può essere sospesa, perché finalizzata ad un interesse pubblico, rimane vigente fino alla sua modifica, senza soluzione di continuità”: Cass. civ. Sez. VI, 27/05/2011, n. 11790.
“Il notaio che, in giorni fissati per l’assistenza alla sede, riceve o autentica atti nell’ufficio secondario, non incorre nella violazione dell’art. 147, comma 1, lett. b), l. not. – legge n. 89/1913 -, in relazione all’art. 9 Codice deontologico, se tali atti siano stati ricevuti o autenticati in orari diversi da quelli stabiliti dal Presidente della Corte di Appello, ai sensi dell’art. 26, comma 1, l. not. E ciò in quanto, da una lettura sistematica degli artt. 6 e 9 Codice deontologico, e anche dai criteri applicativi dettati dall’Osservatorio permanente per la deontologia del CNN, emerge, da un lato, che l’assistenza alle sede si estende non all’intera giornata (di ventiquattro ore), ma alla giornata lavorativa e, dall’altro lato, che tale giornata lavorativa è delimitata dagli orari stabiliti dal Presidente della Corte di Appello, oltre che da quelli ulteriori eventualmente previsti dal Consiglio Notarile distrettuale, sulla base della situazione locale della sede”: App. Palermo, 27/03/2009.
[11] La sede principale pone anche problemi di regolare frequenza da parte del titolare (ex art. 26 della l. n. 89 del 1913, modificato dall’art. 12 del d.l. n. 1 del 2012, conv. in l. n. 27 del 2012): i tre giorni settimanali nei quali il pubblico ufficiale deve prestare assistenza personale allo studio devono essere da lui previamente segnalati all’utenza e al consiglio notarile, in quanto la ratio legis, diretta ad assicurare il funzionamento regolare e continuo dell’ufficio, esclude che il notaio possa scegliere quei giorni liberamente, di settimana in settimana, senza obbligo di preventiva segnalazione (Cass. civ. Sez. II, 30/12/2015, n. 26146).
E i due succitati aspetti sono tra loro strettamente collegati: “Il notaio non presente nella sede principale ma in quella secondaria va sospeso perché commette una duplice violazione, quella della mancata assistenza allo studio anche in giorni e per ore diversi fissati dal presidente della Corte d’Appello e quella del divieto di assistere agli uffici secondari nei giorni fissati per l’assistenza alla sede, dovendo la sede principale costituire il centro effettivo dell’attività professionale” (Cass. civ. Sez. II, 10/11/2015, n. 22910).
[12] Per es.: il semplice disordine nella contabilità del notaio.
Caso nel quale certamente non rientra la “registrazione, da parte del notaio, di una elevata percentuale di atti con erronea determinazione delle imposte dovute e conseguente loro riliquidazione operata dall’agenzia delle entrate” in quanto “L’errata liquidazione delle imposte degli atti, in modo reiterato e abnorme, costituisce violazione dell’art. 147 L.N. (a nulla rilevando l’insussistenza del contenzioso con l’Agenzia delle Entrate e con le parti”): Cass. civ. Sez. II, 03/06/2015, n. 11451.
[13] Ad es.: le esposizioni di costi inesistenti, gonfiatura di anticipazioni (di solito per le visure ipo-catastali), con cd. scolonnamento, collegata elusione dell’IVA (e concorrenza illecita ai colleghi perché la prestazione viene resa a costi complessivamente più bassi), ecc.
[14] Per es.: il reiterato (soprattutto per i notai in stato di temporanea difficoltà economica) omesso o tardivo versamento delle imposte dovute, pur corrisposte dai contraenti: Cass. civ. Sez. II, 03/03/2016, n. 4206 (che nella condotta ravvisa la violazione dell’art. 147, lett. a) della legge notarile ed applica la sospensione dall’esercizio della professione per nove mesi).
[15] Si richiamano le recenti modifiche legislative (in vigore dal 1.01.2016) che hanno interessato, in tema di peculato (quale appropriazione di cose mobili di cui il notaio è stato in possesso per ragioni di ufficio: art. 314, c.p.), gli artt. 142-bis (in tema di destituzione del P.U. che ometta o ritardi di versare i tributi: co. 1, ult. per.) e 144, co. 2 (che consente un alleggerimento della pena prevedendo la sospensione di un anno se il P.U. ripara interamente il danno e non è recidivo), L. not. [ex art. 1.139, lett. f) e g), l. 28.12.2015, n. 208], figlie dell’attuale periodo di crisi economica.
[16] Ricordiamo che il vecchio sistema era incentrato sulla sanzione (che peraltro risultava spesso inapplicata con conseguente senso di impunità per i notai meno rispettosi del proprio ruolo), e dunque sul controllo, piuttosto che sulla vigilanza (prevenzione).
[17] Assolutoria, per il P.U. rettificante, è invece Appello Milano, 18/10/2016.
[18] Per App. Milano, 26/10/2011: “[…] mentre il decorso di un lasso di tempo di tredici giorni potrebbe configurare un ritardo non giustificato, lo stesso non può dirsi di un lasso di tempo che oscilli tra i tre ed i cinque giorni, il quale in nessun modo può configurare un ritardo colpevole, né una negligenza suscettibile di fondare una ipotesi di responsabilità”.
[19] Come anche confermato almeno sin da Cass. civ. Sez. III, 06/04/1995, n. 4020. Salvo che ricorra una “espressa e concorde dichiarazione delle parti” che “sollevi il notaio dall’onere di provvedere ad effettuare le cd. visure ipotecarie” e che non integri clausola di stile in quanto “giustificata da accertate esigenze concrete delle parti”: App. Roma Sez. IV, 10/01/2007.
[20] Sul tema si rimanda a Cass. civ. Sez. II, 11.10.2016, n. 20465; Appello Firenze 6/09/2016; Cass. civ. Sez. II, 3/06/2015, n. 11507; Cass. civ. Sez. II, 11.04.2014, n. 8611 e Coredi Piemonte, 23.12.2015.
[21] Nel medesimo senso: Cass. civ. Sez. III, 18/06/2004, n. 11412 e Trib. Torino, 18/02/2000.
[22] Si pensi anche alle deleghe dei Tribunali ai notai, con inammissibili fenomeni di concentrazione degli affari più appetibili in capo solo a taluni P.U., per le operazioni di vendita nell’àmbito delle esecuzioni immobiliari (artt. 591-bis, ss., c.p.c.). In proposito, delle due l’una: o i Presidenti dei Tribunali omettono di vigilare sul rispetto del criterio di “equa distribuzione” scolpito nell’art. 179-quater, disp. att., cod. di rito civ. (in manifesto pregiudizio del primario valore rappresentato dalla trasparenza nell’attività di amministrazione della giustizia) o reputano i notai svantaggiati dal Tribunale come meno professionali di altri, e non è dato comprendere sulla base di quale criterio discrezionale possa venire effettuata tale cernita.
Sovente, inoltre, a pochi soltanto dei notai iscritti all’albo previsto dall’art. 179-ter, disp. att., c.p.c., e in larga prevalenza solo a quelli, vengono affidate le aste relative a beni immobili di pregio, e comunque a quelli nettamente più appetibili sul mercato, con la maggior assicurazione, per il P.U. incaricato di curare le relative vendite, di un onorario meglio remunerato. Con buona pace degli altri notai ai quali restano gli incarichi relativi agli immobili di scarso pregio che confluiscono in aste destinate, sin dall’origine, ad andare regolarmente deserte.
[23] Cass. civ. Sez. II, 23/04/2013, n. 9793 per cui “[…] pur essendo venuta meno […] l’automatica sanzionabilità della condotta del notaio che offra la propria prestazione per compensi più contenuti rispetto a quelli previsti dalla tariffa notarile, la tutela deontologica del decoro della professione in ipotesi di indiscriminate politiche di ribassi, non più affidata ad una rigida equiparazione dei corrispettivi, non priva di rilevanza, sul medesimo piano disciplinare, i comportamenti concorrenzialmente scorretti o predatori, né le attività serialmente prestate di accaparramento della clientela, che incidano sulla qualità delle prestazioni rese”.
[24] Con ciò si vuole evitare di fornire un’immagine mercantile e utilitaristica della professione, lesiva, in quanto tale, della dignità, del decoro e del prestigio della classe notarile.
[25] “Il notaio che riceve un contratto di compravendita di un immobile, senza indicarne il prezzo, incorre nella violazione dell’art. 147, comma 1, lett. a) e b), l. not. – legge n. 89/1913, in relazione agli artt. 1, comma 2, 22, 27, 41, 42 e 49 Codice deontologico, ancorché una simile mancanza non comporti la nullità dell’atto. […]. Il comportamento del notaio, inoltre, denota come questi abbia di fatto eletto a interlocutore esclusivo l’acquirente, al cui vantaggio fiscale è univocamente piegata la mancata indicazione del prezzo della compravendita, in contrasto con il dovere di equidistanza, rispetto agli interessi delle parti, che deve permeare l’opera del notaio.”: Cass. civ. Sez. III, 03/03/2010, n. 5065.
[26] Ha inquadrato il termine in esame nell’area della decadenza: Cass. civ. Sez. I, 15/07/1988, n. 4670.
[27] “La prescrizione dell’azione disciplinare contro i notai si compie, a norma della legge 16 febbraio 1913, n. 89, art. 146, comma 1, per effetto del decorso di quattro anni dal giorno in cui l’infrazione è stata commessa, senza subire interruzioni per effetto del procedimento disciplinare, della contestazione delle infrazioni e delle pronunce del consiglio notarile o del Tribunale. Detta prescrizione determina l’improcedibilità dell’azione disciplinare, opera “ex lege”, deve essere rilevata anche d’ufficio in sede di legittimità.”: Cass. civ. Sez. III, 09/03/2006, n. 5121.
“Un’ipotesi di sospensione, viceversa, è configurabile per effetto della pendenza del procedimento penale, a seguito della sentenza della Corte costituzionale del 2 febbraio 1990 n. 40”: Cass. civ. Sez. III, 28/03/2006, n. 7088 e Cass. civ. Sez. III, 25/02/2000, n. 2138.
[28] In quanto svolto, nei confronti di appartenenti ad un gruppo organizzato, da un organo che ne è diretta emanazione ed opera al suo interno (Cass. civ. Sez. Un., 26/06/2002, n. 9328).
[29] Le “imprese” sarebbero i notai.
Infatti, nel diritto comunitario della concorrenza, la nozione di impresa viene enormemente dilatata sino a ricomprendere qualsiasi entità che eserciti un’attività economica, a prescindere dal suo status giuridico e dalle modalità di finanziamento.
È quindi nozione, quella europea di impresa, che postula l’esercizio organizzato e durevole di un’attività economica sul mercato (completamente a prescindere dal modo in cui i singoli orientamenti nazionali definiscono l’ente o la persona fisica alla quale la suddetta attività economica fa capo).